Un'altra eredità del governo di destra è ora gestita dal
governo di sinistra. Dopo l'accettazione della nuova base militare di
Vicenza e del mantenimento del segreto di stato per il sequestro
statunitense di un imam, ecco un'altra somiglianza del nuovo governo
rispetto al vecchio. La continuità dello stato si realizza
così al di là delle preferenze di scelta elettorale di
qualche mese fa, un inconveniente che, sulle cose veramente importanti,
conta poco o nulla.
Tra i puntelli di un apparato burocratico e mediatico, economico e
militare, si colloca anche un dato culturale: la Memoria di Stato. Una
Memoria che unifica il ricordo del genocidio di milioni di ebrei nei
lager nazisti con quello di una violenza molto più circoscritta
e di significato profondamente diverso. Nel 2000 la sinistra aveva
cantato vittoria per la Giornata della Memoria del 27 gennaio, nel 2004
è il turno della destra che fissa il 10 febbraio quale giornata
del Ricordo delle foibe e gode della indubbia conquista politica e
mediatica.
Ovviamente i vertici dello Stato cercano di istituire una assonanza tra
due eventi incomparabili e usano parole di convenienza che mirano ad un
fine ben preciso: sacralizzare l'identità nazionale. E
ciò emerge in modo plateale proprio nel secondo tempo di questo
indigesto film dai toni tricolorati e dalla regia istituzionale.
Il 10 febbraio è stato scelto come rievocazione del Trattato di
pace del 1947, quello che ha sancito per l'Italia sconfitta la perdita
di qualche fetta di territorio al confine orientale. A questa data sono
collegate le uccisioni di un paio di migliaia di abitanti,
prevalentemente italiani, delle zone istriane e l'emigrazione forzata
dei giuliano-dalmati che sono stimati attorno alle 250.000 unità
(dal 1944 alla fine degli anni Cinquanta). Ma soprattutto
nell'immaginario collettivo sono ormai entrate, come un incubo, le
voragini carsiche delle foibe in cui una parte dei morti vennero
gettati. Qui vi è un evidente elemento di psicologia sociale
inconscia: queste fosse comuni improvvisate, dove erano stati
già gettati cadaveri di soldati tedeschi e animali,
rappresentano agli occhi di molti italiani di oggi una cavità
infernale e un'ulteriore motivo di rivendicazione nazionalista.
Attorno alle foibe ruotava per decenni la propaganda nazionalista e
neofascista a Trieste e dintorni, esagerando a dismisura il numero
degli uccisi e degli esuli e presentando l'evento come un atto di
"barbarie slavo-comunista". Ora i termini sono meno esplicitamente
razzisti, ma in compenso il tema è stato assunto come proprio da
quasi tutte le forze politiche. Anzi buona parte dei politici di
sinistra, a cominciare dai vertici istituzionali, recita l'autocritica
per la "cecità ideologica" che avrebbe fatto dimenticare questi
italiani, e quindi fratelli, povere vittime innocenti. Sempre
più spesso si ignorano volutamente le pesanti
responsabilità dell'esercito italiano che occupò la
regione di Lubiana e che non fu meno feroce dei nazisti. Incendi,
impiccagioni, fucilazioni, deportazioni e torture furono praticate su
larga scala per domare la resistenza partigiana. Tutto ciò si
sommò alla valanga di misure repressive, linguistiche e penali,
che aveva caratterizzato, per un ventennio, il dominio dei fascisti
italiani sulle popolazioni slave.
Ogni storico con un minimo di dignità sa che le violenze rivolte
agli italiani sconfitti di queste zone vanno inquadrate nel contesto
bellico e postbellico e che si spiegano, in buona parte, come risposta
all'oppressione nazionale precedente. Per motivi di opportunismo
politico e di consenso elettorale, molti politici confermano
però l'immagine degli "italiani brava gente" ingiustamente
colpiti solo per motivi di odio e malvagità nazionale. Questo
odio certamente esisteva, e procurò anche delle ingiustizie
individuali, ma aveva forti radici e ragioni nell'esperienza patita
collettivamente da chi, con un enorme costo umano, aveva sostenuto la
lotta degli antifascisti.
La comoda etichetta dell'italiano, militare o civile, buono e
umanitario (molto migliore del tedesco cattivo e feroce) si basa
sull'esaltazione di pochi casi isolati di non collaborazione con i
piani della repressione sanguinaria. Lo scopo inconfessabile di tale
propaganda è di oscurare il collaborazionismo di massa con la
politica della terra bruciata che, anche in Jugoslavia, fu condotta
senza incertezze né pietà dall'esercito italiano di
occupazione.
Il diffuso vittimismo nazionale nell'Italia di oggi vuole nascondere la
verità storica proprio mentre i politici gareggiano nel
pentimento per la propria amnesia del passato sul tema delle foibe. Il
Ricordo di Stato deve essere unilaterale, aumentare le dimensioni,
condire la rievocazione con particolari raccapriccianti e spesso non
dimostrati. Gli infoibati sarebbero stati delle persone senza alcun
coinvolgimento nell'occupazione fascista, scelti solo come italiani,
colpiti in quanto non si piegavano al vincitore slavo e alla dittatura
comunista. Anche se è ben vero che il nuovo potere jugoslavo era
il risultato di un totalitarismo politico fuso con un esercito
particolarmente gerarchico nato in durissimi scontri armati, non va
dimenticato quanto gli italiani, quasi tutti, di queste regioni
giuliano-dalmate si fossero identificati nel regime fascista che li
favoriva in tutti i modi.
Per dovere storico, non va cancellato il fatto che i responsabili
italiani, militari e funzionari di polizia, di molti crimini di guerra
in Jugoslavia furono protetti dai regimi democratici italiani e che
"per carità di patria" i processi a tali imputati non furono mai
svolti. L'Italia democratica e formalmente antifascista del 1946, anche
con il sostanziale accordo delle sinistre, dapprima promise di
consegnare i criminali di guerra italiani agli stati che li
richiedevano, poi dichiarò di processarli in patria, infine
favorì la loro fuga all'estero. Vi furono anche casi di
reintegro nell'apparato statale e di folgorante carriera, fino alla
carica di prefetto. È l'ennesima prova della permanenza nelle
istituzioni post 1945 di un'intera generazione di funzionari fascisti
in grado di difendere il loro passato di "servitori dello stato".
Se le vicende drammatiche delle foibe e le volontà di non
dimenticare non fossero un alibi per rimuovere i lati oscuri
dell'Italia fascista e postfascista, tutti gli "armadi della vergogna"
delle violenze belliche di parte italiana dovrebbero essere aperti.
Essi offrirebbero le informazioni documentate per una vera e non
vittimistica storia del ruolo di molti italiani durante e dopo il
tragico regime la cui responsabilità non fu certamente solo di
un tale nato a Predappio.
Claudio Venza