Parlare male dei "dico" è fin troppo banale.
Il decreto legge varato dal consiglio dei ministri che regola i
"diritti e doveri dei conviventi" sembra non essere gradito a nessuno:
né alla chiesa, né alla destra, né alle
associazioni di gay e lesbiche, ma forse non è proprio
così.
Guardiamo un po' che cosa prevede.
Il nome è stato cambiato e siccome il linguaggio non è
neutro una ragione ci sarà: abolito il nome "pacs" inviso alla
chiesa e a molti altri. Tra persone non ci sono "patti" che qualcuno
potrebbe associare al termine "liberi e consenzienti", ma diritti e
doveri sanciti dallo stato.
Qualsiasi termine che riguardi, anche da lontano, la sessualità
è bandito, anche se è evidente che questa legge con i
rapporti di coppia qualcosina c'entri.
I "diritti" sbandierati sono fasulli.
Di pensione non si parla ma le voci circolate sono indicative: si parla
di una probabile reversibilità in percentuale minore di quella
data al coniuge e solo dopo vari anni di convivenza.
L'eredità è possibile solo dopo 9 anni di convivenza (per
essere sicuri che la convivenza non sia stata scelta per
interesse…), in misura minore a quella dovuta al coniuge e
comunque subordinata al diritto degli altri parenti (non solo dei
figli ).
Il decreto è ambiguo anche nella norma più semplice: il
diritto all'assistenza ospedaliera del partner è demandato al
regolamento di ogni singola struttura ospedaliera.
Il diritto ad un eventuale assegno di mantenimento scatta solo dopo 3
anni di convivenza e in misura proporzionata agli anni di convivenza.
(come gli scatti di anzianità negli stipendi).
Tutti quindi "diritti" falsi, ambigui, precari.
Il decreto prevede anche impossibilità di accedere ai "di.co" a
chi ha ucciso (o tentato di farlo) il coniuge o il convivente del
partner (è chiaro che tra i conviventi albergano molti possibili
assassini, perciò chiariamo bene!).
A me sembra che questo decreto, futura legge, sia solo un ulteriore affermazione della necessità del controllo statale.
Faccio un esempio banale. Ora il contratto di affitto della casa in cui
abito è intestato a me. Se morissi il mio compagno dovrebbe
richiedere il cambio di intestazione del contratto. Ciò di fatto
ora già avviene: sia in base al buon senso sia in base ai
rapporti di forza. Se il proprietario non lo facesse sicuramente il
nostro paese sarebbe sommerso di cartelli che lo denunciano.
Dopo l'introduzione dei "di.co" (che non abbiamo intenzione di
sottoscrivere), questo cambio sarà più difficile per noi.
Se non abbiamo richiesto allo stato la tutela dei nostri diritti
"sanciti" perché, secondo il pensiero comune, ora li
rivendichiamo?
In questa ottica credo che una legge che regoli le unioni possa portare
essenzialmente maggior controllo e omologazione a modelli prescritti.
E nello stesso modo credo che l'avversione mostrata dalla destra e
dalla chiesa nei suoi confronti sia essenzialmente di facciata.
È vero che la chiesa deve porsi come istituzione di controllo su
tutti i comportamenti, ma l'apertura del papa verso i matrimoni civili,
definiti "istituzione sociale che merita rispetto e tutela", indica che
qualsiasi famiglia va bene purché sia una famiglia codificata e
controllata da qualcuno, stato o chiesa, meglio se entrambi.
Questo decreto avrebbe potuto aver il merito di innescare un dibattito
su cosa sia oggi la famiglia. Ma se di famiglia si è parlato in
continuazione essa è però sempre relegata nel privato.
Le cronache e le inchieste che la descrivono come luogo di morte e di
incidenti gravi, dove per la maggior parte le vittime sono donne e i
carnefici gli uomini, vengono dimenticate nel giro di pochi giorni.
Nelle parole di chi difende "la famiglia" non ce ne è stata una
che evidenziasse come essa diventi un luogo patogeno quando le
relazioni sono di potere.
Una libera scelta nelle convivenze dovrebbe, quando meno, garantire un poco dall'attacco di questo virus.
Fino a quando la famiglia sarà ritenuta cellula primaria
fondante della società (come dice l'art. 29 della Costituzione),
qualsiasi riconoscimento giuridico delle unioni di fatto sarà
discriminante perché sancirà la differenza di valore tra
le convivenze.
Diverso sarebbe il riconoscimento che le differenze negli affetti e
nelle unioni è giusto e naturale: ma per questo una lettera
raccomandata spedita al partner può bastare?
R.P.