Non fu per il proliferare di lingue fra loro incomprensibili che la
Torre di Babele rimase incompiuta. La confusione crea disordine,
preoccupazione, soltanto in chi non comprende che l'espressione ha
regole soggette a rinnovarsi continuamente. Il disordine è un
ordine mal compreso da chi predilige pianificare il futuro in modo che
il nuovo nasca già vecchio e non turbi. Ecco perché ogni
qual volta appare il "nuovo" nelle lotte sociali, la paura che questo
possa sconvolgere le consolidate categorie del pensiero politico
(categorie che si attorcigliano attorno al problema della
gestione/presa del potere) immediatamente si cerca di soffocarlo con il
vecchio linguaggio dell'establishment urbanistico/poliziesco.
Non per nulla la costruzione di una nuova base militare americana a
Vicenza è stata considerata un problema urbanistico, al punto da
cercare di risolverlo con metodi polizieschi. Per ora, non ci sono
riusciti. Come per le opere TAV in Val di Susa, il ponte sullo Stretto,
la discarica di Scanzano, il MOSE nella laguna veneta… Si
può esser certi che fin quando le realtà territoriali
saranno in grado e potranno esprimersi nella poliedricità
linguistica che le accomuna nell'opporsi alla pianificazione delle loro
vite attraverso l'imposizione di un linguaggio/pensiero dominante,
costituito e legittimato da compatibilità riguardanti la
gestione condivisione del potere economico, politico, militare, nessuno
potrà mai ridurle al silenzio. Sennonché una simile
certezza necessita di un agire pratico che sappia smascherare la lingua
dei nemici là dove cerca di annidarsi, riproponendo percorsi
sterili dove l'opposizione sociale non può che uscire
indebolita, se non addirittura sconfitta.
I recenti fatti di Vicenza, coronati con l'imponente manifestazione di
sabato 17 febbraio, ci conducono ad un'attenta riflessione al fine di
cogliere tutte le potenzialità espresse senza però cedere
a facili trionfalismi. Perché, se è incontrovertibile
attestare l'incapacità di lettura da parte dell'apparato
politico/istituzionale nel considerare la profondità del fossato
che divide il "paese reale" dalle rappresentanze parlamentari e
governative, è pur vero che l'abilità di recupero del
sistema democratico è di essere "specchio" della realtà
sociale, riproducendo al proprio interno quelle stesse istanze
contestatrici per contrattare, barattare, spazi di potere all'interno
delle rispettive coalizioni parlamentari. Non a caso la soddisfazione
con cui è stata recepita la mancanza di azioni violente durante
la manifestazione vicentina, ha finito per rafforzare al contempo sia
la posizione d'apertura nel ridiscutere la decisione di costruire una
seconda base militare; sia la posizione di rispettare gli impegni
assunti con l'amministrazione Bush, rinegoziando l'ubicazione
urbanistica della base e ridimensionando l'impatto ambientale. Con
buona pace di chi a Vicenza è sceso in piazza per opporsi alla
militarizzazione del proprio territorio dopo che – attraverso la
delega – si è visto espropriato della possibilità
di decidere della propria vita.
Allo stesso modo, l'aver voluto opporre alla violenza della forza di
una moltitudine di manifestanti, la strumentale forza della violenza di
un apparato poliziesco e mediatico che si è avvalso del
tempestivo apporto della magistratura al fine di confezionare e
"rivendicare" ipotetici obiettivi terroristici da parte di alcuni
inquisiti che – allo stato dei fatti – hanno rivendicato
soltanto il proprio status di "prigionieri politici", se non sembra
aver prodotto i risultati sperati e desiderati, tuttavia ha obbligato
le istanze organizzate dei movimenti di base ad uno sterile
autodafè sulla maturità nel rifiuto della violenza. La
qualcosa, oltre ad essere del tutto funzionale ai fini di un recupero
della rappresentatività democratica, inevitabilmente sposta il
problema da chi sistematicamente fa un utilizzo della violenza
mediatico/poliziesca per impedire qualsiasi critica organizzata
collettivamente al di fuori degli assetti istituzionali. Con buona pace
di quel sindacato così solerte a farsi paladino delle
compatibilità con il sistema economico-politico da aver
dimenticato che il terrorismo – in fatto di compatibilità
– è suo acerrimo concorrente.
Pure, se questi sono aspetti concernenti logiche e linguaggi di un
pensiero politico volto ad affermare autoritariamente la gestione del
proprio potere sulla società, è indispensabile
neutralizzare il più possibile pratiche ed argomentazioni
replicanti aspettative catartiche nei confronti dei propri
rappresentanti istituzionali e no, in luogo di un agire collettivo in
grado di responsabilizzare le proprie decisioni attraverso la
realizzazione di obiettivi concreti. Solo in questo modo si dà
voce ad un linguaggio in cui le parole non assumono connotati astratti
("no alla guerra, sì alla pace") in cui genericamente trovarsi
tutti d'accordo, per cogliere le contraddizioni nella
quotidianità del territorio – così come dei posti
di lavoro – come reali momenti di aggregazione e di
partecipazione attiva alle scelte che riguardano il proprio presente.
Senza delegare ad altri il proprio futuro.
Perché se il mondo nuovo è già nei nostri cuori, occorre che sia anche nelle nostre teste.
gianfranco marelli