Umanità Nova, n.7 del 25 febbraio 2007, anno 87

La lingua dei nemici



Non fu per il proliferare di lingue fra loro incomprensibili che la Torre di Babele rimase incompiuta. La confusione crea disordine, preoccupazione, soltanto in chi non comprende che l'espressione ha regole soggette a rinnovarsi continuamente. Il disordine è un ordine mal compreso da chi predilige pianificare il futuro in modo che il nuovo nasca già vecchio e non turbi. Ecco perché ogni qual volta appare il "nuovo" nelle lotte sociali, la paura che questo possa sconvolgere le consolidate categorie del pensiero politico (categorie che si attorcigliano attorno al problema della gestione/presa del potere) immediatamente si cerca di soffocarlo con il vecchio linguaggio dell'establishment urbanistico/poliziesco.
Non per nulla la costruzione di una nuova base militare americana a Vicenza è stata considerata un problema urbanistico, al punto da cercare di risolverlo con metodi polizieschi. Per ora, non ci sono riusciti. Come per le opere TAV in Val di Susa, il ponte sullo Stretto, la discarica di Scanzano, il MOSE nella laguna veneta… Si può esser certi che fin quando le realtà territoriali saranno in grado e potranno esprimersi nella poliedricità linguistica che le accomuna nell'opporsi alla pianificazione delle loro vite attraverso l'imposizione di un linguaggio/pensiero dominante, costituito e legittimato da compatibilità riguardanti la gestione condivisione del potere economico, politico, militare, nessuno potrà mai ridurle al silenzio. Sennonché una simile certezza necessita di un agire pratico che sappia smascherare la lingua dei nemici là dove cerca di annidarsi, riproponendo percorsi sterili dove l'opposizione sociale non può che uscire indebolita, se non addirittura sconfitta.
I recenti fatti di Vicenza, coronati con l'imponente manifestazione di sabato 17 febbraio, ci conducono ad un'attenta riflessione al fine di cogliere tutte le potenzialità espresse senza però cedere a facili trionfalismi. Perché, se è incontrovertibile attestare l'incapacità di lettura da parte dell'apparato politico/istituzionale nel considerare la profondità del fossato che divide il "paese reale" dalle rappresentanze parlamentari e governative, è pur vero che l'abilità di recupero del sistema democratico è di essere "specchio" della realtà sociale, riproducendo al proprio interno quelle stesse istanze contestatrici per contrattare, barattare, spazi di potere all'interno delle rispettive coalizioni parlamentari. Non a caso la soddisfazione con cui è stata recepita la mancanza di azioni violente durante la manifestazione vicentina, ha finito per rafforzare al contempo sia la posizione d'apertura nel ridiscutere la decisione di costruire una seconda base militare; sia la posizione di rispettare gli impegni assunti con l'amministrazione Bush, rinegoziando l'ubicazione urbanistica della base e ridimensionando l'impatto ambientale. Con buona pace di chi a Vicenza è sceso in piazza per opporsi alla militarizzazione del proprio territorio dopo che – attraverso la delega – si è visto espropriato della possibilità di decidere della propria vita.
Allo stesso modo, l'aver voluto opporre alla violenza della forza di una moltitudine di manifestanti, la strumentale forza della violenza di un apparato poliziesco e mediatico che si è avvalso del tempestivo apporto della magistratura al fine di confezionare e "rivendicare" ipotetici obiettivi terroristici da parte di alcuni inquisiti che – allo stato dei fatti – hanno rivendicato soltanto il proprio status di "prigionieri politici", se non sembra aver prodotto i risultati sperati e desiderati, tuttavia ha obbligato le istanze organizzate dei movimenti di base ad uno sterile autodafè sulla maturità nel rifiuto della violenza. La qualcosa, oltre ad essere del tutto funzionale ai fini di un recupero della rappresentatività democratica, inevitabilmente sposta il problema da chi sistematicamente fa un utilizzo della violenza mediatico/poliziesca per impedire qualsiasi critica organizzata collettivamente al di fuori degli assetti istituzionali. Con buona pace di quel sindacato così solerte a farsi paladino delle compatibilità con il sistema economico-politico da aver dimenticato che il terrorismo – in fatto di compatibilità – è suo acerrimo concorrente.
Pure, se questi sono aspetti concernenti logiche e linguaggi di un pensiero politico volto ad affermare autoritariamente la gestione del proprio potere sulla società, è indispensabile neutralizzare il più possibile pratiche ed argomentazioni replicanti aspettative catartiche nei confronti dei propri rappresentanti istituzionali e no, in luogo di un agire collettivo in grado di responsabilizzare le proprie decisioni attraverso la realizzazione di obiettivi concreti. Solo in questo modo si dà voce ad un linguaggio in cui le parole non assumono connotati astratti ("no alla guerra, sì alla pace") in cui genericamente trovarsi tutti d'accordo, per cogliere le contraddizioni nella quotidianità del territorio – così come dei posti di lavoro – come reali momenti di aggregazione e di partecipazione attiva alle scelte che riguardano il proprio presente. Senza delegare ad altri il proprio futuro.
Perché se il mondo nuovo è già nei nostri cuori, occorre che sia anche nelle nostre teste.

gianfranco marelli

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti