In occasione del vertice svoltosi due settimane fa a Siviglia, tra i
ministri della difesa degli stati appartenenti alla Nato, il segretario
generale dell'Alleanza Scheffer è stato senza dubbio esplicito:
"In un posto come l'Afganistan, gli alleati devono essere preparati a
combattere per difendere la democrazia".
Previsione confermata anche dal ministro italiano della Difesa, Parisi,
che ha prospettato il coinvolgimento diretto nei combattimenti anche
dei militari italiani in quanto "non esistono aree immuni da rischi"
(Il Sole-24 Ore, 10.2.07).
La primavera, dopo un inverno durante cui la guerriglia non ha
rallentato la propria attività offensiva, si annuncia infatti
ancor più critica per le truppe d'occupazione. Il 2006 è
senz'altro stato il peggiore in Afganistan da quando le forze guidate
dagli Usa hanno lo hanno attaccato nel 2001 e, in previsione
dell'aggravarsi della situazione, gli Stati Uniti da tempo stanno
premendo sugli alleati Nato affinché rafforzino la loro presenza
militare in Afganistan, sostenendo che le prossime settimane saranno
cruciali per contrastare quella che definiscono come insorgenza.
Contro tale minaccia primaverile, è noto che il Pentagono sta
pianificando una massiccia offensiva aerea, in parallelo con un attacco
di terra nell'area di Kandahar, come si è appreso
dall'intervista all'ex generale Anthony Zinni, inviato speciale della
Casa Bianca in Medio Oriente (Corriere della Sera, 11.2.07).
A conferma delle bellicose quanto scellerate intenzioni Usa, il 15
febbraio è sceso in campo lo stesso Bush che ha annunciato una
controffensiva di primavera, mentre si apprendeva che anche la
173ª brigata aerotrasportata Usa di stanza presso la caserma
Ederle a Vicenza è sul piede di partenza per l'Afganistan.
Già alla fine di gennaio a Bruxelles, il segretario di stato
Condoleezza Rice aveva sollecitato l'invio di rinforzi in vista delle
operazioni; mentre nella scorsa settimana il nuovo presidente –
democratico - della commissione esteri della Camera, Tom Lantos, si
è scagliato contro quegli alleati europei che non combattono in
prima linea.
La Nato, il cui contingente Isaf è da poco passato sotto il
comando statunitense per almeno sei mesi, ha predisposto quindi l'invio
di altri 4 battaglioni da 600 unità di cui si sarebbero fatti
carico Polonia, Usa e Gran Bretagna, oltre a un reparto di commandos
dalla Lituania.
Inoltre, l'Unione Europea si appresta ad inviare, entro giugno, circa
160 poliziotti europei, affiancati da 50 a 70 esperti, per aiutare la
formazione della polizia afgana. Alla Germania spetterà la
formazione degli agenti, dopo che una quarantina di esperti hanno
già addestrato 3.500 poliziotti, mentre l'Italia si è
occupata principalmente del sistema giudiziario del paese, contribuendo
anche alla ristrutturazione delle carceri.
Il governo italiano, da parte sua, intanto fornirà un aereo
C-130 da trasporto e due velivoli-spia Predator, senza pilota per la
ricognizione; mentre la Germania dislocherà 6 aerei multiruolo
Tornado e la Grecia una squadra di elicotteri.
Anche l'ulteriore impegno aereo italiano rientrerà nel decreto
per il rifinanziamento (350 milioni di euro) della missione militare in
Afganistan che dovrà essere definitivamente approvata dal
parlamento in marzo per prolungare la permanenza a Kabul ed Herat dei
circa 2000 militari italiani. Su tale scadenza, come è noto, si
è riaperto il solito balletto di prese di posizione, tra i
partiti della maggioranza e della cosiddetta opposizione di
centrodestra, passando per le in/sofferenze dei parlamentari dissidenti
dei vari partiti della sinistra ma anche dell'Italia dei Valori.
Ancora una volta, invece, i radicali-socialisti de La Rosa nel Pugno si
confermano come i più convinti interventisti, seppellendo una
volta di più ogni residuo di pacifismo e nonviolenza.
Ma la posizione dei partiti (Rifondazione Comunista, Verdi, Comunisti
Italiani) che più hanno investito nei movimenti contro la guerra
appare davvero difficile, ormai stritolata tra la
corresponsabilità politica con l'interventismo del governo Prodi
e l'evidente carattere belligerante della missione italiana in
Afganistan.
Ormai, non ci sono più margini d'equilibrismo, specialmente dopo
le dichiarazioni del ministro della difesa Parisi che, confermando
quanto aveva già anticipato il suo predecessore Martino, ha
affermato che l'intervento italiano a Kabul è destinato a
protrarsi almeno sino al 2011, quando si potrà fare una
"verifica", andando persino oltre le risibili previsioni del segretario
generale della Nato che vede un Afganistan avviato verso la pace entro
il 2009.
Di fronte ad una simile, inequivoca, prospettiva anche chi, come la
senatrice Lidia Menapace (Prc), si era dichiarata disponibile a votare
a favore della proroga in un'ottica di "riduzione del danno" non
possono certo nascondersi dietro ad ipotetici "segni di
discontinuità".
D'altra parte va ricordato come, il 1° febbraio 2006, a Londra
venne firmato un accordo ("Afganistan compact") tra il governo Karzai e
gli stati protagonisti della missione Isaf-Nato - Italia compresa - che
stabilivano la durata di questa sino, appunto, al 2011.
Evidentemente, quella parte di sinistra parlamentare che doveva
rappresentare e sostenere le ragioni del rifiuto della guerra, non
sapeva neppure di tale accordo, firmando un programma di governo per
l'Unione in cui su 281 pagine l'Afganistan non era neppure menzionato;
così come ha voluto ignorare l'invio, nello scorso giugno, dei
reparti speciali italiani controguerriglia (si parla di 600
unità). Un'insipienza politica che declina verso la tragedia,
dato che l'unica loro "radicale" rivendicazione sembra riguardare la
realizzazione di una Conferenza internazionale di pace per l'Afganistan
che, se mai si farà, confermerà la verità storica
per cui le conferenze di pace servono solo agli stati in guerra.
U. F.