Umanità Nova, n.7 del 25 febbraio 2007, anno 87

L'Italia in guerra sino al 2011
Danze afgane a Siviglia



In occasione del vertice svoltosi due settimane fa a Siviglia, tra i ministri della difesa degli stati appartenenti alla Nato, il segretario generale dell'Alleanza Scheffer è stato senza dubbio esplicito: "In un posto come l'Afganistan, gli alleati devono essere preparati a combattere per difendere la democrazia".
Previsione confermata anche dal ministro italiano della Difesa, Parisi, che ha prospettato il coinvolgimento diretto nei combattimenti anche dei militari italiani in quanto "non esistono aree immuni da rischi" (Il Sole-24 Ore, 10.2.07).
La primavera, dopo un inverno durante cui la guerriglia non ha rallentato la propria attività offensiva, si annuncia infatti ancor più critica per le truppe d'occupazione. Il 2006 è senz'altro stato il peggiore in Afganistan da quando le forze guidate dagli Usa hanno lo hanno attaccato nel 2001 e, in previsione dell'aggravarsi della situazione, gli Stati Uniti da tempo stanno premendo sugli alleati Nato affinché rafforzino la loro presenza militare in Afganistan, sostenendo che le prossime settimane saranno cruciali per contrastare quella che definiscono come insorgenza.
Contro tale minaccia primaverile, è noto che il Pentagono sta pianificando una massiccia offensiva aerea, in parallelo con un attacco di terra nell'area di Kandahar, come si è appreso dall'intervista all'ex generale Anthony Zinni, inviato speciale della Casa Bianca in Medio Oriente (Corriere della Sera, 11.2.07).
A conferma delle bellicose quanto scellerate intenzioni Usa, il 15 febbraio è sceso in campo lo stesso Bush che ha annunciato una controffensiva di primavera, mentre si apprendeva che anche la 173ª brigata aerotrasportata Usa di stanza presso la caserma Ederle a Vicenza è sul piede di partenza per l'Afganistan.
Già alla fine di gennaio a Bruxelles, il segretario di stato Condoleezza Rice aveva sollecitato l'invio di rinforzi in vista delle operazioni; mentre nella scorsa settimana il nuovo presidente – democratico - della commissione esteri della Camera, Tom Lantos, si è scagliato contro quegli alleati europei che non combattono in prima linea.
La Nato, il cui contingente Isaf è da poco passato sotto il comando statunitense per almeno sei mesi, ha predisposto quindi l'invio di altri 4 battaglioni da 600 unità di cui si sarebbero fatti carico Polonia, Usa e Gran Bretagna, oltre a un reparto di commandos dalla Lituania.
Inoltre, l'Unione Europea si appresta ad inviare, entro giugno, circa 160 poliziotti europei, affiancati da 50 a 70 esperti, per aiutare la formazione della polizia afgana. Alla Germania spetterà la formazione degli agenti, dopo che una quarantina di esperti hanno già addestrato 3.500 poliziotti, mentre l'Italia si è occupata principalmente del sistema giudiziario del paese, contribuendo anche alla ristrutturazione delle carceri.
Il governo italiano, da parte sua, intanto fornirà un aereo C-130 da trasporto e due velivoli-spia Predator, senza pilota per la ricognizione; mentre la Germania dislocherà 6 aerei multiruolo Tornado e la Grecia una squadra di elicotteri.
Anche l'ulteriore impegno aereo italiano rientrerà nel decreto per il rifinanziamento (350 milioni di euro) della missione militare in Afganistan che dovrà essere definitivamente approvata dal parlamento in marzo per prolungare la permanenza a Kabul ed Herat dei circa 2000 militari italiani. Su tale scadenza, come è noto, si è riaperto il solito balletto di prese di posizione, tra i partiti della maggioranza e della cosiddetta opposizione di centrodestra, passando per le in/sofferenze dei parlamentari dissidenti dei vari partiti della sinistra ma anche dell'Italia dei Valori.
Ancora una volta, invece, i radicali-socialisti de La Rosa nel Pugno si confermano come i più convinti interventisti, seppellendo una volta di più ogni residuo di pacifismo e nonviolenza.
Ma la posizione dei partiti (Rifondazione Comunista, Verdi, Comunisti Italiani) che più hanno investito nei movimenti contro la guerra appare davvero difficile, ormai stritolata tra la corresponsabilità politica con l'interventismo del governo Prodi e l'evidente carattere belligerante della missione italiana in Afganistan.
Ormai, non ci sono più margini d'equilibrismo, specialmente dopo le dichiarazioni del ministro della difesa Parisi che, confermando quanto aveva già anticipato il suo predecessore Martino, ha affermato che l'intervento italiano a Kabul è destinato a protrarsi almeno sino al 2011, quando si potrà fare una "verifica", andando persino oltre le risibili previsioni del segretario generale della Nato che vede un Afganistan avviato verso la pace entro il 2009.
Di fronte ad una simile, inequivoca, prospettiva anche chi, come la senatrice Lidia Menapace (Prc), si era dichiarata disponibile a votare a favore della proroga in un'ottica di "riduzione del danno" non possono certo nascondersi dietro ad ipotetici "segni di discontinuità".
D'altra parte va ricordato come, il 1° febbraio 2006, a Londra venne firmato un accordo ("Afganistan compact") tra il governo Karzai e gli stati protagonisti della missione Isaf-Nato - Italia compresa - che stabilivano la durata di questa sino, appunto, al 2011.
Evidentemente, quella parte di sinistra parlamentare che doveva rappresentare e sostenere le ragioni del rifiuto della guerra, non sapeva neppure di tale accordo, firmando un programma di governo per l'Unione in cui su 281 pagine l'Afganistan non era neppure menzionato; così come ha voluto ignorare l'invio, nello scorso giugno, dei reparti speciali italiani controguerriglia (si parla di 600 unità). Un'insipienza politica che declina verso la tragedia, dato che l'unica loro "radicale" rivendicazione sembra riguardare la realizzazione di una Conferenza internazionale di pace per l'Afganistan che, se mai si farà, confermerà la verità storica per cui le conferenze di pace servono solo agli stati in guerra.

U. F.

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