Niente è più difficile da vedere coi propri occhi
di quello che hai sotto il naso
( W. Goethe )
God bless Italia
D'Alema ha fatto il duro, nessuno voleva buttarlo ammare, neppure i
dissidenti di RC e PdCI. Non c'era nessun voto di fiducia al governo ma
solo un resoconto sulla politica estera, politicamente rilevante,
governativamente no. Perché richiamare al capezzale alleati,
detrattori e franchi tiratori?
L'isteria collettiva nella sinistra radicale piglia il sopravvento, in
coro si chiede il linciaggio degli incompatibili (quelli dell'area
trotzkista di RC), li s'insulta in aula e fuori mentre la
"comunità politica" del partito chiede alla sua piazza di
manifestare incondizionato appoggio a Prodi.
D'Alema è davvero uno sprovveduto? No.
L'operazione è quella di sbarazzarsi prima e in tempo di
eventuali intralci affinché il voto per la missione in
Afganistan non abbia più intoppi in vista di quella che la NATO
e la compagine dei volenterosi (USA e GB) hanno definito "offensiva di
primavera", un'offensiva contro i talebani in una zona dell'Afganistan
"più selvaggia del Far West" dove i comandi militari hanno
bisogno di più truppe e mezzi come anche di "poter disporre
liberamente dei contingenti in campo".
L'Italia "deve fare la sua parte" in nome della "Pace" e in modo
"Umanitario" ovviamente e per questo la recente sceneggiata
parlamentare aiuta, o almeno dovrebbe, rischiarare la notte.
Ma che cos'è l'idiozia?
Clinicamente è un grave arresto dello sviluppo intellettuale che
si manifesta in modo totale o parziale, una sorta d'infermità
incurabile; più comunemente sinonimo di stupidità,
imbecillità.
Se infatti dovessimo, tutt'a un tratto, fare a meno del nostro bagaglio
di scettici cronici potremmo ritenerci tutti vittime d'un'idiozia
governativa senza precedenti.
Basta verificare le dichiarazioni dei vari leader della sinistra al
governo dopo la grande manifestazione vicentina contro il raddoppio
della base USA e prima della "caduta" Dalemiana sulla politica estera:
"Ora ridurre l'impatto sulla città" (Fassino), "Si tenga conto
della grande partecipazione" (Diliberto), "tocca alla politica dare una
risposta a questo popolo della democrazia e della pace" (Ferrero), "La
gente ha parlato, il governo ora ascolti: la palla passa all'esecutivo,
che deve tenerne conto: non faccia orecchie da mercante", (Gianni),
"Non cade il governo per una base" (Diliberto), "Non questo governo, ma
quello precedente ha preso degli impegni e noi li onoriamo." (Fassino),
"Qui nessuno è contro il governo … spero sia chiaro a
tutti" (Giordano), "Oggi è una grande giornata di lotta contro
il governo. La speranza è che il governo capisca e torni sui
suoi passi" (Caruso).
Ma il gioco dura poco e siccome lo scetticismo non è
l'accettazione della sconfitta, ma il margine di sicurezza, di
elasticità, per cui la sconfitta – già prevista,
già ragionata – non diventa definitiva e mortale, ci
riaccolliamo l'onere e rimettiamo il partitume nella sua giusta
collocazione storica: al servizio del potere.
C'è sindrome e sindrome
Tutte le motivazioni che sono state alla base dell'assunto governativo
secondo il quale la base s'ha da fare possono essere riassunte in tre
massime:
- c'era già un accordo e bisogna onorarlo
- la base non sarà così grande e di prim'ordine
- chi s'oppone ha la sindrome di Nimby (dall'inglese Not in my back yard, non nel mio giardino di casa)
Ognuna di queste è sconfessata da dati e logica, in ordine:
l'accordo è sottoscritto dal governo precedente ovvero quello
opposto a quello attuale, il rispetto di tale impegno sarebbe spettato
allo stesso se nuovamente in sella, inoltre si parla di accordi non
scritti e questo non fa che facilitare il disimpegno di qualunque
compagine si fosse trovata a governare; la base in progetto al Dal
Molin sarà una base direttamente collegata con Aviano,
collegamento operativo diretto fra le truppe di terra (in questo caso i
paracadutisti della 173sima Aerobrigata) e i cacciabombardieri in volo,
specialmente nelle operazioni di supporto aereo ravvicinato. Il ruolo
della superbase di Vicenza avrà conseguenze dirette su
più fronti dal medioriente all'Africa.
L'ultima accusa (già mossa contro la popolazione valsusina NO
TAV) è in realtà l'esempio più evidente di una
sindrome maggiore che attanaglia la politica istituzionale,
indipendentemente dal colore di casacca ovvero quella degli impostori.
In una globalizzazione dei privilegi e delle speculazioni è solo
attraverso il lavoro locale in stretto legame con un pensare globale
che vi è possibile mutare i rapporti di forza e le chance
d'incidere concretamente rispetto ai danni imposti. Il giardino di casa
è sempre più grande, quello di Aviano è Vicenza e
viceversa, quello di Venaus è nella Bassa Friulana (corridoio
5), quello di Scanzano è in Sardegna e così via.
Il giardino della casa di tutti è l'intero globo, le conseguenze
dei disastri ambientali sono un fattore che incidono se non in tempi
reali ormai a breve/medio termine.
La parzialità ed il limite del coinvolgimento popolare locale
nella difesa dell'ambiente, della salute, dell'occupazione ecc. vanno
considerati come un fattore positivo di riapproprazione di luoghi
comuni, dopo decenni di atomizzazione imperante laddove il capitalismo
produceva individualismo diffuso e apatia politica, non possiamo non
considerare questa riconsiderazione comunitaria da parte della
popolazione, con tutte le contraddizioni che questo comporta, come
un'inversione di rotta.
La sindrome del governo Ulivista, la stessa di tutti i governi,
è presto svelata andando a evidenziare I veri motivi di una
discontinuità istituzionalmente impossibile:
- la politica estera italiana è stata stabilita dopo la Seconda
Guerra mondiale, gli accordi in parte secretati, l'alleanza NATO/USA,
il passaggio cruciale del compromesso storico, costringono chiunque
voglia governare a subordinarsi a strategie che stanno "altrove"
- la rete di basi che invadono l'Italia hanno coperto vaste, quanto
segrete, operazioni di intelligence che hanno riguardato (e
riguarderanno ancora) il cosiddetto fronte interno fatto di stragi,
golpe a bassa intensità e repressione diffusa e/o mirata
Il movimento dopo Vicenza
La grande e partecipata manifestazione vicentina che ha veduto
finalmente un nuovo protagonismo sociale con caratteristiche peculiari
e positive (in parte in linea con il fenomeno Val Susa e in parte
tipicamente locali) ha però evidenziato ancora il limite di
un'agire ingenuamente e involontariamente controllato, permeato e
strumentalizzato dalla cosiddetta sinistra radicale al governo.
L'appello del presidio permanente che ha indetto la giornata (e che
s'è visto concorrere con quello di CGIL e DS cammuffato da
coordinamento di comitati) chiedeva esplicitamente ai partiti di
partecipare come popolo, lasciando a casa le bandiere o mettendogli il
lutto, segno di coscienza di un tradimento in atto da parte di un
"governo amico".
L'appello è caduto nel vuoto, chiunque ha potuto constatare la
nutrita presenza di bandiere di RF, Verdi e PdCI e senza lutto come se
nulla stesse succedendo. Inoltre gli stessi politici scafati hanno
potuto prendersi i loro minuti da primedonne nelle tv nazionali e
locali, rilasciando appunto quelle dichiarazioni tra l'inutile e il non
sense che tutti abbiamo dovuto sorbirci.
La bagarre sulla politica estera che ha posticipato la manifestazione
conferma e amplifica l'insensatezza di un anacronistico modello "di
lotta e di governo" che caratterizza le ambiguità di certa
politica pacifista.
Il problema è quindi ancora tutto in essere, anzi, oggi
più che mai cogente, dopo l'onda di massa contro la Guerra in
Iraq e il riflusso immediatamente calato; dopo la presa del palazzo del
centrosonistra che segue le politiche berlusconiane come programma e
mostra "le contraddizioni" per tacitare la base della frangia radicale
dei partiti dell'Unione; dopo il protagonismo Dalemiano in Libano
supportato da un pacifismo nonviolento che ha riassunto i "se" e i "ma"
a pieno titolo; dopo il ridimensionamento iracheno in funzione afgana
(come stabilito dal ex esecutivo), il voto alla missione in Afganistan,
l'aumento delle spese militari ed ora l'ampliamento della base a
Vicenza, nuovo avamposto offensivo di brigate speciali: di quale
discontinuità si va cianciando? Di quale pacifismo, nonviolenza
e umanitarismo dovrebbe ritenersi rappresentato il movimento antiguerra?
Da Vicenza la discontinuità spetta al movimento, una
discontinuità che riguarda la delega e la
rappresentatività politica che non è, ormai, che l'ombra
dell'ombra di una funzione gerarchica già perdente in passato ed
oggi più che mai nociva. Il popolo della pace che parte dal
territorio e che s'interseca rizomaticamente con la globalità
delle lotte nei territori, deve fare proprio l'antimilitarismo come
base dell'agire compiendo quel salto qualitativo che libera le energie
imprigionate dalla gerarchia politica mettendole a disposizione di una
pratica netta, sincera, utile ovvero l'ostilità al monopolio
della violenza organizzata e delle strutture che la ospitano: eserciti
e basi.
Diversamente saremo tutti nuovamente chiamati a ricontarci e leccare le
ferite mentre il vecchio ceto politico esaurisce la sua funzione
lasciando il posto a quello nuovo (e ritrovando in parlamento
galoppatori del movimento attuale) che ci spiegherà quanto sia
complessa la politica, quanto interessanti le contraddizioni e
ricattandoci con o noi o la destra.
Stefano Raspa