"C'è una base per ripartire"
(Massimo D'Alema, a proposito del nuovo programma di governo; 23 febbraio 2007)
Senza aspettare gli esiti della crisi di governo, nella serata di
giovedì 22 febbraio, così come era avvenuto
martedì 13, diverse centinaia di persone hanno rumorosamente
manifestato a Vicenza davanti alla caserma Ederle, bloccando anche il
traffico in transito sul viale della Pace, mentre il comando Usa
rinviava la conferenza stampa, per la presentazione ufficiale della
nuova base, già prevista per l'indomani mattina.
Risposta migliore non poteva esserci, in considerazione anche delle
prese di posizione che, ancora una volta, avevano tentato - non
soltanto da destra - di delegittimare e criminalizzare l'opposizione
popolare al progetto Dal Molin.
Il giorno precedente, prima era arrivata la dichiarazione del
presidente della repubblica Napolitano, con un passaggio davvero degno
di menzione: "Per quanto legittime e importanti le manifestazioni non
sono la forma suprema della partecipazione e il sale della democrazia.
È nel riconoscimento della rappresentatività delle
istituzioni elette e delle relative sedi di decisione democratica che
ogni forma di partecipazione deve trovare la sua misura. Se si nega
questo ancoraggio delle istituzioni si può scivolare nella
suggestione della violenza come matrice delle decisioni invocate da
aggregazioni e mobilitazioni minoritarie. E di lì
nell'impossibilità di prevalere per questa via, si può
compiere il passo verso la degenerazione estrema del terrorismo".
In altre parole, per il presidente con alle spalle una vita dentro il
partito comunista, le lotte popolari autorganizzate, come quelle contro
la Ederle-2 o contro il Tav in Val di Susa, sono l'anticamera della
violenza e del terrorismo. D'altra parte, nelle settimane scorse, lo
stesso segretario della Cgil vicentina, Oscar Mancini, non si era
pronunciato in modo diverso, facendo più volte riferimento al
presunto carattere "antipolitico" dell'opposizione alla nuova base Usa,
sostenendo che il "nostro obiettivo deve essere quello di far
funzionare la democrazia (non solo a livello formale) ricollegando la
partecipazione popolare alle istituzioni politiche".
Se questo è il tenore della posizione espressa dal "presidente
di tutti gli italiani", il ministro degli esteri D'Alema, lo stesso
giorno della sua "caduta" al Senato, su Vicenza era stato ancora
più netto. Nella replica alle dichiarazioni del centrodestra,
infatti, aveva ribadito che "revocare questa autorizzazione sarebbe
stato e sarebbe da parte del Governo attuale, un atto ostile verso gli
Stati Uniti". Affermazione emblematica quanto autoritaria, tanto che
non era tardata la risposta, impeccabile, dei cittadini contrari: "Il
ministro D'Alema ha dichiarato che ritirare l'autorizzazione per
costruire la nuova base militare rappresenterebbe un atto ostile verso
gli Stati Uniti. Non considerare la forte contrarietà emersa
sabato scorso a Vicenza rappresenta un atto ostile verso la
comunità locale vicentina".
Ma ormai è chiaro che questa pacifica mobilitazione sociale,
autogestita e determinata, più che il "sale della democrazia"
è sale che brucia sulla ferita aperta, tra società civile
e potere militare. Anche i bambini, ormai, a Vicenza sanno che le ruspe
e le uniformi antisommossa troveranno un'estesa resistenza a questo
atto di arroganza politica e devastazione ambientale, un atto che
può davvero essere definito un atto di guerra nei confronti di
una collettività che chiedeva solo rispetto ed alla quale
è stato negato persino il diritto di esprimersi attraverso un
referendum popolare riguardo la sorte di una provincia come quella di
Vicenza che, da tempo, soffre una militarizzazione (Usa, Nato,
Gendarmeria Europea, Esercito Italiano) del territorio oltremodo
opprimente.
Per questo, davanti alla ridicola proposta da parte del governo e del
sindaco di Vicenza di spostare di appena 300 metri la mega-base, la
risposta di chi da mesi sta lottando in prima persona non poteva essere
che "Né qui né altrove".
UN reporter