Il rogo divampato ieri notte all'interno del Centro di permanenza
temporanea "Serraino Vulpitta" di Trapani ripropone in tutta la sua
drammaticità le inaccettabili condizioni di vita in cui versano
gli immigrati reclusi nonché la natura fortemente repressiva di
queste strutture dalle quali le persone cercano sempre di scappare
anche a rischio della vita.
L'ultima azione eclatante portata avanti dai migranti nel CPT di
Trapani era stato lo sciopero della fame attuato tra le fine di
dicembre e l'inizio di gennaio di quest'anno per rivendicare il diritto
alla libertà e lanciare l'allarme sulle pessime condizioni di
vivibilità del campo di internamento trapanese.
Quanto accaduto la scorsa notte torna a smentire le rassicurazioni
della Commissione ministeriale sui CPT (che pochi mesi fa aveva
visitato il "Serraino Vulpitta" e si era espressa in termini
lusinghieri nei confronti della struttura detentiva) il cui rapporto
conclusivo diffuso poche settimane fa conferma l'intento mistificatorio
dell'attuale governo che, lungi dal chiudere i CPT, vorrebbe introdurre
pretestuose distinzioni tra immigrati cui infliggere la detenzione e
immigrati ai quali far vivere una condizione di libertà vigilata
purché siano produttivi.
Per fortuna il rogo della scorsa notte non ha provocato vittime, ma non
possiamo non ricordare che sette anni fa un episodio del genere
portò alla morte di sei immigrati.
Non vogliamo che una cosa del genere accada ancora né a Trapani, né da nessun'altra parte.
I Centri di permanenza temporanea vanno chiusi immediatamente: tornano
a chiederlo e a pretenderlo, ancora una volta, proprio gli immigrati.
Coordinamento per la Pace - Trapani
Martedì 20 febbraio, in tribunale a Massa, è
cominciato ed è stato dopo pochi minuti rinviato al 15 maggio (a
causa di un difetto di notifica rilevato dalla difesa), il processo
contro 8 compagni anarchici massesi, versiliesi e spezzini "colpevoli"
del reato di omesso preavviso di manifestazione in luogo pubblico.
Tutto ebbe inizio il 3 luglio del 2004 a Marina di Massa quando, in
occasione di un'esibizione delle frecce tricolori, decidemmo di
esprimere in piazza il nostro NO a questo "spettacolo" ed al
militarismo in tutte le sue espressioni. Come abbiamo scritto nel
volantino diffuso nei giorni del processo, le "frecce tricolori sono
quegli aerei che con il loro decollo e le loro piroette del cavolo
bruciano in pochi minuti enormi quantità di denaro pubblico:
quello che non si trova per i servizi sociali, per gli ospedali, per le
pensioni, per le scuole pubbliche. Le frecce tricolori sono quegli
aerei che spesso fanno la loro bella esibizione nei cieli del belpaese,
guidati da piloti militari che, quando i superiori comandano, sono
pronti a volare su altri paesi ed a sganciare bombe che provocano morte
e distruzione. Le frecce tricolori sono il fiore all'occhiello
dell'aeronautica italiana. Abbiamo letto e sentito questa frase ogni
volta che questi costosissimi e inutili aggeggi volanti sono entrati in
azione sopra le teste di chi, evidentemente, non ha di meglio da fare
che stare a guardare a bocca aperta quattro stronzi che volano...".
Contro le fecce tricolori e contro la politica governativa fatta di
spese militari in continuo aumento, di interventi neocoloniali fuori e
sempre più controllo sociale interno, quel giorno d'estate
uscimmo dal silenzio con un volantinaggio massiccio ed uno striscione
che in poche parole riassumeva il nostro sentire: "Bombe sull'Iraq e
sui civili durante la settimana, acrobazie il sabato". Per questa
iniziativa antimilitarista ci vennero recapitati in seguito dodici
decreti penali di condanna (più di 600 euro a testa!) a cui in 8
abbiamo fatto opposizione e così, oggi, veniamo processati.
Ribadendo il rifiuto e l'opposizione al marciume e alla retorica
militarista e patriottarda, sono necessarie alcune considerazioni sulla
questione della libertà di espressione e di manifestazione del
pensiero. Per esprimerti e dire semplicemente la tua su qualunque
questione (in questo caso un volantinaggio contro le frecce tricolori,
ma può essere un presidio contro un licenziamento sul lavoro o
contro la guerra etc.etc.), devi darne preventivo avviso
all'Autorità di Pubblica Sicurezza, che può,
eventualmente, impedire lo svolgimento dell'iniziativa. Si tratta di
una legge risalente al ventennio fascista e rimasta in vigore anche con
l'avvento della Repubblica. Evidentemente coloro che detengono il
potere non possono fare a meno di controllare, schedare, reprimere chi
(gruppo, movimento o semplice individuo che sia) agisce, protesta,
lotta autonomamente, spontaneamente, senza tutori ed appoggi
istituzionali. Davanti a questa realtà è quindi
importante affermare, con la pratica, che nessuna legge e nessun
tribunale può fermare la libertà di espressione e di
manifestazione.
Uno degli 8
Nell'aula 3 del Pala(in)giustizia di Torino prosegue la sfilata di
poliziotti al processo che vede alla sbarra 10 antifascisti torinesi,
rei di aver partecipato, il 18 giugno del 2005, ad un corteo caricato
dalla forze del disordine statale. La manifestazione era la risposta di
piazza all'incursione notturna della settimana precedente all'interno
della casa occupata "Barocchio", dove, nella notte tra il 10 e l'11
giugno, una squadraccia fascista si era introdotta ferendo a coltellate
due occupanti. Uno dei due, colpito all'intestino da un fendente, venne
operato d'urgenza. Solo per caso non ci scappò il morto. Il
castello accusatorio che il PM Tatatngelo ha montato nei confronti di
10 antifascisti è particolarmente grave, poiché l'accusa
orchestrata dall'accorto PM è quella di "devastazione e
saccheggio", un'accusa che, codice alla mano, vale dagli 8 ai 15 anni
di reclusione. I vari testi che si sono susseguiti hanno confermato le
loro accuse nei confronti degli antifascisti alla sbarra, insistendo in
modo particolare sul ruolo del compagno Tobia Imperato, descritto come
"guida" nel confronto con la polizia sfociato poi nella carica finale.
Altri poliziotti hanno invece dichiarato che i due compagni arrestati
immediatamente dopo l'inizio della carica erano armati e pronti a
colpire. Di uno dei due, Silvio, hanno dichiarato che avesse un giunto
in tasca e lo stesse scagliando contro le forze del disordine statale,
di un altro, Massimiliano, i testi D'Angelo e Maestro avrebbero
dichiarato che brandiva un robusto tubo metallico sì che
sarebbero stati necessari due uomini per immobilizzarlo. A Torino
l'espressione "vedere un tubo" significa non vedere niente:
evidentemente il digos D'Angelo a forza di "vedere un tubo" ha
cominciato ad avere delle visioni.
La prossima udienza è fissata per il 24 aprile.
Euf.
Il 24 febbraio i fascisti di Fiamma Tricolore avevano annunciato un
corteo contro la politica economica del governo. I tricolorati avevano
detto che sarebbero partiti da piazza XVIII dicembre e, dopo un corteo
di qualche centinaio di metri, avrebbero concluso la manifestazione con
un comizio del loro segretario, Romagnoli, nei giardini di piazza
Lamarmora. Il corteo di Fiamma doveva partire proprio nei pressi della
targa che ricorda i martiri della Camera del lavoro, uccisi dai
fascisti di Brandimarte il 18 dicembre del 1922. Tra loro Pietro
Ferrero, anarchico, segretario della Fiom e della Camera del lavoro,
torturato a morte dai fascisti.
In seguito alle pressioni di varie forze istituzionali della sinistra
la questura ha negato la piazza ai fascisti, facendoli radunare circa
un centinaio di metri più indietro, in corso Bolzano, nei pressi
della Questura, per poi proseguire sino a piazza Lamarmora.
Nella notte di giovedì nella piazza XVIII dicembre, nella zona
di concentramento dei fasci e ai giardini Lamarmora sono comparse varie
scritte firmate FAI oppure A cerchiata (Torino è antifascista,
fasci appesi, fasci al rogo, fasci merde, Pietro Ferrero vive).
L'"assemblea antifascista" (autonomi, post disobbedienti, giovani
comunisti...) aveva indetto per venerdì 23 un
presidio/conferenza stampa in piazza XVIII dicembre cui hanno preso
parte circa 30 persone. In serata con quello che il quotidiano "La
Stampa" ha definito un "blitz degli squatter" piazza Lamarmora veniva
occupata a sorpresa dagli anarchici, che montavano un gazebo e
stendevano uno striscione con la scritta "Torino è antifascista
- Pietro Ferrero è con noi". Il presidio, animato soprattutto
degli squatter, andava avanti per l'intera nottata: da segnalare la
"strana" assenza delle forze del disordine statale, che si limitavano a
identificare quelli che si allontanavano. Forse il questore sperava che
i fascisti facessero loro il lavoro sporco: niente di nuovo nella
storia dei rapporti tra fascisti e questura. Poiché i fasci non
hanno fatto il favore di levare loro le castagne dal fuoco alle 8 e
trenta del mattina la polizia in assetto antisommossa ha circondato la
ventina di anarchici presenti al presidio intimando lo sgombero e
rovesciando il banchetto dei libri. Alle 9 del mattino lo sgombero era
finito.
Nel pomeriggio l'assemblea antifascista aveva dato appuntamento in
piazza Statuto. Questa piazza è a qualche centinaio di metri da
piazza XVIII dicembre. La quale a sua volta è a qualche
centinaio di metri dal punto di concentramento dei Fiamma Tricolorati.
Difficile dire quanti fossero i fascisti: secondo alcune testimonianze
e secondo La Stampa sarebbero stati circa un migliaio, secondo altre
testimonianze e sulla base dei commenti delusi sui loro forum, molti
meno.
In piazza Statuto, poco dopo le 15 la polizia effettuava una breve
carica, distribuendo qualche manganellata, per respingere dentro la
piazza qualche decina di persone che si era spostata in via Garibaldi.
Dal microfono gli autonomi facevano proclami altisonanti con i quali
dichiaravano che i fascisti non avrebbero sfilato per il centro e che
invece gli antifascisti lo avrebbero fatto comunque.
In realtà, come sarà ben presto chiaro, i fascisti si
indirizzeranno verso la Crocetta per finire il corteo con un comizio
davanti all'Unione Industriali.
In piazza Statuto le tensione era alta, poiché i più
ritenevano che il corteo sarebbe stato impedito dalla polizia: in
realtà un consigliere regionale di Rifondazione aveva trattato
con la questura il corteo antifascista in modo che partisse dopo che i
fascisti si erano allontanati in direzione opposta. Intorno alle 17 un
corteo di diverse centinaia di persone parte e, dopo aver a lungo
circumnavigato il centro, si dirige verso via Po, supera piazza
Lamarmora e si conclude in piazza Arbarello.
cronista
Come già segnalato sabato 24 scorso i fascisti si erano dati
appuntamento a Carrara per svolgere una manifestazione regionale dal
significativo titolo "Liberiamo Carrara", manifestazione che nelle
intenzioni avrebbe dovuto partire dalla centralissima piazza Matteotti
ma che loro, non si capisce per quale motivo, si ostinano a chiamare
piazza Farini, proprio sotto la sede del Germinal, per poi attraversare
in corteo le vie del centro.
Chiara quindi la provocazione nei nostri confronti.
Con i compagni della zona è stato deciso di mantenere la sede
come punto di riferimento della giornata, ed è per questo motivo
che il Germinal è rimasto aperto fin dalle dieci di mattina.
È stato deciso di non organizzare ufficialmente alcuna
contromanifestazione, ma di affidarsi al passaparola tra compagni dato
che le altre forze politiche di sinistra, Rifondazione in testa, si
sono ben guardate di prendere una qualsiasi posizione riguardo alla
giornata.
Così in una città blindata da polizia e carabinieri,
erano anni che non se ne vedevano tanti, il tamtam inizia a funzionare,
all'inizio siamo una ventina, poi cinquanta, cento verso le quattro.
Dalle finestre della sede viene esposto uno striscione con su scritto
"che fine ha fatto Matteotti?" riferito sia al martire socialista, che
al nome della piazza, che alle illustri assenze degli antifascisti
istituzionali: a Carrara si usa come modo di dire ad indicare una
persona di difficile reperibilità... le trombe del primo maggio
iniziano ad intonare i nostri canti e piano piano Carrara inizia a
rispondere all'appello.
Alla fine circa quattrocento persone vigilano affinché i
fascisti non entrino in piazza, e così è: si presentano
infiocchettati di tricolori e abbondantemente scortati dalla polizia
sotto la galleria che dalla piazza del Comune porta in piazza Matteotti
e li resteranno sempre meno convinti per circa un ora soverchiati dai
compagni finché con la coda tra le gambe torneranno indietro
sempre scortati come bravi scolaretti in gita.
La loro grande manifestazione si risolve con una passeggiata al coperto di venti metri in totale.
Stamani i giornali titolano di tensione in piazza, scene da anni
settanta , qualcuno inorridisce per una bottiglia di birra gentilmente
offerta da un compagno in maniera forse poco ortodossa... ma anche gli
smemorati bugiardelli locali sono tornati a chiamare la piazza
inviolata Giacomo Matteotti, anzi che Farini come nei giorni scorsi.
dielle
Il 24 febbraio circa 500 persone, in massima parte "stranieri
extracomunitari", hanno sfilato da piazza XX Settembre fino alla
prefettura di Bologna, facendo tappa all'INPS, alla CISL, alla CGIL. La
manifestazione era stata organizzata dal Coordinamento Migranti di
Bologna e provincia con l'adesione delle associazioni migranti e
antirazziste.
Il palazzo del governo come quello dei sindacati concertativi erano
segnalati come sedi di chi specula sulle, e sfrutta le, condizioni di
sottomissione degli immigrati volute dalla legislazione razzista dei
governi di centro-sinistra-destra.
La manifestazione ha avuto una buona riuscita se si tiene conto della
"guerra aperta" che ha fatto la CGIL (segnatamente l'ufficio stranieri)
per impedirla; dimostrando la capacità di autonomia e di
autorganizzazione di centinaia di lavoratori immigrati.
Una nota, diffusa in serata, a firma dell'Unione Sindacale Italiana e
della Federazione Anarchica Italina (entrambe di Bologna), sottolinea
la solidarietà (già espressa anche dalla commissione
antirazzista della FAI) degli anarchici e dei libertari alle lotte per
l'emancipazione del proletariato immigrato, incitando i migranti a
proseguire sulla strada dell'autonomia e dell'autoorganizzazione.
Una bella premessa per la buona riuscita della manifestazione che si svolgerà sabato prossimo, 3 marzo, contro i CPT.
redb