Il rinato governo prodi si è subito rimesso al lavoro sulla
normativa che costituisce il nervo scoperto di ogni sistema
rappresentativo parlamentare, cioè la legge elettorale. La
stessa compagine sociale, lo stesso numero di votanti, le stesse
espressioni di voto, possono determinare risultati significativamente
diversi. La rappresentazione del corpo elettorale varia non poco con un
sistema proporzionale o con uno maggioritario. Mentre con il sistema
proporzionale la fotografia è certo più fedele
perchè consente anche non poche sfumature, il sistema
maggioritario costringe necessariamente a grandi aggregazioni dove le
differenze si stemperano. Quel che è certo, è la stretta
connessione tra il sistema elettorale e la "governabilità",
cioè tra il modo di determinare le maggioranze parlamentari
tramite elezioni e la possibilità che chi ha la maggioranza
effettivamente governi. L'esigenza montante sarebbe quindi quella di
poter decidere, una volta ottenuta la maggioranza, senza dover
continuamente mediare, trattare, barattare. Si dice che maggiore la
complessità delle società e dei problemi del mondo,
più rapida ed effettiva deve essere l'azione di governo.
Normalmente, quindi, i sistemi maggioritari si accompagnano ad una
forte concentrazione di potere nelle mani di un singolo (presidente
della repubblica o capo del governo) espressione del potere esecutivo e
direttamente eletto da popolo. La maggioranza parlamentare sarà
quindi la maggioranza del capo del governo/presidente e ne
sosterrà la politica con l'approvazione di opportune leggi. La
legge elettorale, dicevamo, può far pervenire a diverse
rappresentazioni del corpo elettorale a seconda di come viene
congegnata. Nel senso che, al di là dei modelli puri, la maggior
parte dei sistemi elettorali sono commistioni differentemente tarate di
proporzionale e maggioritario. In realtà, la legge elettorale e
tutte le norme di corollario sulla presentazione delle liste e dei
candidati, costituiscono un terreno di scontri sanguinosi e di
raffinate manovre tra i partiti ed i politici di professione, stante il
fatto che da lì passa un bel pezzo del lavoro di acquisizione di
quel consenso che serve a "governare". Tralasciando il ruolo dei mass
media nella formazione dell'opinione pubblica, il peso delle clientele
e della criminalità organizzata e stando solo ai tecnicismi
elettoralistici e al ruolo dei partiti nell'applicarli, pare chiara
l'artificialità e la discrezionalità dei meccanismi della
rappresentanza. Artificialità e discrezionalità che si
accentuano nel momento in cui l'agire politico si fa amministrazione
dell'esistente e l'apparente asettica espressione
"governabilità" assume una posizione centrale nel discorso
politico. Giacché tutto può dirsi asettico meno che
proprio la "governabilità", pudica ed ipocrita espressione
dietro la quale si maschera la volontà di decisione di chi
detiene il potere, la volontà di dare im-mediata espressione ai
propri progetti sulla società. Al tempo stesso, se la politica
diviene governo, cioè amministrazione, dell'esistente, non
c'è alterità politica, teorizzabile, esperibile,
progettabile, non esiste nessun "altro mondo possibile" fuori di
liberismo economico e liberalismo politico.
La recente vicenda del governo Prodi, la sua crisi lampo, sono un
evidente segnale dell'affermarsi del paradigma decisionista. Uscito
vincitore dal confronto elettorale con una maggioranza risicata a causa
della legge elettorale voluta dal precedente governo berlusconiano,
Prodi si presenta come il garante proprio della "governabilità"
contro qualsiasi fin minima e ridicola pretesa di "alternativa"
all'interno dello schieramento politico di centrosinistra e del suo
elettorato (Dico e base di Vicenza, da ultimi). Piuttosto, Prodi
è, come lo fu Berlusconi, solo una faccia dietro cui si muove un
lucido gruppo politico-sindacale, certo non monolitico al suo interno,
ma i cui membri sono accomunati dalla stessa visione della politica
come gestione dell'esistente e massimizzazione in termini di potere
economico e politico di gruppo, più che personale, dell'agire
politico stesso. Il fastidio che questo gruppo prova per tutto
ciò che gli impedisce la decisione è pari solo a quello
che provano i governanti di destra passati e presenti nei confronti
della società. Insieme si accingono a mettere le mani sulla
legge elettorale in modo da garantirsi le "mani libere" in un'ottica di
"alternanza" al potere: la società non è che l'oggetto
della loro azione di "governo" e la fonte di quella ricchezza (denaro,
ma non solo) necessaria per replicarsi e restare ancora al potere. E
così via, in un ciclico e mitico susseguirsi di identiche figure.
W.B.