Umanità Nova, n.9 dell'11 marzo 2007, anno 87

Legge elettorale e governabilità
Il segno del comando



Il rinato governo prodi si è subito rimesso al lavoro sulla normativa che costituisce il nervo scoperto di ogni sistema rappresentativo parlamentare, cioè la legge elettorale. La stessa compagine sociale, lo stesso numero di votanti, le stesse espressioni di voto, possono determinare risultati significativamente diversi. La rappresentazione del corpo elettorale varia non poco con un sistema proporzionale o con uno maggioritario. Mentre con il sistema proporzionale la fotografia è certo più fedele perchè consente anche non poche sfumature, il sistema maggioritario costringe necessariamente a grandi aggregazioni dove le differenze si stemperano. Quel che è certo, è la stretta connessione tra il sistema elettorale e la "governabilità", cioè tra il modo di determinare le maggioranze parlamentari tramite elezioni e la possibilità che chi ha la maggioranza effettivamente governi. L'esigenza montante sarebbe quindi quella di poter decidere, una volta ottenuta la maggioranza, senza dover continuamente mediare, trattare, barattare. Si dice che maggiore la complessità delle società e dei problemi del mondo, più rapida ed effettiva deve essere l'azione di governo. Normalmente, quindi, i sistemi maggioritari si accompagnano ad una forte concentrazione di potere nelle mani di un singolo (presidente della repubblica o capo del governo) espressione del potere esecutivo e direttamente eletto da popolo. La maggioranza parlamentare sarà quindi la maggioranza del capo del governo/presidente e ne sosterrà la politica con l'approvazione di opportune leggi. La legge elettorale, dicevamo, può far pervenire a diverse rappresentazioni del corpo elettorale a seconda di come viene congegnata. Nel senso che, al di là dei modelli puri, la maggior parte dei sistemi elettorali sono commistioni differentemente tarate di proporzionale e maggioritario. In realtà, la legge elettorale e tutte le norme di corollario sulla presentazione delle liste e dei candidati, costituiscono un terreno di scontri sanguinosi e di raffinate manovre tra i partiti ed i politici di professione, stante il fatto che da lì passa un bel pezzo del lavoro di acquisizione di quel consenso che serve a "governare". Tralasciando il ruolo dei mass media nella formazione dell'opinione pubblica, il peso delle clientele e della criminalità organizzata e stando solo ai tecnicismi elettoralistici e al ruolo dei partiti nell'applicarli, pare chiara l'artificialità e la discrezionalità dei meccanismi della rappresentanza. Artificialità e discrezionalità che si accentuano nel momento in cui l'agire politico si fa amministrazione dell'esistente e l'apparente asettica espressione "governabilità" assume una posizione centrale nel discorso politico. Giacché tutto può dirsi asettico meno che proprio la "governabilità", pudica ed ipocrita espressione dietro la quale si maschera la volontà di decisione di chi detiene il potere, la volontà di dare im-mediata espressione ai propri progetti sulla società. Al tempo stesso, se la politica diviene governo, cioè amministrazione, dell'esistente, non c'è alterità politica, teorizzabile, esperibile, progettabile, non esiste nessun "altro mondo possibile" fuori di liberismo economico e liberalismo politico.
La recente vicenda del governo Prodi, la sua crisi lampo, sono un evidente segnale dell'affermarsi del paradigma decisionista. Uscito vincitore dal confronto elettorale con una maggioranza risicata a causa della legge elettorale voluta dal precedente governo berlusconiano, Prodi si presenta come il garante proprio della "governabilità" contro qualsiasi fin minima e ridicola pretesa di "alternativa" all'interno dello schieramento politico di centrosinistra e del suo elettorato (Dico e base di Vicenza, da ultimi). Piuttosto, Prodi è, come lo fu Berlusconi, solo una faccia dietro cui si muove un lucido gruppo politico-sindacale, certo non monolitico al suo interno, ma i cui membri sono accomunati dalla stessa visione della politica come gestione dell'esistente e massimizzazione in termini di potere economico e politico di gruppo, più che personale, dell'agire politico stesso. Il fastidio che questo gruppo prova per tutto ciò che gli impedisce la decisione è pari solo a quello che provano i governanti di destra passati e presenti nei confronti della società. Insieme si accingono a mettere le mani sulla legge elettorale in modo da garantirsi le "mani libere" in un'ottica di "alternanza" al potere: la società non è che l'oggetto della loro azione di "governo" e la fonte di quella ricchezza (denaro, ma non solo) necessaria per replicarsi e restare ancora al potere. E così via, in un ciclico e mitico susseguirsi di identiche figure.

W.B.

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