Umanità Nova, n.9 dell'11 marzo 2007, anno 87

Anarchici & Politica-5
Gabbie identitarie e seduzioni libertarie



Sul numero 39 del 2006 di UN con il titolo "Diserzione, passione, conflitto, sperimentazione" e sul numero 2 di quest'anno con il titolo "Il politico e il sociale" abbiamo pubblicato alcuni testi dedicati al tema "Anarchici & politica". Gli articoli sono del nostro collaboratore Salvo Vaccaro che ci aveva proposto di iniziare un dibattito su questo tema, suddividendolo intorno a varie aree tematiche. Sul numero 3 è comparso il contributo di Walter Siri "Più società meno politica".
La discussione è proseguita sul numero 5 con un pezzo di Massimo Varengo "Anarchismo ed autorganizzazione". Vi proponiamo qui un ulteriore intervento (altri sono nel cassetto) di Salvo Vaccaro. Precisiamo che tutti i pezzi di Vaccaro - questo come gli altri inediti - sono stati redatti prima dell'apertura del dibattito: è stata una decisione redazionale quella di diluirli nel tempo.

L'anarchismo tra coerenza, inattualità, sperimentazione
Il tipico orgoglio della tradizione di pensiero e di azione degli anarchici trova una robusta radice nella incorruttibilità che caratterizza la nostra tradizione, che ha pagato con sconfitte probabili vittorie che avrebbero però sancito il rinnegamento del pensiero e dell'azione libertaria. Non fare o non pensare alcune scorciatoie quando la pressione degli eventi ci offre una opportunità in tale direzione è indice di una sana posizione nel mondo della vita e della sfera della politica qui presa in considerazione. Certo, isolamento ed emarginazione ne possono essere i prezzi, ma svilirci o svendere il proprio patrimonio significherebbe solitamente conseguire una effimera gratificazione che durerebbe pochi minuti, mentre siamo e restiamo i pochi che possono andare fieramente a testa alta.
La difesa di tale postura dritta viene spesso affidata alla dottrina ideologica, che talvolta sembra somigliare al kantiano "tribunale della ragione", che in quanto tale si arroga il diritto di validare questa o quella data azione, di dare ragione o meno a questo o a quel pensiero, di condannare o assolvere uno specifico assetto tattico o strategico delle anarchiche e anarchici organizzati. L'ideologia, in tal casi, slitta senza nemmeno che ce ne accorgiamo da baluardo difensivo a fronte di infiltrazioni esteriori che mirano a scardinare la coerenza del pensiero e dell'azione, a ingranaggio che blocca in via preventiva le potenzialità di sviluppo sperimentale e inedito di un pensiero e di una azione che hanno sempre fatto della novità, rispetto ai tempi, e della radicalità, diversa in ogni epoca, la forza della propria autoriproduzione nel corso dei secoli.
In altri termini, orientare il fare della politica in senso anarchico e libertario, da parte degli anarchici organizzati, avendo come unico baricentro di ispirazione l'ideologia, significa quasi sicuramente condannarsi alla sterile conservazione dello status quo, che invece vediamo mutare a velocità diverse secondo i tempi, indipendentemente dal ritmo che l'ideologia imprime alla nostra azione politica. Fare dell'ideologia il criterio di purezza dell'agire politico, lungi dal rafforzare la specificità dell'anarchismo nel panorama della concorrenza politica nella sfera della società, ottiene involontariamente il risultato indesiderato, ossia trasformare l'azione in testimonianza moralistica e moraleggiante, tipica da anime candide che si pongono con colpevole altezza alla finestra per osservare, spesso con spregio, le bassezze della vita quotidiana e della (bassa) cucina politica, rimpiangendo aristocraticamente i bei tempi quando… e qua ognuno può far ricorso ad una delle tradizioni anarchiche del passato con cui abbiamo intimorito padroni e oppressori in ogni latitudine del globo terracqueo.
Vero, beninteso, ma inesorabilmente legato ad un passato che non torna più, che al limite ci garantisce una rendita di posizione, spesso folkloristica (la bella cultura libertaria, l'arte libera, i martiri peraltro ingenui se non fessi di Barcelona 1937, le buone vittime di piazza Fontana, ecc.), ma che tuttavia oggi ci spiazza dall'aver voce in capitolo nella vita contemporanea, relegandoci in un altrove, magari bello, in cui starsene regalmente con la dignità intatta, mentre altri si sporcano e mani cercando qualche via da sperimentare per orientare la trasformazione della qualità della vita in senso vagamente libertario - vista l'assenza degli anarchici, ed è già tanto: se non ci pensiamo a noi a provare e cercare uno spiraglio di possibilità nell'oggi, come potremo aspettarci diversamente!?
Proprio perché non crediamo alla bella favola ingannatrice della scomparsa delle ideologie, occorre assegnare il giusto posto ad essa nel campo dell'immaginario simbolico delle anarchiche e degli anarchici, senza però che ciò paralizzi le potenzialità di diffusione delle pratiche libertarie e anarchiche tra le pieghe di una società odierna spesso soffocata da una saturazione statuale di istituzioni che catturano le spinte di rinnovamento e di sperimentazione per incasellarle al loro interno, deviandole così da ogni intento sovversivo. Su questo piano concreto, e non tanto su un campo di battaglia ideologico, si misura la possibilità dell'anarchismo oggi di divenire forza trainante di un conflitto sociale orientato in senso di una trasformazione qualitativa dell'esistenza che esprima nella pratica della vita organizzata quelle intuizioni e quelle esperienze che, se relegate a retorica ideologica, si condannano da sé a restare scolpite nella memoria come un monumento superbo, ma privo di ogni capacità aurea di incitare ad una mimesi sapiente e rinnovata.

Il primato della libertà
Abbiamo ereditato dalla nostra tradizione politica un aggettivo che qualifica la nostra organizzazione: specifico. Sembra facilmente intuibile il senso di tale precisazione poiché storicamente l'organizzazione specifica si è distinta dall'organizzazione di massa – erroneamente appiattita sulla forma sindacato (sia pure libertario) in quanto potrebbe anche concernere sfere della società in cui la rivendicazione conflittuale non riguarda il mondo del lavoro – in ragione soprattutto della qualità dei suoi aderenti. È ovvio che all'organizzazione specifica si aderisce in quanto anarchici convinti, mentre l'organizzazione di massa contempla una adesione potenziale di tutti coloro che ne condividono metodi e strategie, senza ricorrere all'elemento identitario come discrimine di appartenenza.
Tuttavia, se cambiamo angolazione e ci portiamo sul versante della conflittualità politica che dovrebbe animare entrambe le organizzazioni, quella qualifica a prima vista chiara e definita nasconde alcuni risvolti poco esplicitati. Specialmente se ci interroghiamo su cosa possa costituire una politica anarchica specifica. In effetti, a ben guardare il focus delle lotte condotte dalle anarchiche e dagli anarchici, al di là della questione sindacale con le tematiche legate al mondo del lavoro, risulta una in distinzione tra conflitti portati avanti da organizzazioni specifiche e organizzazioni di massa, se non per l'identità – stretta o larga – della componente di formazione anarchica o libertaria. Ossia la specificità dell'organizzazione composta da soli anarchici diviene una autoreferenzialità della connotazione identitaria che non si lega affatto all'oggetto del conflitto, che infatti può variare dall'antimilitarismo all'anticlericalismo, dall'ecologismo ambientale riflesso nello stile di vita al municipalismo libertario, e via dicendo.
Questa indistinzione di contenuto implica pur sempre il problema identitario nel rapporto tra anarchici e non-anarchici con cui lottare insieme. La difficoltà del rapporto, se incorniciata in un quadro di appartenenza politica o di affiliazione ideologica, complica ancor di più la difficoltà, che si riverbera all'interno dell'organizzazione specifica che, data la propria specificità, o si affida, in una sorta di delega implicita, all'organizzazione di massa al fine di proseguire la lotta orientandola in senso libertario, oppure non può che impuntarsi, appunto autoreferenzialmente, sulla propria identità non negoziabile, col risultato di cedere il passo ed abbandonare il terreno del conflitto quando i rapporti con le altri componenti non-anarchiche non risultano più componibili in maniera soddisfacente.
Forse occorrerebbe eludere il problema dell'identità, che in quanto tale attiene ad una metafisica della stabilità perenne delle cose che mal si addice ad una attitudine anarchica a che le cose cambino in modo radicale e non si cristallizzino mai (il lato antistituzionale dell'anarchismo), per rivolgere la nostra attenzione su quanto attiene specificamente alla nostra specificità di anarchici, ossia l'amore smisurato per la libertà. Lungi dal sembrare una connotazione debole rispetto all'identità anarchica, il libertarismo di cui siamo animati e che condividiamo anche con coloro che magari anarchici convinti non sono - per varie ragioni, talvolta anche psicologiche e pertanto difficili da inseguire e risolvere, specie all'interno di un andamento conflittuale o su un terreno di lotta incerto – diventa o potrebbe diventare il tratto connotativo per eccellenza del nostro essere anarchici in azione, facendolo giocare persino come elemento di vantaggio comparativo con la concorrenza politica, per così dire.
In altri termini, fare della questione della libertà il perno delle lotte di una organizzazione specifica, dal quale poi far ripartire una precipitazione di tali lotte su molteplici risvolti di una libertà da e di una libertà di, al cui interno pertanto rientrerebbero ogni potenziale di conflitto sociale, significherebbe individuare una assetto strategico che lega l'esistenza in vita di una organizzazione specifica non tanto alla peculiarità individuale dei suoi aderenti, quanto alla qualità del conflitto indirizzato su aspetti strettamente legati a questioni di libertà. In tal senso la caratterizzazione pubblica dell'organizzazione specifica sarebbe immediatamente visibile in quanto tutti saprebbero che là dove c'è in ballo un problema di libertà, là troveranno anarchici e anarchiche a interrogarsi insieme sulla loro estensione, sul loro approfondimento, sulle conseguenze che da ciò deriva, sulle forme di resistenza e di rilancio in caso di attacco alle libertà, ecc.
Porre questa prima netta distinzione tra l'oggetto strategico del conflitto politico in senso anarchico non darebbe solo il segno di una visibilità legata all'oggetto della lotta e non ai soggetti che la portano avanti, ma costituirebbe altresì la connessione non identitaria per l'allargamento del conflitto avendo bene stretta in mano la barra del timone che conduce la nave della libertà oltre i pericolosi scogli del suo naufragio, indipendentemente dal livello di appartenenza identitaria della ciurma a disposizione.

Salvo Vaccaro

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