Sul numero 39 del 2006 di UN con il
titolo "Diserzione, passione, conflitto, sperimentazione" e sul numero
2 di quest'anno con il titolo "Il politico e il sociale" abbiamo
pubblicato alcuni testi dedicati al tema "Anarchici & politica".
Gli articoli sono del nostro collaboratore Salvo Vaccaro che ci aveva
proposto di iniziare un dibattito su questo tema, suddividendolo
intorno a varie aree tematiche. Sul numero 3 è comparso il
contributo di Walter Siri "Più società meno politica".
La discussione è proseguita
sul numero 5 con un pezzo di Massimo Varengo "Anarchismo ed
autorganizzazione". Vi proponiamo qui un ulteriore intervento (altri
sono nel cassetto) di Salvo Vaccaro. Precisiamo che tutti i pezzi di
Vaccaro - questo come gli altri inediti - sono stati redatti prima
dell'apertura del dibattito: è stata una decisione redazionale
quella di diluirli nel tempo.
L'anarchismo tra coerenza, inattualità, sperimentazione
Il tipico orgoglio della tradizione di pensiero e di azione degli
anarchici trova una robusta radice nella incorruttibilità che
caratterizza la nostra tradizione, che ha pagato con sconfitte
probabili vittorie che avrebbero però sancito il rinnegamento
del pensiero e dell'azione libertaria. Non fare o non pensare alcune
scorciatoie quando la pressione degli eventi ci offre una
opportunità in tale direzione è indice di una sana
posizione nel mondo della vita e della sfera della politica qui presa
in considerazione. Certo, isolamento ed emarginazione ne possono essere
i prezzi, ma svilirci o svendere il proprio patrimonio significherebbe
solitamente conseguire una effimera gratificazione che durerebbe pochi
minuti, mentre siamo e restiamo i pochi che possono andare fieramente a
testa alta.
La difesa di tale postura dritta viene spesso affidata alla dottrina
ideologica, che talvolta sembra somigliare al kantiano "tribunale della
ragione", che in quanto tale si arroga il diritto di validare questa o
quella data azione, di dare ragione o meno a questo o a quel pensiero,
di condannare o assolvere uno specifico assetto tattico o strategico
delle anarchiche e anarchici organizzati. L'ideologia, in tal casi,
slitta senza nemmeno che ce ne accorgiamo da baluardo difensivo a
fronte di infiltrazioni esteriori che mirano a scardinare la coerenza
del pensiero e dell'azione, a ingranaggio che blocca in via preventiva
le potenzialità di sviluppo sperimentale e inedito di un
pensiero e di una azione che hanno sempre fatto della novità,
rispetto ai tempi, e della radicalità, diversa in ogni epoca, la
forza della propria autoriproduzione nel corso dei secoli.
In altri termini, orientare il fare della politica in senso anarchico e
libertario, da parte degli anarchici organizzati, avendo come unico
baricentro di ispirazione l'ideologia, significa quasi sicuramente
condannarsi alla sterile conservazione dello status quo, che invece
vediamo mutare a velocità diverse secondo i tempi,
indipendentemente dal ritmo che l'ideologia imprime alla nostra azione
politica. Fare dell'ideologia il criterio di purezza dell'agire
politico, lungi dal rafforzare la specificità dell'anarchismo
nel panorama della concorrenza politica nella sfera della
società, ottiene involontariamente il risultato indesiderato,
ossia trasformare l'azione in testimonianza moralistica e
moraleggiante, tipica da anime candide che si pongono con colpevole
altezza alla finestra per osservare, spesso con spregio, le bassezze
della vita quotidiana e della (bassa) cucina politica, rimpiangendo
aristocraticamente i bei tempi quando… e qua ognuno può
far ricorso ad una delle tradizioni anarchiche del passato con cui
abbiamo intimorito padroni e oppressori in ogni latitudine del globo
terracqueo.
Vero, beninteso, ma inesorabilmente legato ad un passato che non torna
più, che al limite ci garantisce una rendita di posizione,
spesso folkloristica (la bella cultura libertaria, l'arte libera, i
martiri peraltro ingenui se non fessi di Barcelona 1937, le buone
vittime di piazza Fontana, ecc.), ma che tuttavia oggi ci spiazza
dall'aver voce in capitolo nella vita contemporanea, relegandoci in un
altrove, magari bello, in cui starsene regalmente con la dignità
intatta, mentre altri si sporcano e mani cercando qualche via da
sperimentare per orientare la trasformazione della qualità della
vita in senso vagamente libertario - vista l'assenza degli anarchici,
ed è già tanto: se non ci pensiamo a noi a provare e
cercare uno spiraglio di possibilità nell'oggi, come potremo
aspettarci diversamente!?
Proprio perché non crediamo alla bella favola ingannatrice della
scomparsa delle ideologie, occorre assegnare il giusto posto ad essa
nel campo dell'immaginario simbolico delle anarchiche e degli
anarchici, senza però che ciò paralizzi le
potenzialità di diffusione delle pratiche libertarie e
anarchiche tra le pieghe di una società odierna spesso soffocata
da una saturazione statuale di istituzioni che catturano le spinte di
rinnovamento e di sperimentazione per incasellarle al loro interno,
deviandole così da ogni intento sovversivo. Su questo piano
concreto, e non tanto su un campo di battaglia ideologico, si misura la
possibilità dell'anarchismo oggi di divenire forza trainante di
un conflitto sociale orientato in senso di una trasformazione
qualitativa dell'esistenza che esprima nella pratica della vita
organizzata quelle intuizioni e quelle esperienze che, se relegate a
retorica ideologica, si condannano da sé a restare scolpite
nella memoria come un monumento superbo, ma privo di ogni
capacità aurea di incitare ad una mimesi sapiente e rinnovata.
Il primato della libertà
Abbiamo ereditato dalla nostra tradizione politica un aggettivo che
qualifica la nostra organizzazione: specifico. Sembra facilmente
intuibile il senso di tale precisazione poiché storicamente
l'organizzazione specifica si è distinta dall'organizzazione di
massa – erroneamente appiattita sulla forma sindacato (sia pure
libertario) in quanto potrebbe anche concernere sfere della
società in cui la rivendicazione conflittuale non riguarda il
mondo del lavoro – in ragione soprattutto della qualità
dei suoi aderenti. È ovvio che all'organizzazione specifica si
aderisce in quanto anarchici convinti, mentre l'organizzazione di massa
contempla una adesione potenziale di tutti coloro che ne condividono
metodi e strategie, senza ricorrere all'elemento identitario come
discrimine di appartenenza.
Tuttavia, se cambiamo angolazione e ci portiamo sul versante della
conflittualità politica che dovrebbe animare entrambe le
organizzazioni, quella qualifica a prima vista chiara e definita
nasconde alcuni risvolti poco esplicitati. Specialmente se ci
interroghiamo su cosa possa costituire una politica anarchica
specifica. In effetti, a ben guardare il focus delle lotte condotte
dalle anarchiche e dagli anarchici, al di là della questione
sindacale con le tematiche legate al mondo del lavoro, risulta una in
distinzione tra conflitti portati avanti da organizzazioni specifiche e
organizzazioni di massa, se non per l'identità – stretta o
larga – della componente di formazione anarchica o libertaria.
Ossia la specificità dell'organizzazione composta da soli
anarchici diviene una autoreferenzialità della connotazione
identitaria che non si lega affatto all'oggetto del conflitto, che
infatti può variare dall'antimilitarismo all'anticlericalismo,
dall'ecologismo ambientale riflesso nello stile di vita al
municipalismo libertario, e via dicendo.
Questa indistinzione di contenuto implica pur sempre il problema
identitario nel rapporto tra anarchici e non-anarchici con cui lottare
insieme. La difficoltà del rapporto, se incorniciata in un
quadro di appartenenza politica o di affiliazione ideologica, complica
ancor di più la difficoltà, che si riverbera all'interno
dell'organizzazione specifica che, data la propria specificità,
o si affida, in una sorta di delega implicita, all'organizzazione di
massa al fine di proseguire la lotta orientandola in senso libertario,
oppure non può che impuntarsi, appunto autoreferenzialmente,
sulla propria identità non negoziabile, col risultato di cedere
il passo ed abbandonare il terreno del conflitto quando i rapporti con
le altri componenti non-anarchiche non risultano più componibili
in maniera soddisfacente.
Forse occorrerebbe eludere il problema dell'identità, che in
quanto tale attiene ad una metafisica della stabilità perenne
delle cose che mal si addice ad una attitudine anarchica a che le cose
cambino in modo radicale e non si cristallizzino mai (il lato
antistituzionale dell'anarchismo), per rivolgere la nostra attenzione
su quanto attiene specificamente alla nostra specificità di
anarchici, ossia l'amore smisurato per la libertà. Lungi dal
sembrare una connotazione debole rispetto all'identità
anarchica, il libertarismo di cui siamo animati e che condividiamo
anche con coloro che magari anarchici convinti non sono - per varie
ragioni, talvolta anche psicologiche e pertanto difficili da inseguire
e risolvere, specie all'interno di un andamento conflittuale o su un
terreno di lotta incerto – diventa o potrebbe diventare il tratto
connotativo per eccellenza del nostro essere anarchici in azione,
facendolo giocare persino come elemento di vantaggio comparativo con la
concorrenza politica, per così dire.
In altri termini, fare della questione della libertà il perno
delle lotte di una organizzazione specifica, dal quale poi far
ripartire una precipitazione di tali lotte su molteplici risvolti di
una libertà da e di una libertà di, al cui interno
pertanto rientrerebbero ogni potenziale di conflitto sociale,
significherebbe individuare una assetto strategico che lega l'esistenza
in vita di una organizzazione specifica non tanto alla
peculiarità individuale dei suoi aderenti, quanto alla
qualità del conflitto indirizzato su aspetti strettamente legati
a questioni di libertà. In tal senso la caratterizzazione
pubblica dell'organizzazione specifica sarebbe immediatamente visibile
in quanto tutti saprebbero che là dove c'è in ballo un
problema di libertà, là troveranno anarchici e anarchiche
a interrogarsi insieme sulla loro estensione, sul loro approfondimento,
sulle conseguenze che da ciò deriva, sulle forme di resistenza e
di rilancio in caso di attacco alle libertà, ecc.
Porre questa prima netta distinzione tra l'oggetto strategico del
conflitto politico in senso anarchico non darebbe solo il segno di una
visibilità legata all'oggetto della lotta e non ai soggetti che
la portano avanti, ma costituirebbe altresì la connessione non
identitaria per l'allargamento del conflitto avendo bene stretta in
mano la barra del timone che conduce la nave della libertà oltre
i pericolosi scogli del suo naufragio, indipendentemente dal livello di
appartenenza identitaria della ciurma a disposizione.
Salvo Vaccaro