Il dibattito sul disegno di legge Bindi-Pollastrini mirato alla tutela
dei diritti delle coppie di fatto si è irrimediabilmente
avvelenato nella solita bagarre tutta italiana che ha assunto, manco a
dirlo toni apocalittici. Chi si dichiara contro i Dico agita lo
spauracchio della fine della famiglia e, per estensione, della
solidità su cui si fonderebbe l'intero assetto sociale; chi
invece caldeggia la conversione in legge di questo provvedimento lo
saluta come una conquista di progresso e civiltà, forse meno
coraggiosa dei Pacs francesi, ma certamente all'altezza di una
democrazia moderna e via discorrendo. Al di là della
macchiettistica situazione che vede esponenti politici di entrambi gli
schieramenti solidarizzare in nome della comune appartenenza al
cattolicesimo, ci sembra che come in molte altre circostanze le parole
si siano ormai avviluppate su se stesse e la partita si giochi su un
piano simbolico fortemente viziato.
I diritti, intesi come riconoscimenti che lo stato accorda ai cittadini
attraverso l'emanazione di un ordinamento che li regoli, sono senza
ombra di dubbio importantissimi. Nel caso specifico, una parte della
società italiana esprime l'esigenza che anche le coppie
conviventi possano godere di riconoscimenti giuridici adeguati che
tutelino i loro diritti di persone che scelgono di condividere un
percorso di vita comune. Una tutela riconosciuta al di fuori del
matrimonio e che nella sua rivendicazione apparentemente più
avanzata si spinge fino alla richiesta che anche le coppie omosessuali
abbiano un loro riconoscimento ufficiale.
Il problema culturale e politico è senz'altro rilevante ma forse
è destinato a non essere risolto almeno finché ci si
muoverà negli angusti recinti statuali e istituzionali ai quali
– paradossalmente – si chiede di intervenire per
regolamentare e imbrigliare gli aspetti più intimi delle vite
degli individui. Che la Chiesa cattolica sia contro qualsiasi tentativo
di configurare nuovi assetti giuridici in materia di diritto di
famiglia non sorprende affatto (più volte in tempi recenti le
gerarchie ecclesiastiche si sono espresse chiaramente contro la
libertà dell'uomo e della donna e la loro autodeterminazione) e
il concetto stesso di famiglia, di unione da consacrare a Dio ai fini
della procreazione e della santità in terra, è un
tabù assolutamente inviolabile. Ciò che risulta
intollerabile (ma altrettanto noto) è la costante ingerenza
della Chiesa sulle decisioni collettive e il forte condizionamento che
essa opera sulla vita politica del paese.
Dall'altra parte della barricata si assiste a un curioso dipanarsi di
rare posizioni spiccatamente anticlericali e di più cauti e
maggioritari tentativi compromissori che tendono a fornire alcune
parziali risposte che non pestino troppo i piedi al Vaticano e ai suoi
interessi. Non è un caso, infatti, che il Prodi-bis abbia
volutamente omesso la faccenda dei Dico dai dodici comandamenti della
nuova legislatura incassando il plauso della Cei e le critiche dei
ministri di lotta e di governo sempre pronti a scendere in piazza in
perfetto stile cerchiobottista.
A nostro avviso, bisognerebbe provare a squarciare il velo
dell'ipocrisia. Ciò di cui si parla è un totem, e lo
è per tutti. Questo totem è la famiglia, l'istituzione
sociale per eccellenza, la cellula dalla quale si dipana
l'organizzazione sociale così come la conosciamo. La famiglia
non è, e non dovrebbe essere, un'astrazione perché
è fatta della carne viva di chi la anima e di chi la
caratterizza. Stato e Chiesa, invece, hanno necessità che la
vita, l'amore, l'affetto o anche solo la casualità delle
relazioni siano sottoposte a un processo di cristallizzazione per
alienarle dagli interessi concreti delle persone. A essere sinceri, la
questione della tutela giuridica delle convivenze eterosessuali ci
appassiona poco. Uno strumento giuridico che definisce reciproci
diritti e doveri fra due persone legate da un vincolo esiste
già, ed è il matrimonio. Quello celebrato da una pubblica
autorità che legge ad alta voce tre articoli del codice civile e
ti dichiara moglie o marito, niente di più e niente di meno. Chi
decide di sposarsi civilmente riconosce allo stato la
legittimità di regolare la propria unione con tutti i vantaggi o
gli svantaggi che ciascuno può considerare liberamente. E
dunque, dal nostro punto di vista, l'aspetto più interessante in
questa querelle riguarderebbe il riconoscimento giuridico delle coppie
omosessuali: da una prospettiva meramente legalitaria, la vera
frontiera da abbattere sarebbe quella del matrimonio omosessuale
equiparato – in tutto e per tutto – al matrimonio etero.
Questa battaglia, pur nella sua parzialità, ci appassionerebbe
di più. Ben inteso, chi scrive non riconosce alcuna
legittimità politica all'ordinamento giuridico e ai suoi
strumenti normativi. La società che vogliamo e che ogni giorno
cerchiamo di costruire è una società in cui le relazioni
siano autodeterminate attraverso regole del tutto umane che di volta in
volta si adattino alle esigenze degli individui e dei gruppi. Regole
condivise e fatte da tutti, non certo imposte dall'alto. Quella
porzione di società italiana che auspica fortemente
l'approvazione dei Dico conduce, a nostro avviso, una battaglia di
retroguardia che ci lascia interdetti perché tenta di strappare
il surrogato di una istituzione, quella matrimoniale, che di per
sé fa acqua da tutte le parti. Se l'asprezza dello scontro fosse
convogliata su un obiettivo politico più alto, come quello della
diserzione dal giogo che Stato e Chiesa impongono all'intimità
delle persone, si porrebbe seriamente in crisi chi – dall'alto
dei propri privilegi – vuole a tutti costi una società a
proprio uso e consumo. E, nel frattempo, riteniamo che non si possano
tenere gli occhi chiusi di fronte all'incontrovertibile crollo della
famiglia tradizionale, morta e sepolta da tempo, covo di frustrazioni,
di brutale esercizio della gerarchia, di violenze quotidiane fisiche e
psicologiche, di patriarcato e infelicità. Un modello in scala,
che nessuno – a destra o a sinistra – oserà mai
criticare, della società del dominio.
TAZ laboratorio di comunicazione libertaria