Umanità Nova, n.10 del 18 marzo 2007, anno 87

Amori senza legge. Il totem familiare e i Dico


Il dibattito sul disegno di legge Bindi-Pollastrini mirato alla tutela dei diritti delle coppie di fatto si è irrimediabilmente avvelenato nella solita bagarre tutta italiana che ha assunto, manco a dirlo toni apocalittici. Chi si dichiara contro i Dico agita lo spauracchio della fine della famiglia e, per estensione, della solidità su cui si fonderebbe l'intero assetto sociale; chi invece caldeggia la conversione in legge di questo provvedimento lo saluta come una conquista di progresso e civiltà, forse meno coraggiosa dei Pacs francesi, ma certamente all'altezza di una democrazia moderna e via discorrendo. Al di là della macchiettistica situazione che vede esponenti politici di entrambi gli schieramenti solidarizzare in nome della comune appartenenza al cattolicesimo, ci sembra che come in molte altre circostanze le parole si siano ormai avviluppate su se stesse e la partita si giochi su un piano simbolico fortemente viziato.
I diritti, intesi come riconoscimenti che lo stato accorda ai cittadini attraverso l'emanazione di un ordinamento che li regoli, sono senza ombra di dubbio importantissimi. Nel caso specifico, una parte della società italiana esprime l'esigenza che anche le coppie conviventi possano godere di riconoscimenti giuridici adeguati che tutelino i loro diritti di persone che scelgono di condividere un percorso di vita comune. Una tutela riconosciuta al di fuori del matrimonio e che nella sua rivendicazione apparentemente più avanzata si spinge fino alla richiesta che anche le coppie omosessuali abbiano un loro riconoscimento ufficiale.
Il problema culturale e politico è senz'altro rilevante ma forse è destinato a non essere risolto almeno finché ci si muoverà negli angusti recinti statuali e istituzionali ai quali – paradossalmente – si chiede di intervenire per regolamentare e imbrigliare gli aspetti più intimi delle vite degli individui. Che la Chiesa cattolica sia contro qualsiasi tentativo di configurare nuovi assetti giuridici in materia di diritto di famiglia non sorprende affatto (più volte in tempi recenti le gerarchie ecclesiastiche si sono espresse chiaramente contro la libertà dell'uomo e della donna e la loro autodeterminazione) e il concetto stesso di famiglia, di unione da consacrare a Dio ai fini della procreazione e della santità in terra, è un tabù assolutamente inviolabile. Ciò che risulta intollerabile (ma altrettanto noto) è la costante ingerenza della Chiesa sulle decisioni collettive e il forte condizionamento che essa opera sulla vita politica del paese.
Dall'altra parte della barricata si assiste a un curioso dipanarsi di rare posizioni spiccatamente anticlericali e di più cauti e maggioritari tentativi compromissori che tendono a fornire alcune parziali risposte che non pestino troppo i piedi al Vaticano e ai suoi interessi. Non è un caso, infatti, che il Prodi-bis abbia volutamente omesso la faccenda dei Dico dai dodici comandamenti della nuova legislatura incassando il plauso della Cei e le critiche dei ministri di lotta e di governo sempre pronti a scendere in piazza in perfetto stile cerchiobottista.
A nostro avviso, bisognerebbe provare a squarciare il velo dell'ipocrisia. Ciò di cui si parla è un totem, e lo è per tutti. Questo totem è la famiglia, l'istituzione sociale per eccellenza, la cellula dalla quale si dipana l'organizzazione sociale così come la conosciamo. La famiglia non è, e non dovrebbe essere, un'astrazione perché è fatta della carne viva di chi la anima e di chi la caratterizza. Stato e Chiesa, invece, hanno necessità che la vita, l'amore, l'affetto o anche solo la casualità delle relazioni siano sottoposte a un processo di cristallizzazione per alienarle dagli interessi concreti delle persone. A essere sinceri, la questione della tutela giuridica delle convivenze eterosessuali ci appassiona poco. Uno strumento giuridico che definisce reciproci diritti e doveri fra due persone legate da un vincolo esiste già, ed è il matrimonio. Quello celebrato da una pubblica autorità che legge ad alta voce tre articoli del codice civile e ti dichiara moglie o marito, niente di più e niente di meno. Chi decide di sposarsi civilmente riconosce allo stato la legittimità di regolare la propria unione con tutti i vantaggi o gli svantaggi che ciascuno può considerare liberamente. E dunque, dal nostro punto di vista, l'aspetto più interessante in questa querelle riguarderebbe il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali: da una prospettiva meramente legalitaria, la vera frontiera da abbattere sarebbe quella del matrimonio omosessuale equiparato – in tutto e per tutto – al matrimonio etero. Questa battaglia, pur nella sua parzialità, ci appassionerebbe di più. Ben inteso, chi scrive non riconosce alcuna legittimità politica all'ordinamento giuridico e ai suoi strumenti normativi. La società che vogliamo e che ogni giorno cerchiamo di costruire è una società in cui le relazioni siano autodeterminate attraverso regole del tutto umane che di volta in volta si adattino alle esigenze degli individui e dei gruppi. Regole condivise e fatte da tutti, non certo imposte dall'alto. Quella porzione di società italiana che auspica fortemente l'approvazione dei Dico conduce, a nostro avviso, una battaglia di retroguardia che ci lascia interdetti perché tenta di strappare il surrogato di una istituzione, quella matrimoniale, che di per sé fa acqua da tutte le parti. Se l'asprezza dello scontro fosse convogliata su un obiettivo politico più alto, come quello della diserzione dal giogo che Stato e Chiesa impongono all'intimità delle persone, si porrebbe seriamente in crisi chi – dall'alto dei propri privilegi – vuole a tutti costi una società a proprio uso e consumo. E, nel frattempo, riteniamo che non si possano tenere gli occhi chiusi di fronte all'incontrovertibile crollo della famiglia tradizionale, morta e sepolta da tempo, covo di frustrazioni, di brutale esercizio della gerarchia, di violenze quotidiane fisiche e psicologiche, di patriarcato e infelicità. Un modello in scala, che nessuno – a destra o a sinistra – oserà mai criticare, della società del dominio.

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