Sarebbe davvero interessante conoscere il nome di chi ha pensato quella
sigla "biblica", ma di certo il sistema MoSE (Modulo Sperimentale
Elettromeccanico), non passerà alla storia per aver salvato
Venezia e i veneziani separando le acque, con buona pace anche di
Rossana Rossanda.
Questo progetto, partito nel 2003 dopo almeno un ventennio di
controversi studi per risolvere il problema delle acque alte a Venezia,
prevede l'installazione e l'impiego di ben 79 paratoie mobili d'acciaio
sottomarine di circa 350 tonnellate l'una che, teoricamente, dovrebbero
arginare la marea chiudendo la laguna. Oltre che il comune di Venezia
tale super progetto coinvolge anche quelli lagunari di Cavallino,
Chioggia, Mira e Jesolo.
Fin dall'inizio l'impatto del progetto era apparso distruttivo per
l'ambiente, sia nella fase di costruzione che in quella futura di
impiego, anche in considerazione del già delicatissimo e
compromesso ecosistema lagunare che, invece, necessiterebbe di un
più complessivo, diffuso ed organico, riequilibrio idrogeologico
e morfologico, a partire da una consistente riduzione della
profondità dei fondali dei canali marittimi portuali,
attualmente utilizzati da grandi petroliere, porta-container e mega
navi da crociera. Questi canali hanno l'effetto di vere pompe
idrauliche capaci di far entrare il mare in laguna, accrescendone la
forza, e di trascinare fuori, ad ogni marea calante, migliaia di metri
cubi di sedimenti lagunari.
Le conseguenze devastanti della costruzione del Mose sono connesse
all'installazione di oltre 12 mila pali di cemento piantati sul fondo
della laguna, al dragaggio di circa 5 milioni di metri cubi di
materiale dal fondo e l'utilizzo di circa 8,5 milioni di tonnellate di
pietrame necessario per le fondamenta; nonché alla creazione di
un'isoletta artificiale al centro della bocca di porto del Lido e
alcune barriere.
Questo in sintesi il, sempre teorico, funzionamento del sistema di
dighe mobili (tecnicamente definite "paratoie a spinta di
sollevamento"), ciascuna dell'altezza di circa 30 metri e dello
spessore di circa cinque, incernierate e cementificate davanti alle tre
principali bocche della laguna veneziana: le paratoie dovrebbero
rimanere sul fondo della laguna in condizioni normali, ma tramite un
sistema idraulico ad aria compressa verrebbero sollevate, come un ponte
levatoio, in caso di maree particolarmente alte, creando così
una barriera artificiale contro le acque e impedendo l'allagamento
della città. Ed è proprio la chiusura della laguna e
quindi l'interruzione del ricambio delle sue acque una delle principali
cause di allarme ambientale, con prevedibili gravi conseguenze
sull'ecosistema ed anche sulla struttura urbana di Venezia,
notoriamente costruita e sviluppata in modo del tutto particolare, tra
palafitte e canali.
Tanto più che, tale mastodontica e costosissima "grande opera"
(preventivati 4 - 5 miliardi di euro per la costruzione e 30 milioni di
euro annui per la manutenzione, quasi totalmente subacquea a 15 metri
di profondità), dopo un decennio di tempo per essere completata,
non metterebbe al riparo gran parte di Venezia - Piazza San Marco
compresa - dalle maree superiori a 80 cm e inferiori a 110 cm, ossia
quelle normalmente frequenti. In altre parole, un'opera spropositata
per tenere all'asciutto calli e botteghe solo per qualche mezza
giornata all'anno.
Tra l'altro, secondo l'opinione di molti studiosi ed esperti, il
progetto Mose è già tecnologicamente obsoleto, in quanto
fondato su un principio di funzionamento vecchio di trent'anni,
comprendente un'architettura di sistema che implica gravi rischi di
guasti, anche catastrofici, e altresì componenti critici mai
sperimentati in precedenza, la cui affidabilità e
manutenibilità risultano sconosciute. In alternativa al progetto
del Mose, sono stati presentati altri sette progetti concorrenti per
opere a salvaguardia della laguna, oltre a numerosi studi, tutti
bocciati in sede di governo, pur essendo compatibili e integrabili con
le strutture già ultimate del Mose, nonché rapidamente
realizzabili e assai meno dispendiosi in termini economici.
Eppure, nonostante un primo parere negativo di compatibilità
ambientale espresso nel dicembre 1998 da due ministeri, nel 2003 la
realizzazione di questa "grande opera" è stata avviata dopo una
cerimonia d'inaugurazione "di regime" alla presenza di Berlusconi,
all'epoca capo del governo, del tronfio presidente della Regione
Veneto, Galan, e dell'allora sindaco di Venezia, Costa. Concessione
unica dei lavori a un consorzio di imprese private, il Consorzio
Venezia Nuova, contestata da più parti e sanzionata anche
dall'Unione Europea, ma mai messa in discussione dalla Regione Veneto
(governata dal centrodestra), né dalla Provincia di Venezia (di
centrosinistra), né dal Comune di Venezia (di centrosinistra),
né dal Comune di Chioggia (prima in mano al centrodestra e poi
al centrosinistra) .
Da parte sua, l'illuminato sindaco Massimo Cacciari, dopo aver
criticato il progetto e fatta sua la bandiera del No al Mose durante la
propria campagna elettorale, si è guardato bene dal far inserire
lo stop al "mostro della laguna" nel programma di governo dell'Unione,
così come è stato fatto per il Ponte sullo Stretto.
Responsabilità questa che, comunque, ricade anche su
Rifondazione Comunista e Verdi, facenti parte dell'esecutivo; segno
evidente che l'accordo tra le diverse componenti del centrosinistra,
nonché tra il centrosinistra stesso e il centrodestra, si
può sintetizzare così: No al Ponte di Messina, Sì
al Mose e ai rigassificatori, mentre per il Tav sembra prevalere la
tattica del "prendere tempo".
Nonostante le numerose richieste di sospensione almeno temporanea, il
Consorzio Venezia Nuova, concessionario dello Stato per la
salvaguardia, ed il Magistrato alle acque, braccio operativo del
ministero dei lavori pubblici, sono andati avanti a ritmo sostenuto coi
lavori, giungendo ormai ad un 30% dell'opera, mentre il ministro delle
Infrastrutture Di Pietro ha sbrigativamente bocciato le proposte
alternative.
Dei 4.271 milioni di euro, previsti quale costo complessivo del sistema
Mose, mancano ancora finanziamenti per circa 2.800 milioni. La
prosecuzione dei lavori è stata definitivamente confermata il 22
novembre scorso sia dal Consiglio dei ministri che dal Comitato di
indirizzo di coordinamento e controllo per la salvaguardia di Venezia e
della sua laguna (il cosiddetto Comitatone), presieduta da Romano
Prodi, coadiuvato dal sottosegretario di Stato alla presidenza, Enrico
Letta. Contro la proposta di sospensiva si sono scontatamente
pronunciati il "governatore" veneto Galan, il sindaco Calzavara di
Jesolo (anch'esso di Forza Italia), mentre i sindaci DS di Chioggia e
Mira si sono astenuti. Il governo da parte sua, con la nuova
Finanziaria, ha intanto deciso ulteriori stanziamenti: per la
"Salvaguardia di Venezia" (art. 1, comma 944) è stata
autorizzata la spesa di 85 milioni di euro per il 2007 e di 15 milioni
di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, per la prosecuzione degli
interventi.
I giochi politici a questo punto sembrerebbero compiuti e le diverse
componenti (partiti di sinistra, associazioni, centri sociali…)
dell'opposizione locale al Mose appaiono con le spalle… alla
diga, scontando sia un'eccessiva fiducia riposta nei ricorsi giuridici
e nelle prese di posizione a livello istituzionale (in particolare del
sindaco "amico" Cacciari), sia la difficoltà nell'essere un
credibile punto di riferimento per un autonomo sviluppo dell'avversione
popolare a tale progetto. Infatti, per tutti coloro che hanno la
memoria corta, rimane scritto nei verbali del Comitatone che l'avvio
del Mose venne dato durante la precedente amministrazione comunale, col
sindaco Costa, quando in giunta sedeva anche il polo-rossoverde di
Paolo Cacciari e del prosindaco Gianfranco Bettin. Allora, Verdi e
Rifondazione Comunista si guardarono bene dall'aprire una crisi
politica all'interno della giunta stessa sulla questione del Mose, pur
ritenendolo un "disastro" (definizione testuale di Bettin), e ottennero
rispettivamente gli assessorati alle Politiche Sociali affidato al
verde Beppe Caccia, vicino all'area disobbediente, e all'Ambiente
assunto dallo stesso Paolo Cacciari.
Inoltre, la mobilitazione No Mose ha preferito puntare su iniziative e
manifestazioni spettacolari, piuttosto che su un adeguato lavoro di
controinformazione nel territorio, appena iniziato con una petizione
popolare che raccolse 12.500 firme. Innegabile, d'altra parte, che la
stessa dislocazione dell'opera, quasi totalmente acquatica, rende
problematica l'attivazione di presidi permanenti in grado di bloccare i
cantieri, così come in altre situazioni; mentre invece
richiederebbe azioni - anche a livello internazionale - di pressione e
boicottaggio nei confronti delle imprese e degli interessi coinvolti,
così come contro i partiti e gli amministratori pubblici
corresponsabili.
Speranza questa ormai affidata ad un risveglio collettivo della
volontà dei veneziani, prima che loro stessi debbano fare i
conti con l'inevitabile insorgenza del mare.
redVE