Umanità Nova, n.10 del 18 marzo 2007, anno 87

Venezia. Assassinio in laguna


Sarebbe davvero interessante conoscere il nome di chi ha pensato quella sigla "biblica", ma di certo il sistema MoSE (Modulo Sperimentale Elettromeccanico), non passerà alla storia per aver salvato Venezia e i veneziani separando le acque, con buona pace anche di Rossana Rossanda.
Questo progetto, partito nel 2003 dopo almeno un ventennio di controversi studi per risolvere il problema delle acque alte a Venezia, prevede l'installazione e l'impiego di ben 79 paratoie mobili d'acciaio sottomarine di circa 350 tonnellate l'una che, teoricamente, dovrebbero arginare la marea chiudendo la laguna. Oltre che il comune di Venezia tale super progetto coinvolge anche quelli lagunari di Cavallino, Chioggia, Mira e Jesolo.
Fin dall'inizio l'impatto del progetto era apparso distruttivo per l'ambiente, sia nella fase di costruzione che in quella futura di impiego, anche in considerazione del già delicatissimo e compromesso ecosistema lagunare che, invece, necessiterebbe di un più complessivo, diffuso ed organico, riequilibrio idrogeologico e morfologico, a partire da una consistente riduzione della profondità dei fondali dei canali marittimi portuali, attualmente utilizzati da grandi petroliere, porta-container e mega navi da crociera. Questi canali hanno l'effetto di vere pompe idrauliche capaci di far entrare il mare in laguna, accrescendone la forza, e di trascinare fuori, ad ogni marea calante, migliaia di metri cubi di sedimenti lagunari.
Le conseguenze devastanti della costruzione del Mose sono connesse all'installazione di oltre 12 mila pali di cemento piantati sul fondo della laguna, al dragaggio di circa 5 milioni di metri cubi di materiale dal fondo e l'utilizzo di circa 8,5 milioni di tonnellate di pietrame necessario per le fondamenta; nonché alla creazione di un'isoletta artificiale al centro della bocca di porto del Lido e alcune barriere.
Questo in sintesi il, sempre teorico, funzionamento del sistema di dighe mobili (tecnicamente definite "paratoie a spinta di sollevamento"), ciascuna dell'altezza di circa 30 metri e dello spessore di circa cinque, incernierate e cementificate davanti alle tre principali bocche della laguna veneziana: le paratoie dovrebbero rimanere sul fondo della laguna in condizioni normali, ma tramite un sistema idraulico ad aria compressa verrebbero sollevate, come un ponte levatoio, in caso di maree particolarmente alte, creando così una barriera artificiale contro le acque e impedendo l'allagamento della città. Ed è proprio la chiusura della laguna e quindi l'interruzione del ricambio delle sue acque una delle principali cause di allarme ambientale, con prevedibili gravi conseguenze sull'ecosistema ed anche sulla struttura urbana di Venezia, notoriamente costruita e sviluppata in modo del tutto particolare, tra palafitte e canali.
Tanto più che, tale mastodontica e costosissima "grande opera" (preventivati 4 - 5 miliardi di euro per la costruzione e 30 milioni di euro annui per la manutenzione, quasi totalmente subacquea a 15 metri di profondità), dopo un decennio di tempo per essere completata, non metterebbe al riparo gran parte di Venezia - Piazza San Marco compresa - dalle maree superiori a 80 cm e inferiori a 110 cm, ossia quelle normalmente frequenti. In altre parole, un'opera spropositata per tenere all'asciutto calli e botteghe solo per qualche mezza giornata all'anno.
Tra l'altro, secondo l'opinione di molti studiosi ed esperti, il progetto Mose è già tecnologicamente obsoleto, in quanto fondato su un principio di funzionamento vecchio di trent'anni, comprendente un'architettura di sistema che implica gravi rischi di guasti, anche catastrofici, e altresì componenti critici mai sperimentati in precedenza, la cui affidabilità e manutenibilità risultano sconosciute. In alternativa al progetto del Mose, sono stati presentati altri sette progetti concorrenti per opere a salvaguardia della laguna, oltre a numerosi studi, tutti bocciati in sede di governo, pur essendo compatibili e integrabili con le strutture già ultimate del Mose, nonché rapidamente realizzabili e assai meno dispendiosi in termini economici.
Eppure, nonostante un primo parere negativo di compatibilità ambientale espresso nel dicembre 1998 da due ministeri, nel 2003 la realizzazione di questa "grande opera" è stata avviata dopo una cerimonia d'inaugurazione "di regime" alla presenza di Berlusconi, all'epoca capo del governo, del tronfio presidente della Regione Veneto, Galan, e dell'allora sindaco di Venezia, Costa. Concessione unica dei lavori a un consorzio di imprese private, il Consorzio Venezia Nuova, contestata da più parti e sanzionata anche dall'Unione Europea, ma mai messa in discussione dalla Regione Veneto (governata dal centrodestra), né dalla Provincia di Venezia (di centrosinistra), né dal Comune di Venezia (di centrosinistra), né dal Comune di Chioggia (prima in mano al centrodestra e poi al centrosinistra) .
Da parte sua, l'illuminato sindaco Massimo Cacciari, dopo aver criticato il progetto e fatta sua la bandiera del No al Mose durante la propria campagna elettorale, si è guardato bene dal far inserire lo stop al "mostro della laguna" nel programma di governo dell'Unione, così come è stato fatto per il Ponte sullo Stretto. Responsabilità questa che, comunque, ricade anche su Rifondazione Comunista e Verdi, facenti parte dell'esecutivo; segno evidente che l'accordo tra le diverse componenti del centrosinistra, nonché tra il centrosinistra stesso e il centrodestra, si può sintetizzare così: No al Ponte di Messina, Sì al Mose e ai rigassificatori, mentre per il Tav sembra prevalere la tattica del "prendere tempo".
Nonostante le numerose richieste di sospensione almeno temporanea, il Consorzio Venezia Nuova, concessionario dello Stato per la salvaguardia, ed il Magistrato alle acque, braccio operativo del ministero dei lavori pubblici, sono andati avanti a ritmo sostenuto coi lavori, giungendo ormai ad un 30% dell'opera, mentre il ministro delle Infrastrutture Di Pietro ha sbrigativamente bocciato le proposte alternative.
Dei 4.271 milioni di euro, previsti quale costo complessivo del sistema Mose, mancano ancora finanziamenti per circa 2.800 milioni. La prosecuzione dei lavori è stata definitivamente confermata il 22 novembre scorso sia dal Consiglio dei ministri che dal Comitato di indirizzo di coordinamento e controllo per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna (il cosiddetto Comitatone), presieduta da Romano Prodi, coadiuvato dal sottosegretario di Stato alla presidenza, Enrico Letta. Contro la proposta di sospensiva si sono scontatamente pronunciati il "governatore" veneto Galan, il sindaco Calzavara di Jesolo (anch'esso di Forza Italia), mentre i sindaci DS di Chioggia e Mira si sono astenuti. Il governo da parte sua, con la nuova Finanziaria, ha intanto deciso ulteriori stanziamenti: per la "Salvaguardia di Venezia" (art. 1, comma 944) è stata autorizzata la spesa di 85 milioni di euro per il 2007 e di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009, per la prosecuzione degli interventi.
I giochi politici a questo punto sembrerebbero compiuti e le diverse componenti (partiti di sinistra, associazioni, centri sociali…) dell'opposizione locale al Mose appaiono con le spalle… alla diga, scontando sia un'eccessiva fiducia riposta nei ricorsi giuridici e nelle prese di posizione a livello istituzionale (in particolare del sindaco "amico" Cacciari), sia la difficoltà nell'essere un credibile punto di riferimento per un autonomo sviluppo dell'avversione popolare a tale progetto. Infatti, per tutti coloro che hanno la memoria corta, rimane scritto nei verbali del Comitatone che l'avvio del Mose venne dato durante la precedente amministrazione comunale, col sindaco Costa, quando in giunta sedeva anche il polo-rossoverde di Paolo Cacciari e del prosindaco Gianfranco Bettin. Allora, Verdi e Rifondazione Comunista si guardarono bene dall'aprire una crisi politica all'interno della giunta stessa sulla questione del Mose, pur ritenendolo un "disastro" (definizione testuale di Bettin), e ottennero rispettivamente gli assessorati alle Politiche Sociali affidato al verde Beppe Caccia, vicino all'area disobbediente, e all'Ambiente assunto dallo stesso Paolo Cacciari.
Inoltre, la mobilitazione No Mose ha preferito puntare su iniziative e manifestazioni spettacolari, piuttosto che su un adeguato lavoro di controinformazione nel territorio, appena iniziato con una petizione popolare che raccolse 12.500 firme. Innegabile, d'altra parte, che la stessa dislocazione dell'opera, quasi totalmente acquatica, rende problematica l'attivazione di presidi permanenti in grado di bloccare i cantieri, così come in altre situazioni; mentre invece richiederebbe azioni - anche a livello internazionale - di pressione e boicottaggio nei confronti delle imprese e degli interessi coinvolti, così come contro i partiti e gli amministratori pubblici corresponsabili.
Speranza questa ormai affidata ad un risveglio collettivo della volontà dei veneziani, prima che loro stessi debbano fare i conti con l'inevitabile insorgenza del mare.

redVE

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