In un'intervista al quotidiano La Stampa del 12 marzo il sindaco di
Torino, Chiamparino, si lamenta della scarsa attenzione del governo
verso la città della Mole. La scelta di Milano come sede
dell'Expo, l'invio di rinforzi di polizia nel capoluogo lombardo sono
un segnale che preoccupa il sindaco "vetrinista" del capoluogo
piemontese. Non manca neppure la stoccata sul Tav, entrato nell'agenda
di Prodi solo dopo la crisi di governo e la stretta a destra.
Nell'intervista a "La Stampa" si condensano tutti i motivi chiave della
Torino in versione Chiampa: grandi opere con contorno di cantieri a go
go, ordine pubblico e eventi-vetrina. Cemento, manganello e circo. Una
sintesi inedita che, almeno sul piano elettorale, pare funzionare.
Sergio è il sindaco più votato dai tempi del piccista
Novelli, detto "crisantemo" per la spiccata attitudine a piangere sui
mali del mondo. Se Novelli incarnava il modello della sinistra dal
volto umano, populista e socialdemocratica, Chiamparino è
l'immagine della sinistra legge e ordine, quella che alla fine degli
anni '70 si faceva le ossa distribuendo in città questionari che
spingevano alla delazione nei confronti di tutti coloro che, per stili
di vita, fossero sospetti di simpatie per la lotta armata. Di
quell'epoca il buon Sergio non si è certo scordato, vista la
verve con la quale ha stigmatizzato una serata con il reduce Scalzone
in un centro sociale torinese. Vien da chiedersi come mai la stessa
verve non l'abbia mostrata per il corteo di Fiamma Tricolore svoltosi a
Torino il 24 febbraio.
La sindrome securitaria
Il buon Chiampa, dopo la sconfitta sull'Expo e i guai che gli stanno
procurando quei piantagrane dei No Tav, sta puntando su legge e ordine.
Non pago delle grandi pulizie fatte in occasione delle olimpiadi
continua a puntare su politiche di stampo disciplinare.
A Torino, alla faccia delle mille vetrine che ne segnano lo spazio, si
vive di merda: si fa fatica ad arrivare alla fine del mese, il lavoro,
quando c'è, è precario, migrante, in affitto. E continua
ad ammazzare. Le statistiche lo dicono chiaro: in questa città,
come nel resto d'Italia, i morti di lavoro superano di gran lunga le
vittime della criminalità. La sindrome securitaria nutrita di
paure reali o sapientemente costruite pervade l'immaginario sociale e
accresce il consenso intorno ai piccoli sceriffi urbani che,
trasversalmente a destra come a sinistra, fanno leva sui mostri che
contribuiscono ad creare. L'insicurezza reale, quella fatta di lavoro
che non c'è e di servizi che non ci sono o costano, scompare di
fronte ai mille fantasmi sapientemente evocati da politici e media.
Chiamparino in fondo non è che la punta di un iceberg
securitario che ghiaccia questa città stringendola in una morsa
di paura e polizia.
Significativo il mostruoso dispositivo politico – mediatico
scatenatosi dopo l'ultima "impresa" della cosiddetta FAI informale che,
nella notte tra il 4 e il 5 marzo, ha fatto saltare tre cassonetti
nell'immondizia alla Crocetta, non però nella elegante zona
delle villette, chiusa al traffico e piena di telecamere, ma nella
parte più popolare a due passi dal mercato, dove gli
appartamenti dei palazzi sono dignitosi ma certo non lussuosi.
Il fracasso su Tv e giornali ha raggiunto il suo apice dopo il recapito
di una "rivendicazione" ai quotidiani cittadini. In perfetto stile
mammasantissima promettono di colpire di giorno, di uccidere a caso gli
abitanti del quartiere, se il CPT di corso Brunelleschi non dovesse
chiudere. Torino non è Baghdad e la bomba mediatica esplode in
tutta la sua violenza.
Le locandine dei quotidiani locali strillano a piena voce che la
"Federazione anarchica" minaccia di colpire, il Tg 3 apre allo stesso
modo, i vari cronachisti partono con il consueto rosario di
collegamenti, illazioni, criminalizzazioni. Alla rivendicazione si
accompagna un documento che la stampa utilizza per infinite congetture.
Come avvenuto poche settimane prima, in occasione dell'arresto di 15
presunti BR, questa vicenda diviene l'occasione per scatenare
un'offensiva nei confronti dei movimenti che si oppongono alla guerra,
alle leggi razziste e ai Cpt, alla devastazione ambientale.
Ma non solo. Stampa e Torino Cronaca si spingono oltre, arrivando ad
indicare con tanto di nomi e cognomi i presunti appartenenti alla
congrega degli "informali" piemontesi. Inchiesta, processo e sentenza:
manca solo l'esecuzione della condanna.
Dalla farsa alla tragedia?
Una farsa di cattivo gusto minaccia di trasformarsi in tragedia. Se
anche le minacce "informali" dovessero restare su carta resta il fatto
i vari sceriffi d'Italia non potrebbero chiedere di meglio dello
spauracchio dell'anarchico bombarolo e crudele, che colpisce
indiscriminatamente chi avesse la sventura di trovarsi nel posto
sbagliato al momento sbagliato. Una bella iniezione di carburante nel
motore sempre acceso della paura. Per quel che mi riguarda non posso
che osservare che paura e terrore ben si addicono a chi comanda, ben
poco a chi, da anarchico, vorrebbe distruggere il dominio nelle sue
fondamenta simboliche e reali. Il terrore e la paura sono strumenti
dello Stato, di tutti gli stati, o di chi, Stato vuol farsi. Minacciare
e, non accada mai, realizzare stragi indiscriminate, colpendo a caso,
è pratica tipica del dominio, non certo di chi lo combatte.
Tutta questa "immondizia" sparsa in giro non può che far
incazzare chi a Torino vive e da anni ha contribuito a costruire la FAI
– la Federazione Anarchica Italiana, poiché nel fumo
mediatico e propagandistico tutto si confonde e, certo, chi utilizza un
acrostico uguale, gode della confusione e spera nel ridicolo. Pare
indubbio che chi tanto si accanisce con i cassonetti per poter meglio
far esplodere le proprie "bombe di carta", rivendicazioni e documenti,
che altrimenti passerebbero nel silenzio che meritano, sa condurre con
abilità il proprio gioco mediatico, utilizzando i cliché
stantii ma consolidati con cui il pennello giornalistico è
solito raffigurare gli anarchici. I media e i politici ci descrivono
come demoni feroci o ingenui utopisti, a seconda della convenienza del
momento. Di volta in volta troppo buoni o troppo cattivi gli anarchici
spariscono nella loro concretezza politica e sociale per divenire
maschere nel teatrino dei media.
Questa mondezza offre il destro ad un attacco agli anarchici e, con
loro, ai movimenti di opposizione, agli uomini ed alle donne che, senza
se e senza ma, si oppongono alla guerra, al militarismo, alla
predazione e distruzione dell'ambiente, alla pretesa autoritaria di
imporre scelte non condivise su temi fondamentali per la vita ed il
futuro di intere popolazioni.
Sappiamo che i meccanismi repressivi non hanno certo bisogno di
pretesti per scatenarsi: lo dimostrano le migliaia di procedimenti
penali che investono tutti coloro che si oppongono alle politiche
governative ed all'ordine gerarchico e predatorio in cui siamo forzati
a vivere. Ma sappiamo anche che la repressione non fa paura a chi lotta
e i vari tentativi criminalizzazione delle aree non istituzionali non
sono mai riusciti a scalfire movimenti solidi come quello contro il
Tav. L'ennesima emergenza terrorismo mira a riuscire dove le campagne
repressive sono sinora fallite: spaccare l'opposizione sociale. Si
punta a mettere in difficoltà movimenti che, nei momenti
più alti, come nel dicembre 2005 in Val Susa, hanno saputo
ribellarsi insorgendo contro la violenza dello stato. Il terreno pare
fertile per provocazioni e montature: purtroppo la lunga teoria di
stragi che ha insanguinato questo paese lo dimostra sin troppo bene.
In questo paese stanno crescendo movimenti autogestiti, capaci di
autonomia, che sanno portare l'agenda politica fuori dai palazzi, nelle
strade e nelle piazze, dando voce a chi non ce l'ha, assumendo in prima
persona la facoltà di decidere.
Spaccare questi movimenti è per il governo una priorità,
poiché solo dividendo può sperare di creare i presupposti
per un'imposizione "morbida" di scelte di guerra, devastazione
ambientale, perpetuazione di politiche razziste e discriminatorie.
Torino nonostante gli arredi e le luci sprofonda sempre più nell'opacità Chiamparinesca.
Il Cpt di corso Brunelleschi venne aperto nel '99, quando un governo
guidato dall'attuale ministro degli esteri, l'ineffabile D'Alema,
scatenava una tempesta di bombe e fuoco sulle popolazioni della Serbia
e del Kosovo. Terrore di Stato con la benedizione dell'ONU.
La lotta contro questa prigione per migranti, vanto del capoluogo
piemontese per l'efficienza nel sedare le rivolte e per la
rapidità delle deportazioni, non si è mai fermata.
Dall'estate scorsa sono in corso lavori per il suo raddoppio, alla
faccia delle dichiarazioni di qualche sinistra anima bella in giacca
ministeriale che ne auspica il "superamento". L'immondizia sparsa alla
Crocetta non fa che rendere invisibili il lager e le deportazioni
quotidiane. Le ragioni di chi lotta contro leggi e istituzioni razziste
restano sullo sfondo di fronte al fracasso dell'ennesima "emergenza"
terrorismo. Ne consegue che il terrorismo, quello dello stato che
incarcera ed espelle, viene completamente occultato.
Intanto Chiampa, sulla Stampa, si lagna perché Prodi manda più sbirri a Milano che a Torino.
Maria Matteo