Il conflitto sociale continua ad essere il grande assente del dibattito
politico, al cui centro stanno gli equilibri interni alla maggioranza
di governo, la riforma elettorale, la politica estera, l'assenza di
laicità dello stato. Non stupisce che questo governo metta la
sordina alle tensioni che percorrono una società che si
impoverisce come la nostra. Infatti, le formazioni politiche che lo
compongono hanno forti radici nelle tre confederazioni CGIL-CISL-UIL,
che costituiscono per molti non solo un retroterra di esperienza, ma
pure bacino elettorale. Tanto comune nell'Unione il passaggio dal
politico al sindacale e viceversa che Bertinotti e Marini a capo di
Camera e Senato sono la miglior icona del governo stesso, assieme al
ministro del lavoro Damiano, sindacalista e politico DS a tutto tondo.
Il conflitto sociale dove scoppia, come nei call center l'anno scorso,
va smorzato e silenziato, arrivando ad approvare norme salvapadroni in
legge finanziaria per svuotare i verbali degli ispettori dello stesso
Ministero del lavoro che imponevano centinaia di assunzioni a tempo
indeterminato di precari: grazie ad un accordo sindacale, i lavoratori
co.co.co. e co.co.pro. potranno essere assunti a termine rinunciando ad
una causa di lavoro al termine della quale avrebbero potuto essere
assunti a tempo indeterminato: la certezza di un accordo al ribasso a
fronte dell'alea di una causa per l'obiettivo massimo.
Interessante che l'intervento legislativo arrivi in soccorso di chi usa
ed ha usato a piene mani del lavoro interinale e dei co.co.co. del
Pacchetto Treu (L. 196/97) e delle tante forme di contratti flessibili
e precari della Legge Biagi (L. 30/03), nel momento in cui viene
colpito da accertamenti degli stessi apparati dello stato (Ispettorato
del lavoro). Ed è il ministro-sindacalista Damiano che si fa
promotore dell'inserimento di un certo comma tra le centinaia e
centinaia di norme della finanziaria in modo da consentire a
CGIL-CISL-UIL di recuperare, grazie ad accordi nazionali, quel terreno
che avevano perduto per le lotte dei lavoratori che si erano emancipati
per un attimo dalla loro "tutela e protezione".
Il fenomeno che si è verificato è un cortocircuito tutto
interno all'ordinamento giuridico e alle istituzioni: la
precarietà fatta norma viene smascherata da un soggetto
istituzionale (Ispettorato), ma un altro soggetto istituzionale
(Ministero, cui il primo fa pure capo) modifica il quadro normativo per
riprendere il controllo della situazione che la lotta dal basso dei
lavoratori aveva fatto implodere, denudando lo stato di fatto,
l'esercizio del puro comando di impresa, alla base delle norme
gabellate per "modernizzatrici" del mercato del lavoro: il citato
Pacchetto Treu e la Legge Biagi.
Se così vanno le cose, non solo ora, ma sempre, uccidere un
professore di diritto del lavoro, come accadde con Dantona, consigliere
del ministro del lavoro Bassolino, o lo stesso Biagi, ispiratore del
c.d. Libro Bianco sul mercato del lavoro da cui si materializzò
poi la Legge 30/03, serve solo a dare la patente del martirio a cattive
idee strumentali a ratificare la riconquistata supremazia del capitale
sul lavoro. Giacché il diritto è sempre postumo e
sancisce un riassetto dei rapporti di forza tra attori sociali.
È per la debolezza dei lavoratori che certe norme sono state
approvate; non sono state le norme ad indebolire i lavoratori,
piuttosto il contrario.
Così, simbolicamente, il vuoto, l'assenza di conflitto sociale,
trova nella morte di chi velò con norme giuridiche l'assenza
stessa, uno specchio in cui il nulla rimanda il nulla, eternizza
l'astrazione del lavoro vivo in capitale. Ridare vita al conflitto o
riconsegnare il conflitto alla vita impone di rompere la gabbia della
norma giuridica che si presenta al lavoro vivo come unico orizzonte,
svelando il conflitto tra lavoro e capitale che il conflitto tra norme
vuole immunizzare e obliare.
W.B.