Umanità Nova, n.11 del 25 marzo 2007, anno 87

Vallettopoli. Il potere e le sue maschere


Precisiamolo subito: pubblicare foto compromettenti di personaggi del mondo della politica e dello spettacolo, non ha nulla a che vedere con il diritto alla libertà di stampa, e neppure il quanto mai tempestivo provvedimento assunto dal garante della privacy può minimamente riguardare la paventata censura. Tanto la libertà di stampa, quanto la censura appartengono a valori e categorie da tempo estranee all'informazione mediatica asservita e prona dinnanzi ai sistemi di gestione del potere economico, politico, culturale, religioso. È sufficiente domandarsi "chi informa chi?" per comprendere che la falsità è la materia di conio della verità propinata dai media al punto che non esiste verità che non sia menzogna.
Sgombrato in questo modo il campo, appare di un certo interesse – diciamo pedagogico – cercar di comprendere il "non detto" che fa da sfondo all'ultimo presunto "scandalo" che ha coinvolto starlette, politici, fotografi e i mezzi d'informazione. La nota vicenda che ha fra i suoi interpeti il fotografo Fabrizio Corona, il manager dei vip Lele Mora, il pornografo Riccardo Schicchi, i politici di turno (in primis l'annebbiato portavoce di Romano Prodi, il sottosegretario Silvio Sircana) e i magistrati di Potenza che stanno conducendo l'inchiesta su induzione alla prostituzione, traffico di droga, estorsione, appartiene allo star-system che governa e dirige l'immagine dello spettacolo, vale a dire lo spettacolo delle immagini attraverso il quale si rappresenta l'esercizio del potere nel suo apparire. E poiché l'apparire nasconde per sua natura la sostanza reale del fenomeno, ne segue che la verità di quel che è accaduto concerne la pratica della gestione del potere: il racket.
Da sempre il lecito è la maschera dell'illecito. Nessuna decisione assunta dai vertici di un potere avviene senza l'ombra di un illecito. Anzi la gestione di un potere (sia questo economico/finanziario, politico, culturale e religioso) se appare regolato da una logica narrativa che descrive i motivi di una scelta in ragione della sua utilità sociale, nella realtà essa nasconde (e non potrebbe non farlo) il soddisfacimento di bassi e volgari interessi personali e di gruppo, fra i quali il dominio sull'altro nella sua forma più rozza e maschilista ben racchiusa nel detto: "lo tengo per le palle!". Si tratti della poltrona in un consiglio d'amministrazione, di una spartizione nella gestione di fondi economico/finanziari, di una divisione del potere locale, di un controllo nella programmazione di palinsesti radio-televisivi, il principio è sempre identico: controllare l'avversario, coinvolgendolo nell'illecito per poi ricattarlo prima di esser ricattati. Probabilmente Fabrizio Corona ha creduto possibile – una volta entrato a far parte dello star-system  – di appropriarsi del meccanismo per scopi personali, minimizzando il rischio di rimanere isolato e scoperto, in quanto l'illecito per apparire lecito deve necessariamente farsi sistema, racket. Se ci si chiama fuori, se si ricatta, ma a sua volta non si vuole sottostare al ricatto, prima o poi si finisce per fare una brutta fine. La galera, certo, non è la peggiore.
In definitiva quanto è successo dimostra che ricattare una starlette, oppure organizzare droga-party con la partecipazione di avvenenti e giovani creature, non è la stessa cosa che fotografare un politico in autovettura mentre percorre un viale battuto da transessuali. Nel primo caso ci si limita ad alimentare il sistema di ricatto, nel secondo ci si crede all'altezza di ricattare il sistema. Laddove il sistema è onnipotente come dio. Per distruggerlo occorre abolirlo!

gianfranco marelli

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