Precisiamolo subito: pubblicare foto compromettenti di personaggi del
mondo della politica e dello spettacolo, non ha nulla a che vedere con
il diritto alla libertà di stampa, e neppure il quanto mai
tempestivo provvedimento assunto dal garante della privacy può
minimamente riguardare la paventata censura. Tanto la libertà di
stampa, quanto la censura appartengono a valori e categorie da tempo
estranee all'informazione mediatica asservita e prona dinnanzi ai
sistemi di gestione del potere economico, politico, culturale,
religioso. È sufficiente domandarsi "chi informa chi?" per
comprendere che la falsità è la materia di conio della
verità propinata dai media al punto che non esiste verità
che non sia menzogna.
Sgombrato in questo modo il campo, appare di un certo interesse –
diciamo pedagogico – cercar di comprendere il "non detto" che fa
da sfondo all'ultimo presunto "scandalo" che ha coinvolto starlette,
politici, fotografi e i mezzi d'informazione. La nota vicenda che ha
fra i suoi interpeti il fotografo Fabrizio Corona, il manager dei vip
Lele Mora, il pornografo Riccardo Schicchi, i politici di turno (in
primis l'annebbiato portavoce di Romano Prodi, il sottosegretario
Silvio Sircana) e i magistrati di Potenza che stanno conducendo
l'inchiesta su induzione alla prostituzione, traffico di droga,
estorsione, appartiene allo star-system che governa e dirige l'immagine
dello spettacolo, vale a dire lo spettacolo delle immagini attraverso
il quale si rappresenta l'esercizio del potere nel suo apparire. E
poiché l'apparire nasconde per sua natura la sostanza reale del
fenomeno, ne segue che la verità di quel che è accaduto
concerne la pratica della gestione del potere: il racket.
Da sempre il lecito è la maschera dell'illecito. Nessuna
decisione assunta dai vertici di un potere avviene senza l'ombra di un
illecito. Anzi la gestione di un potere (sia questo
economico/finanziario, politico, culturale e religioso) se appare
regolato da una logica narrativa che descrive i motivi di una scelta in
ragione della sua utilità sociale, nella realtà essa
nasconde (e non potrebbe non farlo) il soddisfacimento di bassi e
volgari interessi personali e di gruppo, fra i quali il dominio
sull'altro nella sua forma più rozza e maschilista ben racchiusa
nel detto: "lo tengo per le palle!". Si tratti della poltrona in un
consiglio d'amministrazione, di una spartizione nella gestione di fondi
economico/finanziari, di una divisione del potere locale, di un
controllo nella programmazione di palinsesti radio-televisivi, il
principio è sempre identico: controllare l'avversario,
coinvolgendolo nell'illecito per poi ricattarlo prima di esser
ricattati. Probabilmente Fabrizio Corona ha creduto possibile –
una volta entrato a far parte dello star-system – di
appropriarsi del meccanismo per scopi personali, minimizzando il
rischio di rimanere isolato e scoperto, in quanto l'illecito per
apparire lecito deve necessariamente farsi sistema, racket. Se ci si
chiama fuori, se si ricatta, ma a sua volta non si vuole sottostare al
ricatto, prima o poi si finisce per fare una brutta fine. La galera,
certo, non è la peggiore.
In definitiva quanto è successo dimostra che ricattare una
starlette, oppure organizzare droga-party con la partecipazione di
avvenenti e giovani creature, non è la stessa cosa che
fotografare un politico in autovettura mentre percorre un viale battuto
da transessuali. Nel primo caso ci si limita ad alimentare il sistema
di ricatto, nel secondo ci si crede all'altezza di ricattare il
sistema. Laddove il sistema è onnipotente come dio. Per
distruggerlo occorre abolirlo!
gianfranco marelli