Umanità Nova, n.12 dell'8 aprile 2007, anno 87

Governo di guerra

Approvate, prorogate e rifinanziate. Le missioni militari italiane, dall'Afganistan ai Balcani al Libano, hanno ricevuto il via libera da parte del Senato con 180 voti a favore, 132 astenuti e due contrari. Per un altro anno le truppe italiane saranno impegnate nei tanti teatri di guerra a distribuire democrazia a suon di bombe e pallottole con buona pace di chi sperava che il governo Prodi potesse dare una qualche discontinuità rispetto alle politiche belliciste del precedente esecutivo.
La radiografia del voto al Senato illustra una situazione politicamente paradossale che si spiega facilmente se si considerano i forti attriti che caratterizzano al loro interno le due coalizioni di maggioranza e opposizione. Uno scontro di potere tutto interno alla classe politica del paese che si gioca anche e soprattutto nel balletto delle deliberazioni parlamentari che non obbediscono più alle tradizionali logiche di schieramento. A votare a favore del rifinanziamento si sono ritrovati insieme l'Unione e l'Udc. Ad astenersi, il blocco di Forza Italia, An e Lega che per la prima volta dopo sei anni hanno deciso di votare contro la missione afgana che nel 2001 proprio il governo Berlusconi aveva voluto fortemente. Da sola, l'Unione ha espresso 155 voti, insufficienti – secondo i rappresentanti del Centrodestra – a esprimere una maggioranza autosufficiente e quindi politicamente valida. Gli strali di Berlusconi si sono abbattuti sull'Udc rea di aver offerto un provvidenziale salvagente a una maggioranza che senza quei voti non avrebbe potuto ottenere il risultato positivo al Senato. Pierferdinando Casini si è affrettato a dire che «il governo Prodi si sarebbe salvato lo stesso, anche senza i voti dell'Udc, perché i sì sarebbero stati 160 e i no 154». È vero, ma con i quattro voti dei soliti senatori a vita e il sì "autonomo" del forzista Lino Iannuzzi.
Gongolando, Prodi ha parlato addirittura di «svolta politica» mentre il ministro della difesa Parisi si è tolto la soddisfazione di rimbrottare il Centrodestra per la mancata assunzione di responsabilità e per l'essersi sottratto dagli impegni in campo internazionale.
Il via libera al decreto di rifinanziamento è giunto subito dopo due appelli che la dicono lunga: il primo, della Nato, che ha fatto sapere di "contare" sull'impegno dell'Italia a Kabul e in tutta la regione; il secondo, da parte dell'ambasciatore americano Ronald Spogli che ha chiesto all'Italia, come a tutti gli altri alleati nella guerra globale, «un maggior impegno militare» e la limitazione dei limiti operativi delle truppe, i cosiddetti caveat. Detto fatto.
Nei giorni precedenti l'Udc aveva preso le distanze dalla Cdl per andare a rafforzare il centro. Durante il dibattito sugli ordini del giorno, i democristiani si sono ricompattati su un provvedimento, che non è passato (160 voti contrari e 155 a favore) e che nei fatti accentuava il carattere offensivo della missione. Quando poi il ministro degli esteri D'Alema ha comunicato in aula di aver avviato la procedura per avere dallo Stato maggiore della forze armate una indicazione chiara dei mezzi necessari per la protezione dei soldati italiani, tutte le incertezze sono state fugate: alla fine il risultato più rilevante è che i militari italiani hanno ottenuto di poter chiedere di volta in volta gli adeguamenti tecnici che ritengono necessari. Una prospettiva a dir poco inquietante in cui la politica risulta palesemente al servizio delle esigenze militari e non viceversa.
L'Italia sembra quindi prepararsi a un salto di qualità nell'impegno bellico in Afganistan. Molti esponenti politici hanno espresso negli ultimi giorni una certa preoccupazione delineando un presunto cambiamento di scenario nel fronte di guerra afgano definito più pericoloso rispetto al passato. Queste considerazioni vanno prese per ciò che sono, ovvero il frutto di un'ipocrisia con la quale si è costruita la retorica del militarismo di casa nostra plasmata sull'immagine di soldati italiani buoni e gentili che vanno nel deserto per portare pace e sono costretti a guardarsi le spalle dai Talebani brutti, sporchi e cattivissimi. Il vergognoso rifinanziamento delle missioni militari italiane ottenuto attraverso gli squallidi riposizionamenti parlamentari di cui sopra è un ulteriore schiaffo alla dignità di un popolo martoriato dall'occupazione militare e distoglie l'attenzione dalla drammatica vicenda legata al sequestro Mastrogiacomo, alla mancata liberazione del suo interprete e all'arresto del mediatore di Emergency per la cui liberazione il governo italiano sembra aver improvvisamente perso tutte le sue capacità diplomatiche. La cattiva coscienza della sinistra di governo non conosce limiti.

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