Approvate, prorogate e rifinanziate. Le missioni militari italiane,
dall'Afganistan ai Balcani al Libano, hanno ricevuto il via libera da
parte del Senato con 180 voti a favore, 132 astenuti e due contrari.
Per un altro anno le truppe italiane saranno impegnate nei tanti teatri
di guerra a distribuire democrazia a suon di bombe e pallottole con
buona pace di chi sperava che il governo Prodi potesse dare una qualche
discontinuità rispetto alle politiche belliciste del precedente
esecutivo.
La radiografia del voto al Senato illustra una situazione politicamente
paradossale che si spiega facilmente se si considerano i forti attriti
che caratterizzano al loro interno le due coalizioni di maggioranza e
opposizione. Uno scontro di potere tutto interno alla classe politica
del paese che si gioca anche e soprattutto nel balletto delle
deliberazioni parlamentari che non obbediscono più alle
tradizionali logiche di schieramento. A votare a favore del
rifinanziamento si sono ritrovati insieme l'Unione e l'Udc. Ad
astenersi, il blocco di Forza Italia, An e Lega che per la prima volta
dopo sei anni hanno deciso di votare contro la missione afgana che nel
2001 proprio il governo Berlusconi aveva voluto fortemente. Da sola,
l'Unione ha espresso 155 voti, insufficienti – secondo i
rappresentanti del Centrodestra – a esprimere una maggioranza
autosufficiente e quindi politicamente valida. Gli strali di Berlusconi
si sono abbattuti sull'Udc rea di aver offerto un provvidenziale
salvagente a una maggioranza che senza quei voti non avrebbe potuto
ottenere il risultato positivo al Senato. Pierferdinando Casini si
è affrettato a dire che «il governo Prodi si sarebbe
salvato lo stesso, anche senza i voti dell'Udc, perché i
sì sarebbero stati 160 e i no 154». È vero, ma con
i quattro voti dei soliti senatori a vita e il sì "autonomo" del
forzista Lino Iannuzzi.
Gongolando, Prodi ha parlato addirittura di «svolta
politica» mentre il ministro della difesa Parisi si è
tolto la soddisfazione di rimbrottare il Centrodestra per la mancata
assunzione di responsabilità e per l'essersi sottratto dagli
impegni in campo internazionale.
Il via libera al decreto di rifinanziamento è giunto subito dopo
due appelli che la dicono lunga: il primo, della Nato, che ha fatto
sapere di "contare" sull'impegno dell'Italia a Kabul e in tutta la
regione; il secondo, da parte dell'ambasciatore americano Ronald Spogli
che ha chiesto all'Italia, come a tutti gli altri alleati nella guerra
globale, «un maggior impegno militare» e la limitazione dei
limiti operativi delle truppe, i cosiddetti caveat. Detto fatto.
Nei giorni precedenti l'Udc aveva preso le distanze dalla Cdl per
andare a rafforzare il centro. Durante il dibattito sugli ordini del
giorno, i democristiani si sono ricompattati su un provvedimento, che
non è passato (160 voti contrari e 155 a favore) e che nei fatti
accentuava il carattere offensivo della missione. Quando poi il
ministro degli esteri D'Alema ha comunicato in aula di aver avviato la
procedura per avere dallo Stato maggiore della forze armate una
indicazione chiara dei mezzi necessari per la protezione dei soldati
italiani, tutte le incertezze sono state fugate: alla fine il risultato
più rilevante è che i militari italiani hanno ottenuto di
poter chiedere di volta in volta gli adeguamenti tecnici che ritengono
necessari. Una prospettiva a dir poco inquietante in cui la politica
risulta palesemente al servizio delle esigenze militari e non viceversa.
L'Italia sembra quindi prepararsi a un salto di qualità
nell'impegno bellico in Afganistan. Molti esponenti politici hanno
espresso negli ultimi giorni una certa preoccupazione delineando un
presunto cambiamento di scenario nel fronte di guerra afgano definito
più pericoloso rispetto al passato. Queste considerazioni vanno
prese per ciò che sono, ovvero il frutto di un'ipocrisia con la
quale si è costruita la retorica del militarismo di casa nostra
plasmata sull'immagine di soldati italiani buoni e gentili che vanno
nel deserto per portare pace e sono costretti a guardarsi le spalle dai
Talebani brutti, sporchi e cattivissimi. Il vergognoso rifinanziamento
delle missioni militari italiane ottenuto attraverso gli squallidi
riposizionamenti parlamentari di cui sopra è un ulteriore
schiaffo alla dignità di un popolo martoriato dall'occupazione
militare e distoglie l'attenzione dalla drammatica vicenda legata al
sequestro Mastrogiacomo, alla mancata liberazione del suo interprete e
all'arresto del mediatore di Emergency per la cui liberazione il
governo italiano sembra aver improvvisamente perso tutte le sue
capacità diplomatiche. La cattiva coscienza della sinistra di
governo non conosce limiti.
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