"L'Afganistan non è propriamente un luogo dove trascorrere le vacanze"
(generale Antonio Satta, comandante delle forze Nato nel settore Ovest)
Certe balde dichiarazioni guerresche andrebbero incorniciate, ma
soprattutto bisognerebbe conservare memoria di quelle pronunciate dai
politici dei vari schieramenti parlamentari, specie se appartenenti a
quel centrosinistra che è andato al governo anche grazie a
quanti lo hanno votato sulla base di illusioni pacifiste.
Eppure dell'Afganistan, nel programma elettorale dell'Unione, non c'era
neanche menzione: per cui chi oggi, a sinistra, si meraviglia e
s'indigna dovrebbe piuttosto riflettere attorno alla
compatibilità tra chi rifiuta la guerra e qualunque governo.
Agli esercizi di funambolismo politico di partiti come Rifondazione
Comunista, Verdi e Comunisti Italiani, c'è poco da aggiungere:
il meccanismo di cui hanno deciso di far parte, li sta divorando e
lacerando. Non si può infatti credere di non dover fare i conti
con chi li ha ritenuti degli antidoti alle politiche di guerra,
così come a quelle discriminanti e repressive.
Se è forse utopico pretendere che dei partiti parlamentari, pur
anche di sinistra, s'impegnino almeno per un significativo
ridimensionamento delle forze armate e dell'apparato bellico, di certo
è inammissibile che i medesimi si rendano complici dell'aumento
delle spese militari, della produzione di nuovi mezzi di morte e
sottoscrivano gli interventi in contesti di conflitto aperto come
quelli in Afganistan, Libano, Balcani, Sudan o Somalia.
Ma tale complicità risulta insuperata da quella espressa dalla
ministra Emma Bonino (Rosa nel pugno) che è giunta a sostenere:
''Dovrebbe essere la parte militare a dirci ciò di cui ha
bisogno e dovremmo autorizzarla senza battere ciglio, perché il
peggio che potremmo fare è tenere una postazione militare senza
dare gli strumenti necessari o le regole di ingaggio. Ma questo non
dovrebbe nemmeno appartenere al dibattito politico, dovrebbe essere una
richiesta da parte militare". In altre parole, il potere politico
dovrebbe completamente soggiacere al volere dei militari, in una
visione più consona a Pinochet piuttosto che ad una radicale
nonviolenta: se i generali chiedono più soldati, più
carri armati, più bombardieri, più libertà di
azione offensiva… il governo e il parlamento dovrebbero svolgere
solo un ruolo di attendenti.
Martedì 27 marzo, il voto per il rifinanziamento, annuale, delle
missioni italiane all'estero (a partire da quella più critica in
Afganistan) non ha riservato sorprese: il decreto è stato
approvato al senato dalla maggioranza di governo e da un pezzo di
centrodestra; pochi i dissidenti e gli assenti per scelta.
Oltre al decreto, sono passati con maggioranze trasversali alcuni
ordini del giorno, presentati dai leghisti, a favore di un aumento dei
mezzi militari in dotazione ai contingenti italiani, del superamento
delle limitazioni operative così come sollecitato da Nato e
comandi Usa, della definizione di una linea di condotta comune della
Nato in caso di cattura di ostaggi, nonché l'esclusione da
un'eventuale Conferenza internazionale di pace dei rappresentanti delle
forze combattenti afgane. Notoriamente, gli ordini del giorno sono poco
più che delle dichiarazioni d'intenti, ma riguardo l'incremento
dei mezzi militari ormai è solo questione di tempo, dato che
è ormai scontato l'imminente invio in Afganistan di ulteriori
veicoli corazzati, mortai pesanti, aerei ed elicotteri da combattimento.
L'annuncio ufficiale potrebbe giungere dopo il prossimo attentato contro le truppe italiane: c'è da scommetterci.
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