Umanità Nova, n.12 dell'8 aprile 2007, anno 87

Afganistan-2
Sciabole in parlamento


"L'Afganistan non è propriamente un luogo dove trascorrere le vacanze"
(generale Antonio Satta, comandante delle forze Nato nel settore Ovest)

Certe balde dichiarazioni guerresche andrebbero incorniciate, ma soprattutto bisognerebbe conservare memoria di quelle pronunciate dai politici dei vari schieramenti parlamentari, specie se appartenenti a quel centrosinistra che è andato al governo anche grazie a quanti lo hanno votato sulla base di illusioni pacifiste.
Eppure dell'Afganistan, nel programma elettorale dell'Unione, non c'era neanche menzione: per cui chi oggi, a sinistra, si meraviglia e s'indigna dovrebbe piuttosto riflettere attorno alla compatibilità tra chi rifiuta la guerra e qualunque governo.
Agli esercizi di funambolismo politico di partiti come Rifondazione Comunista, Verdi e Comunisti Italiani, c'è poco da aggiungere: il meccanismo di cui hanno deciso di far parte, li sta divorando e lacerando. Non si può infatti credere di non dover fare i conti con chi li ha ritenuti degli antidoti alle politiche di guerra, così come a quelle discriminanti e repressive.
Se è forse utopico pretendere che dei partiti parlamentari, pur anche di sinistra, s'impegnino almeno per un significativo ridimensionamento delle forze armate e dell'apparato bellico, di certo è inammissibile che i medesimi si rendano complici dell'aumento delle spese militari, della produzione di nuovi mezzi di morte e sottoscrivano gli interventi in contesti di conflitto aperto come quelli in Afganistan, Libano, Balcani, Sudan o Somalia.
Ma tale complicità risulta insuperata da quella espressa dalla ministra Emma Bonino (Rosa nel pugno) che è giunta a sostenere: ''Dovrebbe essere la parte militare a dirci ciò di cui ha bisogno e dovremmo autorizzarla senza battere ciglio, perché il peggio che potremmo fare è tenere una postazione militare senza dare gli strumenti necessari o le regole di ingaggio. Ma questo non dovrebbe nemmeno appartenere al dibattito politico, dovrebbe essere una richiesta da parte militare". In altre parole, il potere politico dovrebbe completamente soggiacere al volere dei militari, in una visione più consona a Pinochet piuttosto che ad una radicale nonviolenta: se i generali chiedono più soldati, più carri armati, più bombardieri, più libertà di azione offensiva… il governo e il parlamento dovrebbero svolgere solo un ruolo di attendenti.
Martedì 27 marzo, il voto per il rifinanziamento, annuale, delle missioni italiane all'estero (a partire da quella più critica in Afganistan) non ha riservato sorprese: il decreto è stato approvato al senato dalla maggioranza di governo e da un pezzo di centrodestra; pochi i dissidenti e gli assenti per scelta.
Oltre al decreto, sono passati con maggioranze trasversali alcuni ordini del giorno, presentati dai leghisti, a favore di un aumento dei mezzi militari in dotazione ai contingenti italiani, del superamento delle limitazioni operative così come sollecitato da Nato e comandi Usa, della definizione di una linea di condotta comune della Nato in caso di cattura di ostaggi, nonché l'esclusione da un'eventuale Conferenza internazionale di pace dei rappresentanti delle forze combattenti afgane. Notoriamente, gli ordini del giorno sono poco più che delle dichiarazioni d'intenti, ma riguardo l'incremento dei mezzi militari ormai è solo questione di tempo, dato che è ormai scontato l'imminente invio in Afganistan di ulteriori veicoli corazzati, mortai pesanti, aerei ed elicotteri da combattimento.
L'annuncio ufficiale potrebbe giungere dopo il prossimo attentato contro le truppe italiane: c'è da scommetterci. 

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