Prova di forza della Moratti a Milano che si propone come leader
nazionale e prepara la strada ad una sua candidatura a ruoli
istituzionali più importanti; e dopo quello di presidente della
RAI e di Ministro dell'Istruzione, non ci può essere che quello
di capo di governo in sostituzione di un Berlusconi ormai in fase di
cottura.
Questa, in estrema sintesi, la lettura che si può fare a fronte
di una manifestazione costruita sul feticcio della "sicurezza", un
feticcio agitato da più parti, con maggiore o minore virulenza e
del quale la Moratti ha colto l'aspetto più soft, più
"culturale", infarcendolo di concetti come "solidarietà". In
realtà Moratti rappresenta il versante moderato di un fronte che
vede nei leghisti alla Borghezio l'ala più estrema, ma i
contenuti sono gli stessi, così come gli obiettivi; cambia solo
lo stile, uno stile adeguato alla metropoli, ma che rimane
sostanzialmente populista, rivolto alla pancia dei commercianti e degli
artigiani e alle paure di una popolazione che sta progressivamente
invecchiando e che è disorientata nei confronti della
velocità dei mutamenti sociali in corso.
Presentandosi come portavoce dei cittadini (e abbandonando le
intenzioni "bipartisan" che hanno caratterizzato i primi mesi del suo
incarico) Moratti ha compiuto un'operazione di attacco politico che ha
di fatto costretto l'opposizione istituzionale ad una rincorsa dal
fiato corto, concretizzatasi in una catena umana tra Comune e
Prefettura (sic). Poco importa, in questo contesto, che il
centro-destra governi questa città dai tempi della caduta di
Craxi e di suo cognato, Pillitteri, una quindicina di anni or sono; che
abbia il saldo controllo della regione, che sia in sostanza il
principale responsabile del degrado della qualità della vita di
Milano, un degrado che alimenta il senso di insicurezza di parte della
cittadinanza, con un riflesso oggettivo sull'intera metropoli. Come
poco importa che il numero complessivo di reati - definiti tali dalla
legislazione vigente - siano in realtà in diminuzione; che la
mafia dei colletti bianchi spadroneggi; che i racket della grande
criminalità domini il traffico della droga e delle armi; che
gran parte degli omicidi e delle violenze avvengano in famiglia. Quella
che importa è la cosiddetta microcriminalità, i piccoli
furti, i borseggi, lo spaccio al minuto, tutte le "attività", in
sostanza, frutto di emarginazione e di degrado sociale alle quali si
accompagna una criminalizzazione "a prescindere" delle comunità
rom alle quali vengono imposte condizioni di vita degne dell'apartheid.
Basta d'altronde seguire la stampa leghista e l'informazione regionale
del TG3 per cogliere quali siano i cavalli di battaglia di questi
perbenisti: presentare sempre gli immigrati come fonte di disturbo e di
disagio, amplificare gli episodi di violenza ai "lumbard" e alle loro
proprietà e minimizzare quelli che hanno come vittime gli
immigrati (soprattutto le morti bianche, i fenomeni di riduzione in
schiavitù, lo sfruttamento intensivo, la prostituzione indotta).
Questo è il terreno sul quale Moratti ed i suoi hanno agito, il
terreno classico di ogni reazionario e di ogni conservatore per imporre
e mantenere il proprio ordine e la propria gerarchia. Con stile
ovviamente, come si confà a chi appartiene ad una delle
più potenti famiglie meneghine.
Non deve stupire, in questo contesto, che il ministro Amato si sia dato
immediatamente da fare per rispondere alla chiamata della Moratti,
né che il presidente Napolitano abbia sostanzialmente avvallato
l'emergenza sbandierata dalla sindaca.
Quando l'aumento delle forze di polizia diviene, per i promotori, la
soluzione della questione sociale, il confine tra destra e sinistra si
confonde, si fa labile, nell'affermazione di un blocco d'ordine sociale
che ha negli immigrati, nei giovani, nei precari il proprio bersaglio.
Inutile aggiungere che per combattere il degrado la strada deve andare
in tutt'altra direzione, la direzione della risoluzione della questione
sociale, del soddisfacimento dei bisogni essenziali, dell'equa
distribuzione della ricchezza sociale, della libertà individuale
e collettiva, nella ricostruzione della comunità solidale e nel
riconoscimento dell'altro. Una strada in salita, almeno qui nella
Milano da digerire, ma una strada obbligata che tanti stanno seguendo
con energia e volontà: la Milano con il cuore in mano ed il
socialismo (quello vero) in testa.
max.var.