Un paio di settimane fa un lunedì La Stampa dedicava le sue
prime quattro pagine alle cosiddette "stragi del sabato sera". Tra gli
articoli dedicati agli incidenti stradali che "insanguinano le strade
italiane nel week end" c'era un piccolo dato nascosto in mezzo alle
tabelle e ai grafici coloratissimi e spesso incomprensibili che negli
ultimi anni sono diventati una vera e propria fissa dei quotidiani
nazionali. C'era scritto che, secondo le statistiche, la fascia oraria
in cui avvengono la maggior parte degli incidenti mortali è
quella compresa tra le 17 e le 18 seguita immediatamente da quella tra
le 7 e le 8 del mattino. Questo piccolo dato non veniva citato
naturalmente in nessuno degli articoli che lo circondavano. Visto che
in quegli orari nessuno torna dalle discoteche o dai pub e in
pochissimi hanno già iniziato ad ubriacarsi, sarebbe apparso
probabilmente una smentita troppo plateale dell'orgia di parole che
attribuiva con assoluta certezza ad alcool, droghe, notti danzanti e
frenesia giovanile la responsabilità delle morti sulla strada.
Contestualizzando la cosa, peraltro, sarebbe stato facile spiegare
perché di primo mattino e di pomeriggio muoiono più
persone sulle strade che sulle notte brave del week-end (dicendo, ad
esempio, che mattina e pomeriggio sono i momenti della giornata in cui
circolano più vetture), ma questo forse sarebbe bastato ad
insinuare il dubbio se valga più la pena di morire per andare a
lavorare o per andare a divertirsi e soprattutto avrebbe stravolto il
senso generale del discorso inserendo degli elementi di ragionamento in
un guazzabuglio isterico che si tiene insieme proprio attraverso
l'assenza di qualunque elemento critico.
Se quella mattina Jean Baudrillard avesse letto La Stampa (il
quotidiano, peraltro, che pubblicava spesso i suoi saggi in edizione
italiana), vi avrebbe trovato conferma della sua tesi secondo cui il
sistema mediatico non serve certo a produrre ragionamento, ma piuttosto
a fornire un'informazione pilotata e fortemente "emotiva" che ha come
obiettivo quello di suscitare "adesione" ai valori e all'ideologia
dominanti.
Baudrillard, recentemente scomparso, era nato nel 1929 a Reims in
Francia: dopo aver iniziato la sua formazione come germanista
(svolgendo,tra l'altro, un'intensa attività di traduzione delle
opere di Bertolt Brecht), aveva diretto i propri interessi verso la
sociologia. Definirlo un sociologo è tuttavia estremamente
riduttivo: Baudrillard è stato un autore molto prolifico che ha
pubblicato oltre trenta libri e commentato alcuni dei fenomeni
culturali più salienti dell'epoca contemporanea, inclusa
l'eliminazione delle distinzioni di genere, razza e classe sociale che
avevano strutturato le società moderne, eliminazione che si
è avuta con l'entrata in una nuova società postmoderna,
governata dal consumo, dai media e dall'alta tecnologia. Ha scritto
inoltre sui ruoli mutevoli di arte ed estetica, sui cambiamenti
fondamentali nella politica, nella cultura e negli esseri umani e anche
sull'impatto dei nuovi media, dell'informazione e delle tecnologie
cibernetiche nella creazione di un ordine sociale qualitativamente
differente e che presenta dei cambiamenti sostanziali nella vita umana
e sociale. Concentrando la sua attenzione sull'analisi della
società dei consumi, dei suoi miti e delle sue strutture, ha
dimostrato come il consumo sia diventato un "linguaggio sociale" che
tende ad aumentare i desideri degli individui piuttosto che a
soddisfarli. Nel mondo contemporaneo si assiste ad una
dematerializzazione della realtà e l'attenzione dell'uomo
è distolta dal mondo naturale e concentrata sulla televisione,
sul mondo della comunicazione che è divenuta un valore assoluto,
un obiettivo in sé. I vecchi miti sono stati rimpiazzati e la
società è, secondo Baudrillard, dominata da una ideologia
fondata sull'"estasi della comunicazione".
Nella tempesta mediatica che copre le nostre vite, le masse cercano
un'immagine e non un significato. In questo modo implodono in una
"maggioranza silente", che rappresenta "la fine del sociale", nel
momento in cui i significati, le classi e le differenze implodono in un
"buco nero" di non-differenziazione. Nella nostra società del
benessere diffuso, infatti, sfruttamento, violenza, miseria, ignoranza
non sono affatto scomparse, ma fanno parte di una realtà
quotidiana che gli uomini finiscono per non vedere annebbiati dalle
"strategie fatali" (come le definisce nel suo omonimo libro uscito) e
'rassicuranti' con cui il potere difende se stesso.
Critico tagliente della società capitalista, Baudrillard fu sin
dalla fine degli anni Sessanta anche un duro critico della
società sovietica.
Se lo stallo della Guerra Fredda rafforzò per molto tempo in lui
l'idea che si stesse stabilendo una "storia congelata" in cui nessun
cambio significativo potesse avere luogo, presto la sua critica si
rivolse non solo verso il capitalismo di stato dell'Europa dell'Est, ma
anche verso la dottrina marxista in genere. Se, infatti, "l'economia
che governa le nostre società risulta da una appropriazione
indebita del principio umano fondamentale, che è un principio
solare di consumo", non solo gli imperativi capitalisti di lavoro,
profitto e risparmio sono implicitamente 'innaturali' e vanno contro la
natura umana, ma è anche evidente che la critica marxiana del
capitalismo attacca solamente il valore di scambio, mentre esalta il
valore d'uso e quindi il profitto e la razionalità strumentale,
cercando in tal modo "un buon uso dell'economia". Secondo Baudrillard,
"il marxismo è quindi solo una limitata critica
piccolo-borghese, solo un passo in più verso la banalizzazione
della vita". Al contrario di molti altri intellettuali, Baudrillard non
esultò più di tanto per la caduta del Muro di Berlino. A
suo giudizio questo avvenimento era piuttosto utilizzato dalle "sirene
del potere" per far credere che l'era delle "idee forti", di un mondo
conflittuale di rivoluzione ed emancipazione universale, era finita.
Secondo Baudrillard, il comunismo crollò a causa della sua
stessa inerzia, si autodistrusse dall'interno, implose, più che
morire nella battaglia ideologica o nella guerra militare e con
l'integrazione degli ex regimi comunisti nel sistema del mercato
mondiale capitalista e della democrazia liberale, il messaggio
dell'ideologia dominante era che non c'era più nessuna tensione
creativa o ideologica, né una alternativa globale al mondo
occidentale. Nei "mondi mediatici e computerizzati", alle persone viene
lasciata solo la possibilità di immergersi in "eventi simulati"
(come definisce, tra gli altri, la guerra del Golfo nel 1991, i
processi di O.J. Simpson tra il 1994 e il 1996, gli scandali a sfondo
sessuale del presidente Clinton e gli attacchi terroristici dell'11
settembre nei primi giorni del terzo millennio) che in realtà
sono "eventi deboli", poiché gli eventi veri (quelli che mutano
lo stato delle cose) sono ancora "in sciopero" e la storia era
scomparsa davvero.
Queste sue posizioni negli anni crearono sempre più scandalo, in
particolare quando, subito dopo gli attacchi terroristici dell'11
settembre 2001, Baudrillard scrisse un articolo, Lo spirito del
terrorismo pubblicato il 2 novembre 2001 su Le Monde. In questo
articolo, che divenne poi uno dei libri più provocatori e
controversi sul terrorismo, Lo spirito del terrorismo: requiem per le
Torri Gemelle (2002), sosteneva che gli attacchi dell'11 settembre
rappresentavano un nuovo tipo di terrorismo, che mostrava una "forma di
azione che sta alle regole del gioco del potere dominante". Al Qaeda
aveva usato gli aeroplani, i computer e i media, associati alle
società occidentali, per produrre uno spettacolo di terrore. Gli
attacchi avevano evocato uno spettro di terrore che faceva credere che
il sistema stesso della globalizzazione e il capitalismo e la cultura
occidentali fossero minacciati dallo "spirito del terrorismo" e da
possibili attacchi in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Dal suo
punto di vista, "il terrorismo non è una forma contemporanea di
rivoluzione contro l'oppressione e il capitalismo", ma "nei discorsi e
i commenti fatti dopo l'11 settembre (..) la condanna morale e
l'unione sacra contro il terrorismo sono direttamente proporzionali
alla prodigiosa esultanza provata nell'aver visto questa superpotenza
globale distrutta". È questa stessa esultanza negata e nascosta
a creare paradossalmente le condizioni per cui l'intellighentzia ha
sostenuto con ardore la causa della Guerra Infinita proclamata da Bush
Junior (e che secondo Baudrillard era uno degli obiettivi di Bin Laden
e dei suoi seguaci, che a suo giudizio speravano proprio che il sistema
reagisse in maniera spropositata in risposta alle loro sfide). A suo
giudizio, d'altra parte, dietro ogni mobilitazione di massa lanciata
dai media (non solo l'appoggio alle nuove USA, ma anche ad esempio le
commemorazioni e le donazioni di massa per le vittime dello tsunami ed
altri eccessi), non è altro che un mezzo osceno dell'estensione
totalitaria finalizzata ad ottenere una coesione sociale. La
società globalizzata rappresenta a suo giudizio il grado zero
della libertà nel mondo occidentale. Come scrive, infatti, ne La
violenza del Globale, bisogna distinguere tra il globale e
l'universale, associando la globalizzazione alla tecnologia, al
mercato, al turismo e all'informazione, in opposizione
all'identificazione dell'universale con "i diritti umani, la
libertà, la cultura e la democrazia." Mentre "la globalizzazione
sembra essere irreversibile, [...] è probabile che
l'universalizzazione sia sulla via del tramonto". Così, "l'idea
di libertà, un'idea recente, sta già svanendo dalle menti
e dalle usanze, e la globalizzazione liberale sta prendendo una forma
totalmente opposta – indicativa di una globalizzazione da
stato-poliziotto, di un controllo totale, di un terrore basato su
misure volte al mantenimento dell'ordine pubblico. La
deregolamentazione si risolve in un valore massimo di obblighi e
restrizioni, simile a quelli della società fondamentalista".
L'unica speranza è affidata alla capacità degli uomini di
sottrarsi alle seduzioni dell'ideologia dominante, "essendo
disincantati senza diventare cinici e rimanendo appassionati senza
trasformarsi in fanatici".
robertino