Era il 14 ottobre dello scorso anno. A Roma alcune migliaia di persone
manifestarono contro la legge obiettivo, una legge fatta per dare ai
soliti pochi noti il diritto legale di aggirarne molte altre, una legge
confezionata su misura per le grandi opere. In questo modo si
può fare a meno del parere delle comunità locali, rendere
più agile la procedura di impatto ambientale e, quindi, tutto
l'iter autorizzativo. È la norma, per capirci, grazie alla quale
si impone un progetto definito di importanza "strategica" nonostante la
ferma opposizione delle popolazioni locali.
Quella manifestazione, fortemente voluta dalle componenti moderate e
filogovernative del movimento piemontese contro il Tav, aveva un non
secondario scopo celebrativo. I No Tav valsusini avevano infatti
ottenuto che la Torino Lyon fuoriuscisse dalla legge obiettivo, facendo
così ripartire da capo l'iter autorizzativo dell'opera. Le
caratteristiche della manifestazione erano tali che alcune componenti
del movimento decisero di non partecipare, mentre altre lo fecero in
maniera fortemente critica, inaugurando per l'occasione lo striscione
"Non ci sono governi amici".
Su quella manifestazione, con tempismo sin troppo studiato, si
riversò, nonostante la calda giornata romana, una severa doccia
scozzese. Tutti i quotidiani riportavano la notizia che il governo
aveva partorito un elegante topolino: un nuovo tracciato per il Tav,
che escludeva le zone calde della bassa Val Susa. Per la prima volta
l'opinione pubblica nazionale sentì parlare della Val Sangone,
luogo idillico e pacifico, dove i sindaci in coro si dichiaravano
favorevoli alla costruzione della nuova linea, accontentandosi, al
più, di compensazioni. A far la voce grossa l'ex sindaco di
Giaveno, oggi deputato azzurro, Osvaldo Napoli. Da segnalare che nessun
quotidiano, contando sulla notoria pochezza degli studi di geografia
nel nostro paese, menzionò il fatto che la Val Sangone non
confina con la Francia. Il nuovo tracciato, dopo aver attraversato la
città di Torino, altro fatto omesso dai cronisti, avrebbe
imboccato la Val Sangone, ma alla fine sempre in Val Susa sarebbe poi
finito.
In realtà, il "nuovo" tracciato tanto nuovo non era, visto che
quest'ipotesi era stata avanzata già diversi anni prima dalla
Provincia di Torino, per essere poi abbandonata.
Quella fu la carta di visita che il governo Prodi presentò al
movimento No Tav e non bastarono certo le furtive visite di ministri e
sottosegretari al corteo romano del 14 per mettere in secondo piano
l'inequivocabile significato politico della riscoperta dell'ipotesi di
tracciato in Val Sangone. Al di là delle pur rilevanti questioni
tecniche ed ambientali (taglio delle falde, presenza accertata di
amianto, danni ambientali al parco dei laghi di Avigliana e
all'Orsiera-Rocciavré), la questione è squisitamente
politica.
Abbiamo ricordato come la fuoriuscita della Torino Lione dalla Legge
Obiettivo avesse fatto partire la "conferenza dei servizi" ossia lo
strumento che la legge ordinaria prevede per portare a termine l'iter
autorizzativo dell'opera. Il solo mettere in campo l'ipotesi Val
Sangone fece sì che i rappresentanti dei comuni valsangonesi
entrassero in gioco nella conferenza dei servizi, rompendo
l'unità No Tav a livello di istituzioni locali.
Anche a Gonella, sindaco diessino di Almese in bassa Val Susa, vennero
attribuite dichiarazioni possibiliste, che egli si affrettò a
smentire il giorno dopo, di fronte ad alcune centinaia di cittadini che
lo convocarono nella piazza del paese per avere spiegazioni. I
cronisti, ghiotti di fattacci, trasformarono una pacifica assemblea di
piazza, in un processo stalininiano.
Quel 14 novembre avvenne anche un altro fatto importante, sebbene
ignorato da politici e media: la nascita, in Val Sangone, di un
movimento No Tav.
Il 31 marzo di quest'anno anche giornali ed politici sono stati obbligati a prenderne atto.
La grande marcia da Trana, in bassa Val Sangone, ad Avigliana, alle
porte della Val Susa ha dimostrato che anche in Val Sangone
l'opposizione al Tav è forte e sta crescendo. La marcia, una
grande manifestazione popolare, è stata il punto di approdo di
un lungo lavoro di informazione e confronto. Fortemente voluta dal
Coordinamento dei Comitati No Tav, che l'ha promossa, ha poi finito con
il coinvolgere anche la parte istituzionale e quella più
smaccatamente filogovernativa del movimento.
La buona riuscita della manifestazione non era affatto scontata.
La sindrome da "governo amico" ha rischiato a lungo di paralizzare il
movimento, illanguidito nella convinzione che Prodi non avrebbe mai
osato forzare la mano. Ci ha pensato Prodi stesso a fugare ogni dubbio:
l'introduzione della Torino Lione tra gli obiettivi prioritari del
governo, i famigerati "12 punti", ha cancellato ogni residua illusione
che esistessero margini di trattativa.
La stessa parte istituzionale No Tav, abbandonata da tempo la
Conferenza dei servizi, punta tutto sulla foglia di fico del cosiddetto
"osservatorio Virano", ossia il tavolo tecnico di confronto che venne
istituito in fretta e furia il 9 dicembre del 2005, dopo tre giorni di
rivolta in Val Susa e dopo la ripresa dei campi di Venaus, sgomberati
con la forza dalla polizia nella notte tra il 5 e il 6 dicembre. Il
movimento popolare non ha tuttavia mai dato credito ad un Osservatorio
presieduto da un uomo la cui storia politica e personale è tutta
all'interno dei poteri forti, all'ombra della lobby del Tav e di quella
dell'autostrada. Un uomo buono per tutte le stagioni, un esperto di
pubbliche relazioni (leggi vaselina), nominato da Berlusconi e promosso
da Prodi anche alla contraddittoria carica di Commissario governativo
per la Torino Lione. Della serie: diamo il compito di mediatore in una
disputa ad uno dei contendenti. Per i No Tav l'Osservatorio Virano
è solo lo strumento con il quale si spera di dividere il
movimento, facendone scivolare una parte sul versante del "come tav".
Nell'inverno appena trascorso il primo incontro tra i sindaci e il
commissario Virano a Bussoleno venne salutato da un lungo assedio alla
sede della Comunità montana Bassa Val Susa e si concluse con la
beffa di un robusto lucchetto apposto al cancello di ingresso sotto il
naso dei carabinieri, che obbligò Virano e Ferrentino ad
attendere l'arrivo di un fabbro. Da segnalare che il fabbro
portò gli attrezzi ma rifiutò di usarli lui stesso.
Su questo punto ormai da tempo esiste una frattura tra il movimento
popolare, ed, in particolare, i Comitati No tav, e i sindaci.
Significativo che un giornale di area governativa come il Manifesto
abbia dato spazio, nella sua cronaca della marcia del 31 marzo, alle
posizioni di Ferrentino, sbilanciato a favore dell'Osservatorio,
sorvolando velocemente sulla netta opposizione dei Comitati. In questi
ultimi mesi i media hanno tenuto un doppio registro nei confronti del
movimento No Tav. Da un lato hanno ripreso l'opera di
criminalizzazione, facendo continui accostamenti con le BR, dall'altro
hanno con sempre maggior sicumera dato credito all'ipotesi che i No Tav
fossero ormai domati, pronti a sottoscrivere un accordo per un qualche
nuovo tracciato. Per rendere credibile l'incredibile si sono sprecate
le ipotesi tanto più fantasiose quanto più prive di
qualunque impianto progettuale.
La marcia del 31 marzo ha tacitato i media che pretendevano che il movimento fosse ormai sul punto di scendere a compromessi.
I No Tav, tanto per non smentirsi, oltre a ribadire la propria ferma
opposizione a qualunque ipotesi di nuova linea ferroviaria tra Torino e
Lione, hanno portato in piazza anche la bandiera del No Tir e la lotta
contro il raddoppio del tunnel autostradale del Frejus e contro le
emissioni inquinanti dell'acciaieria Beltrame.
Diversamente da quanto accadde a Roma lo scorso ottobre ad Avigliana,
il 31 marzo, al termine della grande manifestazione – si parla di
circa trentamila partecipanti – nessuno dei diversi deputati e
senatori presenti ha preso la parola dal palco. La parola in questa
parte del Piemonte è tornata alla gente, che non intende
più cedere alle seduzioni della delega.
Oggi più che mai i No Tav ribadiscono che non ci sono governi amici.
Maria Matteo