Umanità Nova, n.12 dell'8 aprile 2007, anno 87

30 marzo: il pubblico impiego incrocia le braccia
Sciopero generale


Il 30 marzo la CUB e l'USI hanno indetto uno sciopero generale del Pubblico Impiego e della Scuola che per la prima volta ha visto la partecipazione anche delle lavoratrici e dei lavoratori delle cooperative e delle aziende che lavorano in appalto per i servizi pubblici. Giustamente il sindacalismo di base ha deciso di interpretare l'idea di servizio pubblico in senso ampio unendo coloro che la pratica dell'esternalizzazione ha diviso: strutturati e appaltati, dipendenti di Stato, Parastato ed Enti Locali e soci lavoratori delle migliaia di cooperative che lavorano per il pubblico.
Così il 30 marzo a Roma si è snodato un corteo che ha visto insieme i classici "travet" del pubblico Impiego e i moderni rappresentanti del precariato sociale prodotto dalle amministrazioni pubbliche.
In alcune migliaia, tra i 10.000 e i 12.000 hanno percorso le vie della capitale in una mattinata brumosa, fino al comizio finale che ha rimarcato i punti fondanti della manifestazione e le ragioni di uno sciopero vero, come è stato quello del 30. Diciamo sciopero "vero" perché sappiamo tutti che le centrali del sindacalismo di Stato hanno prodotto una proclamazione di sciopero per il 16 aprile (primo giorno di lavoro per gli scolastici dopo le vacanze pasquali) tutta volata ad ottenere dal governo un qualsiasi contratto per lavoratrici e lavoratori che lo aspettano da due anni.
La mobilitazione della CUB e dell'USI, invece, pur non dimenticando la tematica sul contratto che non c'è (o, meglio, che non c'è più, visto che da anni il ritardo di almeno 24 mesi è d'obbligo per i governi di qualsiasi colore), ha messo al centro due punti fondanti per riconquistare la dignità perduta delle lavoratrici e dei lavoratori dei servizi pubblici:
- il riassorbimento delle decine di migliaia di precarie e precari della pubblica amministrazione e la reinternalizzazione dei servizi che sono stati esternalizzati a cooperative, aziende-squalo e consulenti.
Il riassorbimento di questa massa di lavoro non riconosciuta metterebbe fine allo scandalo di uno stato che da un lato proclama la necessità di limitare il precariato e, dall'altro, è il maggior produttore nazionale di precarietà e lavoro nero
- il deciso rigetto del memorandum governo-sindacati di Stato che prevede un'ulteriore riduzione del numero dei lavoratori nel pubblico, la possibilità per i dirigenti di valutare il lavoro dei "propri dipendenti e, in prospettiva, la licenziabilità dei dipendenti pubblici. Più in generale si tratta di rigettare la vera e propria campagna di indottrinamento gestita da governo, opposizione e Confindustria che disegna i dipendenti pubblici come fannulloni allo scopo di cancellarne le residue garanzie e di promuovere l'odio pubblico nei loro confronti.
In mezzo a tale situazione, con per di più una diffusa sfiducia nelle categorie sulla possibilità di ottenere risultati utili, la mobilitazione poteva concludersi in un disastro. Disastro che non è avvenuto visto che l'astensione dal lavoro è stata minoritaria ma significativa e che il corteo ha avuto una dimensione più che dignitosa. Segnale questo di una discreta combattività in un settore spesso attraversato da logiche serviliste e clientelari ma che negli ultimi anni sta trovando una sua dimensione conflittuale nella difesa di una condizione lavorativa sempre più sotto attacco da parte delle controparti statali e padronali.

Giacu la Pece

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