Il 30 marzo la CUB e l'USI hanno indetto uno sciopero generale del
Pubblico Impiego e della Scuola che per la prima volta ha visto la
partecipazione anche delle lavoratrici e dei lavoratori delle
cooperative e delle aziende che lavorano in appalto per i servizi
pubblici. Giustamente il sindacalismo di base ha deciso di interpretare
l'idea di servizio pubblico in senso ampio unendo coloro che la pratica
dell'esternalizzazione ha diviso: strutturati e appaltati, dipendenti
di Stato, Parastato ed Enti Locali e soci lavoratori delle migliaia di
cooperative che lavorano per il pubblico.
Così il 30 marzo a Roma si è snodato un corteo che ha
visto insieme i classici "travet" del pubblico Impiego e i moderni
rappresentanti del precariato sociale prodotto dalle amministrazioni
pubbliche.
In alcune migliaia, tra i 10.000 e i 12.000 hanno percorso le vie della
capitale in una mattinata brumosa, fino al comizio finale che ha
rimarcato i punti fondanti della manifestazione e le ragioni di uno
sciopero vero, come è stato quello del 30. Diciamo sciopero
"vero" perché sappiamo tutti che le centrali del sindacalismo di
Stato hanno prodotto una proclamazione di sciopero per il 16 aprile
(primo giorno di lavoro per gli scolastici dopo le vacanze pasquali)
tutta volata ad ottenere dal governo un qualsiasi contratto per
lavoratrici e lavoratori che lo aspettano da due anni.
La mobilitazione della CUB e dell'USI, invece, pur non dimenticando la
tematica sul contratto che non c'è (o, meglio, che non
c'è più, visto che da anni il ritardo di almeno 24 mesi
è d'obbligo per i governi di qualsiasi colore), ha messo al
centro due punti fondanti per riconquistare la dignità perduta
delle lavoratrici e dei lavoratori dei servizi pubblici:
- il riassorbimento delle decine di migliaia di precarie e precari
della pubblica amministrazione e la reinternalizzazione dei servizi che
sono stati esternalizzati a cooperative, aziende-squalo e consulenti.
Il riassorbimento di questa massa di lavoro non riconosciuta metterebbe
fine allo scandalo di uno stato che da un lato proclama la
necessità di limitare il precariato e, dall'altro, è il
maggior produttore nazionale di precarietà e lavoro nero
- il deciso rigetto del memorandum governo-sindacati di Stato che
prevede un'ulteriore riduzione del numero dei lavoratori nel pubblico,
la possibilità per i dirigenti di valutare il lavoro dei "propri
dipendenti e, in prospettiva, la licenziabilità dei dipendenti
pubblici. Più in generale si tratta di rigettare la vera e
propria campagna di indottrinamento gestita da governo, opposizione e
Confindustria che disegna i dipendenti pubblici come fannulloni allo
scopo di cancellarne le residue garanzie e di promuovere l'odio
pubblico nei loro confronti.
In mezzo a tale situazione, con per di più una diffusa sfiducia
nelle categorie sulla possibilità di ottenere risultati utili,
la mobilitazione poteva concludersi in un disastro. Disastro che non
è avvenuto visto che l'astensione dal lavoro è stata
minoritaria ma significativa e che il corteo ha avuto una dimensione
più che dignitosa. Segnale questo di una discreta
combattività in un settore spesso attraversato da logiche
serviliste e clientelari ma che negli ultimi anni sta trovando una sua
dimensione conflittuale nella difesa di una condizione lavorativa
sempre più sotto attacco da parte delle controparti statali e
padronali.
Giacu la Pece