Umanità Nova, n.13 del 22 aprile 2007, anno 87

Afganistan, Iraq, Iran. Guerra senza confini


Avremmo veramente bisogno di lui adesso.
(Joe Simon, disegnatore "padre" di Capitan America)

Molti sono i fronti, sia interni che esterni, della guerra in Afganistan. La complessità di questo conflitto da un lato affonda le sue radici nella storia lontana e recente, dall'altro è determinata dai numerosi protagonisti e dai molti interessi che si agitano sulle scene, e nei retroscena, delle operazioni militari in corso.
Basta lanciare un'occhiata alle manovre antiguerriglia e agli scontri tribali ai confini del Pakistan di certo collegate ai sommovimenti interni a tale paese, oppure osservare su un qualsiasi atlante geografico il confine, ad ovest, tra l'Iran e la provincia afgana di Herat, per intuire perché la guerra globale di Bush dal 2001 ad oggi non solo non si è conclusa, ma appare ormai come un punto d'incontro di contraddizioni geopolitiche di cui sono per primi prigionieri quelli che si erano dichiarati "vincitori".
In Italia, qualsiasi commento politico veicolato dall'informazione televisiva e stampata, puntualmente affiancato e sorretto dalle consulenze di esperti ed analisti, sembra riferirsi ad una situazione che neppure somiglia alla lontana all'odierna realtà dell'Afganistan. Così come in passato, è persino ovvio tenere presente che gli stati confinanti con l'Afganistan (Iran, Pakistan, Cina, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan) stanno interagendo, per proprio tornaconto o su delega, con i diversi attori sul campo: governo nazionale presieduto da Karzai, poteri clanici legati alle diverse etnie, guerriglia talebana, forze occupanti Usa e Nato. Eppure, quando gli esponenti del governo italiano (parimenti, peraltro, a quelli del centrodestra) si pronunciano a riguardo, si ha l'impressione che, non potendo affrontare i problemi posti dall'ultima variante del Grande Gioco, si accontentino di inventarne una versione semplificata per principianti.
Secondo le ultime informazioni, mentre la primavera afgana sta costando un elevato numero di caduti tra i militari dell'Isaf-Nato, sarebbero in atto trasferimenti verso l'Iran promossi dalla Cia di miliziani appartenenti ad un'organizzazione islamica, ma di fede sunnita, operante tra Pakistan e Afganistan, con la missione di destabilizzare il regime sciita di Teheran. Appare infatti abbastanza chiaro che il governo degli Stati Uniti, già pesantemente impegnato in Iraq e Afganistan, non ha abbastanza truppe né risorse finanziare per muovere guerra anche all'Iran, quindi un possibile intervento, motivato con la necessità di bloccare il nucleare iraniano, dovrà limitarsi ad attacchi aerei provenienti dalle portaerei nelle acque a sud dell'Iran e dalle basi aeree nel Pacifico oppure ospitate nei paesi alleati dell'area, sulla falsariga dell'incursione aerea israeliana compiuta nell'81 contro un impianto iracheno.
La conquista dell'Iran, un paese con un territorio almeno quattro volte quello dell'Iraq e una popolazione di almeno tre volte, richiederebbe infatti forze d'occupazione ben più consistenti di quelle che gli Stati Uniti sono stati in grado di dispiegare in Iraq, considerata anche la non sottovalutabile capacità militare iraniana.
E che l'annunciata aggressione all'Iran sia collegata, oltre che al teatro afgano, pure all'Iraq è confermato dall'enorme mobilitazione antiamericana degli iracheni sciiti - forse persino un milione - che per giorni si è andata concentrando presso la città santa di Najaf.
D'altronde osservando la posizione dell'Iran, stretto tra Iraq e Afganistan, si potrebbe ritenere trattarsi di un boccone ideale per le aggressioni esterne, quasi come il terzo tassello mancante nel puzzle dell'imperialismo statunitense; ma in realtà proprio tale posizione rende vulnerabile la presenza Usa e Nato nei paesi confinanti, dove peraltro devono fare i conti con le rispettive guerriglie che renderebbero problematico l'impiego delle basi Usa contro l'Iran. Facile inoltre prevedere da parte iraniana ritorsioni, infiltrazioni, saldature e alleanze nella provincia irachena di Bassora e in quella afgana di Herat.
Nella provincia di Herat, oltre che a Kabul, è notoriamente dislocata parte del contingente militare italiano come supporto del PRT operante, per conto della Nato, su tale territorio. Tale provincia, ritenuta a torto una zona "tranquilla", si trova quindi attualmente stretta tra le province meridionali dove più intensi sono i combattimenti tra forze Usa/Nato e la guerriglia filotalebana e, appunto, il confine ad alto rischio con l'Iran.
Per far fronte ai crescenti rischi connessi alla "missione di pace" svolta dai militari italiani, il Consiglio supremo di difesa ha deciso un ulteriore rafforzamento operativo del contingente in Afganistan, prevedendo l'invio di elicotteri da attacco al suolo A-129 Mangusta e veicoli corazzati da combattimento Vcc-80 Dardo. Tale indicazione, che comunque dovrà essere approvata dal parlamento, toglie ogni dubbio residuo sulla natura bellicista dell'intervento italiano, nonostante che la sinistra di governo continui a non voler ammettere l'evidenza e a sostenere che dei militari, dentro una guerra, possano compiere cose diverse dal fare la guerra.

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