Avremmo veramente bisogno di lui adesso.
(Joe Simon, disegnatore "padre" di Capitan America)
Molti sono i fronti, sia interni che esterni, della guerra in
Afganistan. La complessità di questo conflitto da un lato
affonda le sue radici nella storia lontana e recente, dall'altro
è determinata dai numerosi protagonisti e dai molti interessi
che si agitano sulle scene, e nei retroscena, delle operazioni militari
in corso.
Basta lanciare un'occhiata alle manovre antiguerriglia e agli scontri
tribali ai confini del Pakistan di certo collegate ai sommovimenti
interni a tale paese, oppure osservare su un qualsiasi atlante
geografico il confine, ad ovest, tra l'Iran e la provincia afgana di
Herat, per intuire perché la guerra globale di Bush dal 2001 ad
oggi non solo non si è conclusa, ma appare ormai come un punto
d'incontro di contraddizioni geopolitiche di cui sono per primi
prigionieri quelli che si erano dichiarati "vincitori".
In Italia, qualsiasi commento politico veicolato dall'informazione
televisiva e stampata, puntualmente affiancato e sorretto dalle
consulenze di esperti ed analisti, sembra riferirsi ad una situazione
che neppure somiglia alla lontana all'odierna realtà
dell'Afganistan. Così come in passato, è persino ovvio
tenere presente che gli stati confinanti con l'Afganistan (Iran,
Pakistan, Cina, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan) stanno
interagendo, per proprio tornaconto o su delega, con i diversi attori
sul campo: governo nazionale presieduto da Karzai, poteri clanici
legati alle diverse etnie, guerriglia talebana, forze occupanti Usa e
Nato. Eppure, quando gli esponenti del governo italiano (parimenti,
peraltro, a quelli del centrodestra) si pronunciano a riguardo, si ha
l'impressione che, non potendo affrontare i problemi posti dall'ultima
variante del Grande Gioco, si accontentino di inventarne una versione
semplificata per principianti.
Secondo le ultime informazioni, mentre la primavera afgana sta costando
un elevato numero di caduti tra i militari dell'Isaf-Nato, sarebbero in
atto trasferimenti verso l'Iran promossi dalla Cia di miliziani
appartenenti ad un'organizzazione islamica, ma di fede sunnita,
operante tra Pakistan e Afganistan, con la missione di destabilizzare
il regime sciita di Teheran. Appare infatti abbastanza chiaro che il
governo degli Stati Uniti, già pesantemente impegnato in Iraq e
Afganistan, non ha abbastanza truppe né risorse finanziare per
muovere guerra anche all'Iran, quindi un possibile intervento, motivato
con la necessità di bloccare il nucleare iraniano, dovrà
limitarsi ad attacchi aerei provenienti dalle portaerei nelle acque a
sud dell'Iran e dalle basi aeree nel Pacifico oppure ospitate nei paesi
alleati dell'area, sulla falsariga dell'incursione aerea israeliana
compiuta nell'81 contro un impianto iracheno.
La conquista dell'Iran, un paese con un territorio almeno quattro volte
quello dell'Iraq e una popolazione di almeno tre volte, richiederebbe
infatti forze d'occupazione ben più consistenti di quelle che
gli Stati Uniti sono stati in grado di dispiegare in Iraq, considerata
anche la non sottovalutabile capacità militare iraniana.
E che l'annunciata aggressione all'Iran sia collegata, oltre che al
teatro afgano, pure all'Iraq è confermato dall'enorme
mobilitazione antiamericana degli iracheni sciiti - forse persino un
milione - che per giorni si è andata concentrando presso la
città santa di Najaf.
D'altronde osservando la posizione dell'Iran, stretto tra Iraq e
Afganistan, si potrebbe ritenere trattarsi di un boccone ideale per le
aggressioni esterne, quasi come il terzo tassello mancante nel puzzle
dell'imperialismo statunitense; ma in realtà proprio tale
posizione rende vulnerabile la presenza Usa e Nato nei paesi
confinanti, dove peraltro devono fare i conti con le rispettive
guerriglie che renderebbero problematico l'impiego delle basi Usa
contro l'Iran. Facile inoltre prevedere da parte iraniana ritorsioni,
infiltrazioni, saldature e alleanze nella provincia irachena di Bassora
e in quella afgana di Herat.
Nella provincia di Herat, oltre che a Kabul, è notoriamente
dislocata parte del contingente militare italiano come supporto del PRT
operante, per conto della Nato, su tale territorio. Tale provincia,
ritenuta a torto una zona "tranquilla", si trova quindi attualmente
stretta tra le province meridionali dove più intensi sono i
combattimenti tra forze Usa/Nato e la guerriglia filotalebana e,
appunto, il confine ad alto rischio con l'Iran.
Per far fronte ai crescenti rischi connessi alla "missione di pace"
svolta dai militari italiani, il Consiglio supremo di difesa ha deciso
un ulteriore rafforzamento operativo del contingente in Afganistan,
prevedendo l'invio di elicotteri da attacco al suolo A-129 Mangusta e
veicoli corazzati da combattimento Vcc-80 Dardo. Tale indicazione, che
comunque dovrà essere approvata dal parlamento, toglie ogni
dubbio residuo sulla natura bellicista dell'intervento italiano,
nonostante che la sinistra di governo continui a non voler ammettere
l'evidenza e a sostenere che dei militari, dentro una guerra, possano
compiere cose diverse dal fare la guerra.
Altra Informazione