Inaspettata per chi non vive in quella zona, inaspettata per chi ha
sempre considerato i cinesi, gente tranquilla, silenziosa, chiusa e
discreta, perfino un po' sottomessa.
La Cina continua ad essere sempre di più un'incognita per molti
di noi, sia che si parli del paese, sia della sua popolazione in giro
per il mondo. In questo ci giocano diversi fattori: la nostra profonda
ignoranza, la diversità culturale, ma anche il pregiudizio
più o meno strisciante.
Giovedì mattina va in onda una scena che accade ormai da circa
due mesi in via Paolo Sarpi (strada principale attorno al quale si
sviluppa il quartiere cinese). Dei vigili notano una macchina in doppia
fila, si fermano e multano la signora dell'autovettura che era in
compagnia di sua figlia, piccola di due anni. Di cosa tratti la
contravvenzione poco importa, il rilevante è che questa volta da
vita ad una protesta ferma e decisa della malcapitata, soprattutto
quando il vigile le vuole sequestrare i documenti. A quel punto
è tutto un susseguirsi di eventi: la signora resiste, il vigile
la colpisce, la gente del quartiere vede la scena e prontamente
interviene in soccorso alla signora, c'è uno scontro fisico tra
agenti, che agiscono nervosamente, picchiando chiunque si avvicini a
loro, ed i ragazzi, che a quel punto circondano la macchina. In poco
tempo, arrivano i poliziotti in assetto antisommossa e picchiano
giù duro, caricando come fanno di solito. I ragazzi cinesi sono
sgomenti, chiedono il perché di tutta quella violenza. Un
poliziotto arriverà a rispondere che questo è il loro
lavoro. Ma al contrario di ciò che comunemente gli italiani
credono sul conto dei cinesi, la comunità reagisce in massa.
Scendono in piazza, portano bandiere rosse stellate, striscioni
improvvisati, la stoffa non manca certo in mezzo a centinaia di
magazzini di vestiti, e parte un corteo numeroso in tutta via Sarpi,
che risponde colpo su colpo a quegli italiani che passano ed insultano
con improperi razzisti.
E dato che non si tratta di poveri disgraziati, ma di commercianti, e
alcuni dei quali anche ben messi, si schioda dalla sua bella seggiola
anche il console cinese, che in un battibaleno scende in piazza con
loro e li difende, mettendosi in mezzo tra i ragazzi agitatissimi ed i
vigili agguerriti.
Ma che cosa è che bolliva in pentola? Perché la giunta
Moratti ha deciso di applicare in modo così miope una tattica
repressiva unilaterale contro la comunità cinese che lavora,
anche duramente, proprio nella città che si vanta di essere la
più laboriosa?!
Facciamo un passo indietro. Nel quartiere la presenza cinese risale
agli inizi del '900. I primi che arrivarono a Milano, si collocarono in
questo quartiere, aprendo le proprie prime attività, costruendo
qui le proprie famiglie, ed in alcuni casi anche mischiandosi con gli
italiani, con matrimoni misti. La comunità cresce molto
lentamente, rimanendo però più o meno stabile fino agli
anni '90, quando l'immigrazione aumenta vertiginosamente, come in tutta
Italia. Ovviamente, come già sappiamo dalle esperienze passate,
quando una persona migra in un paese nuovo, va lì dove ci sono i
suoi connazionali, per trovare un punto di appoggio e di rifugio.
Così le prime attività di commercio cominciano a
moltiplicarsi. Ma fin quando i cinesi non si vedono, perché sono
chiusi in scantinati a lavorare e dormire attaccati alle macchina da
cucire, a pochi importa. I razzisti rivolgono la propria attenzione a
quelli che si notano di più, i neri, gli arabi, gli zingari,
etc…
Ma negli ultimi 8-10 anni circa, le cose cominciano a cambiare
nuovamente ed anche velocemente. La Cina cresce e cresce sempre di
più economicamente. La laboriosità, mista a sfruttamento
ed a oppressione, crea quella combinazione particolare per la crescita
economica anche dei cinesi qui in Italia. La comunità di Via
Sarpi è sempre più ricca. Comprano negozi, fondi, aprono
locali, bar, ristoranti, tutto ciò che serve alla vita della
propria comunità. In giro si cominciano a veder sempre di
più (per il sottoscritto anche con gran piacere, oltre che
stupore), tanti giovanissimi cinesi, vestiti come i propri coetanei
italiani, in giro per locali e cinema.
Ma insieme a questo, crescono i disagi nel quartiere ed il razzismo nei
loro confronti. Parlo di disagi e di razzismo, come due elementi che
tengo ben distinti, perché è bene non confonder le due
cose. Un conto è parlare del disagio che provocano in un
quartiere centinaia di fondi, dove caricano e scaricano camion e
macchine a qualsiasi ora della giornata, intasando il traffico in modo
bestiale, bloccando gli androni o le uscite dei palazzi. Altro è
il razzismo, il pregiudizio creato ed alimentato da una campagna
politica, televisiva, nazionalista e revanscista ad opera di forze
politiche ed economiche, che ormai da qualche tempo hanno la
comunità cinese come obiettivo.
Mafiosi, copioni, corrotti, disonesti, incapaci di esprimere una
propria cultura ed identità, e chi più ne ha, ne metta.
In città siamo arrivati anche a sentire leggende sui morti
cinesi. Questo razzismo è alimentato da una classe di piccoli e
medi imprenditori che, non reggendo il confronto con l'industria
cinese, sia essa in Asia o in Italia, vogliono imporre alle classi
lavoratrici di questo paese condizioni e sacrifici maggiori e allo
stesso tempo spingere il governo e le amministrazioni a prendere
provvedimenti restrittivi nei loro confronti.
Ma dato che un po' tutti siamo rimasti spiazzati davanti a questa
rivolta, sia le istituzioni sia noi rivoluzionari, cerchiamo un po' di
capire ciò che ha mosso questa gente. Ovviamente rifiutiamo la
tesi dei Vigili Urbani, che hanno al proprio interno veri e propri
reparti di banditi picchiatori, che in varie occasioni si sono distinti
a Milano, tesi in cui sostengono che la rivolta era premeditata. La
dinamica di ciò che è accaduto, è ovviamente a noi
abbastanza conosciuta: una scintilla da improvvisamente fuoco ad un
malcontento che cova da tempo. La rivolta è spontanea, ma
ciò non vuol dire che non abbia anche inciso l'organizzazione
dei suoi protagonisti. I commercianti cinesi di quella zona sono da
tempo organizzati sia collettivamente sia individualmente. Non è
un caso che in piazza, quasi fin da subito, c'erano oltre al Console,
anche i loro avvocati. La comunità è organizzata, ha una
sua forza economica ed anche politica. E questo lo si può vedere
da diversi segnali: il sindaco di Milano si dovrà sedere ad un
tavolo di trattative con loro e con il console cinese, e certo non lo
avrebbe fatto con gli zingari o i tunisini. Inoltre, il giorno
successivo, interviene niente di meno che il Ministro degli Esteri
cinese, che chiede chiarimenti sull'accaduto al governo italiano.
Ciò che muove i giovani cinesi di Sarpi a lasciare i loro affari
per affrontare la polizia italiana, è però qualcosa di
complesso. Ci sono diversi fattori che si possono riconoscere: la
difesa del proprio commercio, perché i Vigili li stanno
letteralmente vessando da due mesi (multano lo scarico irregolare,
multano i carrelli, multano perfino chi, portando pacchi pesanti sulle
spalle, li mette un attimo per terra per riposare), ma anche la
reazione ad un clima crescente di razzismo, di cui parlavo prima, nei
loro confronti.
Ma questa rivolta ci richiama alla nostra attenzione anche un altro
tipo di problema, sempre più esplosivo nelle nostre metropoli,
ma certamente non nuovo, se pensiamo ai paesi a vecchia immigrazione.
La convivenza coatta di differenti comunità, la creazione di
quartieri etnici o per soli immigrati, danno vita sempre di più
a manifestazioni di intolleranza, razzismo, violenza, di scontro tra
italiani ed immigrati o tra comunità immigrate diverse tra loro,
ma anche danno vita a rivolte, proteste, più o meno spontanee,
contro le forze dell'ordine ed i simboli del potere, proteste anche
molto diverse tra loro. Saperle capire e distinguere, è per noi
importante, ma lo è altrettanto anche capire che queste
rappresentano una manifestazione di umanità e di riscatto, un
atto di reazione di fronte alle molteplici contraddizioni che gravano
sui moderni settori urbani delle classi lavoratrici e della
società civile (come nel nostro caso). Ciò rappresenta
per noi una molla importantissima, non sufficiente, ma indispensabile
da rintracciare, per imparare e, allo stesso tempo, per diffondere
l'idea della rivolta volontaria e libertaria. Questo a proposito del
dibattito su anarchismo ed intervento politico.
Riccardo Bonelli