Proprio mentre le dichiarazioni del ministro dell'economia Padoa
Schioppa alimentavano il malcontento fra i ferrovieri sull'ennesima
cura liberista e sfascista proveniente dal governo, a Terni moriva
schiacciato dalle ruote di un vagone, un manovratore di 55 anni. Questo
episodio, l'ennesimo da quando la scure dei tagli e della
ristrutturazione si è abbattuta sulle ferrovie, è la
risposta più tragica e più seria alle parole di un
rappresentante del governo di centro-sinistra asservito, come il suo
predecessore, agli interessi delle lobby del trasporto su gomma e delle
rapaci società che si stanno cercando di dividere le fette di
torta più appetitose di quel che resta del trasporto ferroviario.
Padoa Schioppa ha infatti individuato, secondo linee strategiche che
hanno contraddistinto tutti i governi succedutisi negli ultimi venti
anni, alcuni punti per risanare le ferrovie, e cioè: il taglio
dei "rami secchi", ovvero le linee a scarso traffico o comunque a
traffico locale; l'agente unico su tutti i treni; l'aumento delle
tariffe; una ulteriore riduzione del personale.
È bene ricordare che i ferrovieri hanno pagato con il taglio di
circa 140.000 posti di lavoro la politica liberista dei governi
italiani; hanno pagato, altresì, un riguardevole contributo di
sangue, se è vero che negli ultimi 20 anni, coincidenti con il
periodo della privatizzazione, cioè dal 1985 ad oggi, solo nel
settore macchina si sono registrati 54 morti, a fronte dei 7 dei
trent'anni precedenti, e questo senza considerare i morti nelle altre
categorie e la serie interminabile di incidenti in cui le vittime sono
stati i viaggiatori.
La ricetta del governo è vecchia e obsoleta: i rami secchi li
volevano già tagliare negli anni ottanta, quando si gettavano le
basi per la truffa dell'alta velocità, ed occorreva risparmiare
più risorse possibili da riversare nel pozzo senza fondo che
stavano costruendo; inoltre, dovrebbero spiegarci come mai nessuno
è riuscito a risanare l'azienda nonostante l'organico sia sceso
ben al di sotto dei centomila dipendenti; tagliare ancora il personale
vuol dire pregiudicare la sicurezza e la stessa fattibilità dei
servizi, dato che adesso il personale è ai limiti e lavora
sostenendo ritmi altissimi. Ancora una volta manca una politica chiara
di rilancio ferroviario attraverso l'individuazione di percorsi certi
che spostino merci e persone dal gommato alla rotaia; questo è
l'unico sistema per risanare la società, non tanto attraverso
l'obiettivo dell'attivo in bilancio, quanto attraverso l'obiettivo di
perdite sempre più contenute e dovute, più che altro,
all'enorme peso che ha tutta l'infrastruttura ferroviaria nel suo
complesso, e che ne fa un sistema non privatizzabile se non al prezzo
della sua distruzione.
Il governo, oltretutto, annovera un ministro dell'ambiente appartenente
al partito di verdi, distintosi per l'assenza di proposte originali
verso il rilancio del trasporto su rotaia, il quale, accordando la
fiducia a Prodi al senato, ha aderito alla politica delle grandi opere,
Tav compreso. Tutto questo sta generando un forte disorientamento di
tutti i lavoratori di sinistra, delusi dal ministro comunista dei
trasporti e dalle politiche del governo Prodi, la cui medicina sta
finendo per uccidere le ferrovie italiane, già smembrate e
fallimentari; il trasporto merci è in ritirata su tutta la
linea, in balia di aziende private o estere che si stanno accaparrando
i settori più redditizi, quelli delle aree industriali; il
trasporto locale viene svenduto al migliore offerente; società
di ricchi magnati italiani (da Montezemolo a Della Valle) sono in gara
per le linee veloci. Per il resto solo progetti di chiusura,
smantellamento, ridimensionamento, dato che le linee meno appetibili
verranno abbandonate oppure legate all'assistenzialismo statale.
Un esercito di manager, in buona parte sindacalisti già mediocri
come ferrovieri, governa l'azienda da autentico parassita, gestisce un
potere clientelare, amministra sprechi di risorse e scellerate
strategie di contenimento dei costi basate sulla diminuzione dei
servizi.
Contro tutto questo, venerdì 13 i ferrovieri sono scesi in
sciopero; lo hanno proclamato sia le organizzazioni sindacali
filo-istituzionali, che quelle di base; uno sciopero voluto dai
lavoratori, ormai stanchi del costante peggioramento delle condizioni
di lavoro; della precarizzazione dell'organizzazione produttiva;
dell'improvvisazione; delle scelte suicide che stanno distruggendo
– unico in Europa – il trasporto ferroviario. Uno sciopero
riuscito, ma che deve essere seguito da altre azioni di lotta e,
soprattutto, deve raggiungere la solidarietà del mondo del
lavoro, dei pendolari, dei cittadini tutti che devono comprendere come
questa non possa essere una battaglia dei soli ferrovieri.
Pippo Gurrieri