Umanità Nova, n.13 del 22 aprile 2007, anno 87

Binari incandescenti
Ferrovie: la scure del ministro, la lotta dei lavoratori



Proprio mentre le dichiarazioni del ministro dell'economia Padoa Schioppa alimentavano il malcontento fra i ferrovieri sull'ennesima cura liberista e sfascista proveniente dal governo, a Terni moriva schiacciato dalle ruote di un vagone, un manovratore di 55 anni. Questo episodio, l'ennesimo da quando la scure dei tagli e della ristrutturazione si è abbattuta sulle ferrovie, è la risposta più tragica e più seria alle parole di un rappresentante del governo di centro-sinistra asservito, come il suo predecessore, agli interessi delle lobby del trasporto su gomma e delle rapaci società che si stanno cercando di dividere le fette di torta più appetitose di quel che resta del trasporto ferroviario.
Padoa Schioppa ha infatti individuato, secondo linee strategiche che hanno contraddistinto tutti i governi succedutisi negli ultimi venti anni, alcuni punti per risanare le ferrovie, e cioè: il taglio dei "rami secchi", ovvero le linee a scarso traffico o comunque a traffico locale; l'agente unico su tutti i treni; l'aumento delle tariffe; una ulteriore riduzione del personale.
È bene ricordare che i ferrovieri hanno pagato con il taglio di circa 140.000 posti di lavoro la politica liberista dei governi italiani; hanno pagato, altresì, un riguardevole contributo di sangue, se è vero che negli ultimi 20 anni, coincidenti con il periodo della privatizzazione, cioè dal 1985 ad oggi, solo nel settore macchina si sono registrati 54 morti, a fronte dei 7 dei trent'anni precedenti, e questo senza considerare i morti nelle altre categorie e la serie interminabile di incidenti in cui le vittime sono stati i viaggiatori.
La ricetta del governo è vecchia e obsoleta: i rami secchi li volevano già tagliare negli anni ottanta, quando si gettavano le basi per la truffa dell'alta velocità, ed occorreva risparmiare più risorse possibili da riversare nel pozzo senza fondo che stavano costruendo; inoltre, dovrebbero spiegarci come mai nessuno è riuscito a risanare l'azienda nonostante l'organico sia sceso ben al di sotto dei centomila dipendenti; tagliare ancora il personale vuol dire pregiudicare la sicurezza e la stessa fattibilità dei servizi, dato che adesso il personale è ai limiti e lavora sostenendo ritmi altissimi. Ancora una volta manca una politica chiara di rilancio ferroviario attraverso l'individuazione di percorsi certi che spostino merci e persone dal gommato alla rotaia; questo è l'unico sistema per risanare la società, non tanto attraverso l'obiettivo dell'attivo in bilancio, quanto attraverso l'obiettivo di perdite sempre più contenute e dovute, più che altro, all'enorme peso che ha tutta l'infrastruttura ferroviaria nel suo complesso, e che ne fa un sistema non privatizzabile se non al prezzo della sua distruzione.
Il governo, oltretutto, annovera un ministro dell'ambiente appartenente al partito di verdi, distintosi per l'assenza di proposte originali verso il rilancio del trasporto su rotaia, il quale, accordando la fiducia a Prodi al senato, ha aderito alla politica delle grandi opere, Tav compreso. Tutto questo sta generando un forte disorientamento di tutti i lavoratori di sinistra, delusi dal ministro comunista dei trasporti e dalle politiche del governo Prodi, la cui medicina sta finendo per uccidere le ferrovie italiane, già smembrate e fallimentari; il trasporto merci è in ritirata su tutta la linea, in balia di aziende private o estere che si stanno accaparrando i settori più redditizi, quelli delle aree industriali; il trasporto locale viene svenduto al migliore offerente; società di ricchi magnati italiani (da Montezemolo a Della Valle) sono in gara per le linee veloci. Per il resto solo progetti di chiusura, smantellamento, ridimensionamento, dato che le linee meno appetibili verranno abbandonate oppure legate all'assistenzialismo statale.
Un esercito di manager, in buona parte sindacalisti già mediocri come ferrovieri, governa l'azienda da autentico parassita, gestisce un potere clientelare, amministra sprechi di risorse e scellerate strategie di contenimento dei costi basate sulla diminuzione dei servizi.
Contro tutto questo, venerdì 13 i ferrovieri sono scesi in sciopero; lo hanno proclamato sia le organizzazioni sindacali filo-istituzionali, che quelle di base; uno sciopero voluto dai lavoratori, ormai stanchi del costante peggioramento delle condizioni di lavoro; della precarizzazione dell'organizzazione produttiva; dell'improvvisazione; delle scelte suicide che stanno distruggendo – unico in Europa – il trasporto ferroviario. Uno sciopero riuscito, ma che deve essere seguito da altre azioni di lotta e, soprattutto, deve raggiungere la solidarietà del mondo del lavoro, dei pendolari, dei cittadini tutti che devono comprendere come questa non possa essere una battaglia dei soli ferrovieri.

Pippo Gurrieri

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