Umanità Nova, n.14 del 29 aprile 2007, anno 87

Il massacro del Virginia Tech
Una tragica normalità


Il massacro del Virginia Tech sta riaprendo un dibattito acceso sulla violenza nella società americana, in particolare fra i giovani, e sulla facilità con cui è possibile, negli Usa, procurarsi armi da fuoco. Ciò che sembra interessare meno agli opinionisti e alle testate giornalistiche è il tentare un'analisi più complessiva o quanto meno uno sforzo di comprensione.
Cho Seung Hui era uno studente laureando in Letteratura inglese. Sudcoreano di origine, risiedeva da tempo negli Stati Uniti. Anche se negli ultimi tempi era parso un po' nervoso, Seung Hui era una persona anonima, comune. Talmente comune che lunedì 16 aprile ha fatto fuori trentadue colleghi di università, ne ha feriti quasi altrettanti, e poi si è sparato. Una strage che riporta immediatamente alla memoria un altro massacro collettivo, quello consumatosi nella scuola di Columbine – sempre negli Usa - nell'aprile del 1999 quando due studenti, Dylan Klebold e Eric Harris, ammazzarono quindici persone ferendone altre venti prima di suicidarsi. Così come questo episodio ormai passato alla storia, il massacro del Virginia Tech ha goduto di una fortissima copertura mediatica. Dall'immenso campus universitario, alcuni studenti sono riusciti a riprendere alcune fasi concitate delle sparatorie e del fuggi fuggi generale per poi inviarle alle tv americane con i videofonini. Ma ciò che lascia ulteriormente sconcertati è il testamento/manifesto che Cho Seung Hui ha consegnato ai posteri inviando un pacco all'emittente Nbc nelle due ore intercorse tra la prima sparatoria (due morti) e la seconda (trenta morti), senza peraltro essere catturato o reso innocuo da una imbarazzatissima polizia. Si trattava di un pacco postale contenente fotografie, documenti scritti e materiale video. Dopo aver consegnato il tutto all'Fbi, i redattori della Nbc hanno diffuso i video girati dallo stesso Seung Hui. Il ragazzo appare in pose grottesche, armato fino ai denti come un personaggio da videogioco sparatutto.
La virtualità si confonde con la realtà. E nelle sue parole, un lucido delirio che inquieta per l'agghiacciante disperazione che esprime: «Fine della strada. Che vita è stata? Pensavate che volessi farlo? Pensavate che io sognassi di morire così? Per nulla al mondo avrei voluto fare questo. Voi avete vandalizzato il mio cuore, lacerato la mia anima e vilipeso la mia coscienza. Pensavate di sfiancare la vita di un ragazzo patetico. Sapete cosa si prova quando ti sputano in faccia e ti costringono a mangiare immondizia? Riuscite a immaginare cosa prova chi si sente umiliato e messo in croce? Le vostre mercedes non erano abbastanza? I vostri gioielli non erano sufficienti? I vostri depositi bancari? La vostra vodka e il vostro cognac non bastavano? Non bastavano per riempire il vostro bisogno di edonismo? Avevate tutto».
Il cupo rancore di un "perdente", di uno di quegli innumerevoli ragazzi particolarmente fragili e sensibili che subiscono l'arroganza e la violenza quotidiana dei coetanei che hanno tutto: soldi, macchine, belle ragazze. E dal senso di inadeguatezza al delirio di onnipotenza il passo è tragicamente brevissimo: «Grazie a voi, io muoio come Gesù Cristo per difendere i più deboli. Come Mosè, separo le acque e conduco il mio popolo: i deboli, gli indifesi, i figli innocenti di tutte le epoche».
Non un incidente di percorso, ma il naturale prodotto di una società normale che in maniera del tutto normale coltiva e cova in sé i germi della violenza e dell'odio. Un cortocircuito mentale, quello di Cho, che fa parte di una psicopatologia della normalità in cui la devianza non è un elemento dissonante ma si concretizza nella norma stessa. In una società intrinsecamente violenta, mediatizzata, fanatica e autistica come quella americana è ormai diffusa la consapevolezza che onore, proprietà privata, integrità fisica e morale vadano difese a tutti i costi, magari comprando un fucile allo store dietro l'angolo e sparando all'impazzata perché non è neanche concepibile sforzarsi di comprendere gli altri o anche semplicemente comunicare. In questo movimento concentrico, la normalità americana - che è poi la normalità di un'epoca che sembra correre, a livello globale, verso l'autodistruzione - fa sì che sia legittimo sparare a vista, dichiarare guerre, annientare il nemico.
Il delirio di Cho Seung Hui è, in definitiva, il delirio di una società intera in cui le persone urlano e non parlano, aggrediscono e non comunicano, sanno benissimo come si fa a consumare ma hanno dimenticato del tutto come si fa a vivere. 

TAZ laboratorio di comunicazione libertaria

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