Il massacro del Virginia Tech sta riaprendo un dibattito acceso sulla
violenza nella società americana, in particolare fra i giovani,
e sulla facilità con cui è possibile, negli Usa,
procurarsi armi da fuoco. Ciò che sembra interessare meno agli
opinionisti e alle testate giornalistiche è il tentare
un'analisi più complessiva o quanto meno uno sforzo di
comprensione.
Cho Seung Hui era uno studente laureando in Letteratura inglese.
Sudcoreano di origine, risiedeva da tempo negli Stati Uniti. Anche se
negli ultimi tempi era parso un po' nervoso, Seung Hui era una persona
anonima, comune. Talmente comune che lunedì 16 aprile ha fatto
fuori trentadue colleghi di università, ne ha feriti quasi
altrettanti, e poi si è sparato. Una strage che riporta
immediatamente alla memoria un altro massacro collettivo, quello
consumatosi nella scuola di Columbine – sempre negli Usa -
nell'aprile del 1999 quando due studenti, Dylan Klebold e Eric Harris,
ammazzarono quindici persone ferendone altre venti prima di suicidarsi.
Così come questo episodio ormai passato alla storia, il massacro
del Virginia Tech ha goduto di una fortissima copertura mediatica.
Dall'immenso campus universitario, alcuni studenti sono riusciti a
riprendere alcune fasi concitate delle sparatorie e del fuggi fuggi
generale per poi inviarle alle tv americane con i videofonini. Ma
ciò che lascia ulteriormente sconcertati è il
testamento/manifesto che Cho Seung Hui ha consegnato ai posteri
inviando un pacco all'emittente Nbc nelle due ore intercorse tra la
prima sparatoria (due morti) e la seconda (trenta morti), senza
peraltro essere catturato o reso innocuo da una imbarazzatissima
polizia. Si trattava di un pacco postale contenente fotografie,
documenti scritti e materiale video. Dopo aver consegnato il tutto
all'Fbi, i redattori della Nbc hanno diffuso i video girati dallo
stesso Seung Hui. Il ragazzo appare in pose grottesche, armato fino ai
denti come un personaggio da videogioco sparatutto.
La virtualità si confonde con la realtà. E nelle sue
parole, un lucido delirio che inquieta per l'agghiacciante disperazione
che esprime: «Fine della strada. Che vita è stata?
Pensavate che volessi farlo? Pensavate che io sognassi di morire
così? Per nulla al mondo avrei voluto fare questo. Voi avete
vandalizzato il mio cuore, lacerato la mia anima e vilipeso la mia
coscienza. Pensavate di sfiancare la vita di un ragazzo patetico.
Sapete cosa si prova quando ti sputano in faccia e ti costringono a
mangiare immondizia? Riuscite a immaginare cosa prova chi si sente
umiliato e messo in croce? Le vostre mercedes non erano abbastanza? I
vostri gioielli non erano sufficienti? I vostri depositi bancari? La
vostra vodka e il vostro cognac non bastavano? Non bastavano per
riempire il vostro bisogno di edonismo? Avevate tutto».
Il cupo rancore di un "perdente", di uno di quegli innumerevoli ragazzi
particolarmente fragili e sensibili che subiscono l'arroganza e la
violenza quotidiana dei coetanei che hanno tutto: soldi, macchine,
belle ragazze. E dal senso di inadeguatezza al delirio di onnipotenza
il passo è tragicamente brevissimo: «Grazie a voi, io
muoio come Gesù Cristo per difendere i più deboli. Come
Mosè, separo le acque e conduco il mio popolo: i deboli, gli
indifesi, i figli innocenti di tutte le epoche».
Non un incidente di percorso, ma il naturale prodotto di una
società normale che in maniera del tutto normale coltiva e cova
in sé i germi della violenza e dell'odio. Un cortocircuito
mentale, quello di Cho, che fa parte di una psicopatologia della
normalità in cui la devianza non è un elemento dissonante
ma si concretizza nella norma stessa. In una società
intrinsecamente violenta, mediatizzata, fanatica e autistica come
quella americana è ormai diffusa la consapevolezza che onore,
proprietà privata, integrità fisica e morale vadano
difese a tutti i costi, magari comprando un fucile allo store dietro
l'angolo e sparando all'impazzata perché non è neanche
concepibile sforzarsi di comprendere gli altri o anche semplicemente
comunicare. In questo movimento concentrico, la normalità
americana - che è poi la normalità di un'epoca che sembra
correre, a livello globale, verso l'autodistruzione - fa sì che
sia legittimo sparare a vista, dichiarare guerre, annientare il nemico.
Il delirio di Cho Seung Hui è, in definitiva, il delirio di una
società intera in cui le persone urlano e non parlano,
aggrediscono e non comunicano, sanno benissimo come si fa a consumare
ma hanno dimenticato del tutto come si fa a vivere.
TAZ laboratorio di comunicazione libertaria