F.Santin e M. Riccomini, Gaetano Bresci: un tessitore anarchico, M.I.R. Edizioni, 2006, formato 23x33 cm, pagg. 64, euro 12,00.
"È lodato chi libera il popolo dal tiranno": a scriverlo non fu
certo un sovversivo, ma Tommaso D'Aquino. Ancor prima di lui il diritto
al tirannicidio fu rivendicato da Cicerone e persino da vari filosofi
dell'Antica Grecia; eppure ricordare chi lo ha praticato espone
puntualmente ad accuse di filo terrorismo, anche se ormai si parla di
storia.
Gaetano Bresci, l'anarchico che il 29 luglio del 1900 giustiziò
a Monza il re Umberto I, è sicuramente stato ricordato in molti
modi: saggi biografici, manifesti, articoli di giornale, numeri unici,
canzoni, manifestazioni; a Prato, sua città natale, gli è
stata dedicata persino una strada e a Carrara un monumento, ovviamente
di marmo. Adesso però c'è pure un bel libro, disegnato e
narrato, che sarebbe inadeguato definire semplicemente un racconto a
fumetti, pur con tutto il rispetto e l'amore che si può avere
per questo genere di espressione.
Il lavoro grafico di Fabio Santin, col suo elegante ma energico bianco
e nero, grazie anche all'appassionata complicità testuale di
Marco Riccomini, concittadino di Bresci, che ne ha curato la
sceneggiatura, è senz'altro qualcosa di più; così
come lo fu a suo tempo, anche se con aspetti diversi, il volume sulla
storia dell'anarchico Errico Malatesta che, peraltro, fu legato da
amicizia con l'attentatore di Monza.
Se il critico Piero Zanotto, su Il Gazzettino, ha scritto che in questo
volume "l'anarchico Bresci si muove come in un noir", a me sembra
piuttosto avere le apparenze "noir et rouge" di un viaggio non solo nel
tempo, dato che comunque si parla di un fatto avvenuto oltre un secolo
addietro, ma anche attraverso luoghi, personaggi, eventi ed anche
immaginari diversi, perché comunque Bresci è stato e in
parte rimane anche un mito popolare, oltre che un compagno rivendicato
per tutti gli anarchici.
Una leggenda che persino quanti hanno avversato e condannato tale gesto
di vendetta sociale, hanno in qualche modo contribuito ad alimentare.
Così Fabio e Marco sono riusciti ad intrecciare un'attenta
ricostruzione storica e una dimensione fantastica, dentro cui
s'incontrano figure realmente esistite ma anche immaginarie, comunque
in sintonia con quel "tessitore anarchico" la cui vita sembra a sua
volta ispirata da un romanzo.
Bresci fu infatti, prima ancora che il tirannicida che colpì a
morte casa Savoia, un operaio che conobbe l'avventura drammatica
dell'emigrazione aldilà dell'oceano e un individuo animato da
brucianti sentimenti e convinzioni, condannato a concludere
tragicamente la propria esistenza.
E, sul filo della storia e della fantasia, la storia potrebbe persino
continuare, tra i bassifondi dell'East Side dove, alla fine
dell'Ottocento si concentravano gli italiani immigrati negli Stati
Uniti, intersecandosi con altri protagonisti e altri accadimenti.
Basti pensare, ad esempio, a Joe Petrosino, il celebre poliziotto
italo-americano passato alla storia per aver combattuto la fantomatica
Mano Nera, ritenuta l'antesignana di Cosa Nostra. In realtà la
sua carriera di sbirro fu assai meno limpida ed eroica di quanto ci
hanno mostrato alcune ricostruzioni giornalistiche e televisive.
Proprio a seguito dell'attentato di Monza, Petrosino s'infiltrò
negli ambienti anarchici di Paterson da cui il proveniva Bresci e, nel
corso dell'indagine, utilizzando i suoi metodi già famigerati,
sottopose a duro interrogatorio Sophie Knieland, compagna
dell'anarchico pratese, maltrattandola pesantemente. Quindi nel 1908,
il capo della polizia Bingham e lo stesso Petrosino organizzarono una
squadra speciale di agenti "con licenza di uccidere", col fine
dichiarato di "stritolare la Mano Nera e gli anarchici", usufruendo
anche di cospicui finanziamenti elargiti da banchieri, ricchi
imprenditori e capitalisti tra i quali, secondo indiscrezioni
dell'epoca, pure J.D. Rockefeller e A. Carnegie.
Per questo, quando il 12 marzo 1909, Petrosino venne assassinato a
Palermo da anonimi sicari, Errico Malatesta, intervistato a Londra dal
corrispondente del New York Times su tale morte, ebbe a dichiarare:
"Posso soltanto dire che in considerazione di quanto ho dovuto subire
per colpa della polizia, la morte di Petrosino mi lascia del tutto
indifferente".
Chissà, potrebbe essere una traccia…
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