Umanità Nova, n.14 del 29 aprile 2007, anno 87

L'affaire Telecom. Una partita miliardaria


Non è vero che in Italia non cambi mai nulla.
Non mi sto, ovviamente, riferendo alle facce dei politici. Quelli sono sempre gli stessi, espressione autoreferenziale di un mondo di 150.000 persone tra parlamentari (1.029), consiglieri regionali (1.118), comunali (119.046), provinciali (3.039), di comunità montane (12.820) e circoscrizionali (12.541).
Non sto parlando neanche delle facce dei capitalisti. Anche quelli sono sempre gli stessi. Su 279 società per azioni quotate in borsa, 227 sono collegate tra loro attraverso 585 consiglieri d'amministrazione che hanno un incarico in più di una società.
Sono questi consiglieri che fanno il bello ed il cattivo tempo sul mercato e che decidono tutti gli affari delle società da loro amministrate. Immaginate quali interessi, oltre ai propri, abbia tutelato Tronchetti Provera nella cessione dei 900 immobili costituenti il patrimonio immobiliare della Telecom (di cui era presidente del consiglio d'amministrazione) a Pirelli Real Estate (di cui era sempre presidente del consiglio d'amministrazione, ma azionista con una quota più grossa): per la cronaca, li ha venduti a 790 milioni di euro (meno di un milione a palazzo, praticamente nulla).
Mi riferisco invece agli stipendi dei manager. Quelli cambiano, ed al rialzo. Lo stipendio medio dei 100 manager più pagati in Italia è di 3,4 milioni di euro l'anno. Nel 2006 sono aumentati, in media, del 17% sull'anno precedente. Il manager più pagato in Italia è Carlo Buora, amministratore delegato della Telecom: nel 2006 ha guadagnato, per quella carica, 18,8 milioni di euro, gli stessi soldi con cui campano 900 operai (e relative famiglie) della stessa azienda.
Lo stipendio di Buora nel 2006 è stato arricchito, come quello di molti top manager, dalla riscossione di stock option. Questo sistema di remunerazione va molto di moda tra gli alti dirigenti perché consente guadagni favolosi senza eccessiva pubblicità. In pratica consiste nell'obbligo, da parte della società, a fornire al dirigente un certo numero di azioni in una certa data ad un prezzo prefissato. Cioè, per esempio, a dare a Buora il 31 dicembre prossimo due milioni di azioni Telecom al prezzo di 1 euro ad azione. Ora, siccome oggi la Telecom vale intorno ai due euro, è chiaro che questo equivale all'aver dato a Buora un paio di milioni di euro. Senza contare che gli stessi dirigenti possono influire (nel breve periodo) sul corso azionario del titolo che amministrano. Se, tanto per rimanere nell'esempio, Buora il 30 dicembre prossimo annunciasse un utile record per Telecom, il valore dell'azione salirebbe il giorno successivo, consentendogli un guadagno ulteriore. Poco gli importa che la notizia possa essere smentita (ed il titolo ridiscendere) due giorni dopo: ormai avrà già venduto le azioni e realizzato il guadagno.
Nel 2005 il più pagato (senza considerare le stock option) era stato Tronchetti Provera, all'epoca presidente di Telecom.
D'altro canto fare l'alto dirigente in Telecom deve essere un lavoro faticoso, visto che sono anni che i top manager Telecom guidano le classifiche dei manager più pagati.
I manager Telecom devono essere talmente tanto convinti di questa cosa da aver proposto nell'ultima assemblea societaria un ulteriore attribuzione di 60 milioni di euro, attraverso le stock option, a loro stessi.
Visto che i manager Telecom erano tutti dati in uscita, a causa dell'attesa vendita del pacchetto azionario a AT&T e American Movil, e sono, oltretutto, sotto inchiesta per le intercettazioni telefoniche realizzate abusivamente da Telecom stessa risulterebbe inspiegabile comprendere come possano, anche solo pensare, di avere una buonuscita di 60 milioni di Euro. 

Per capire come questa situazione sia potuta avvenire conviene ripercorrere la storia di Telecom a cominciare da quella del suo attuale padrone: Marco Tronchetti Provera.
Tronchetti è uno di quelli che, se facesse il politico, metterebbe anche lui al centro la famiglia: se lo fanno Casini e Berlusconi che di famiglie ne hanno due, figurarsi lui che ne ha tre.
E, da buon padre di famiglia, ha dato tutto ai tre figli, Giada, Ilaria e Giovanni, che hanno ognuno il 33% della sua finanziaria: la Marco Tronchetti Provera società in accomandita per azioni (in sigla: MTP sapa). L'1% se l'è tenuto lui, tanto per non farli litigare.
Con questa finanziaria Tronchetti controlla il 61,43% del Gruppo di Partecipazioni Industriali S.pA. (in sigla GPI). Le altre azioni di GPI le hanno Puri Negri (vicepresidente della Pirelli), il cognato Alberto Pirelli (altro vicepresidente della Pirelli) e il fratello povero Bruno Tronchetti Provera.
La GPI non fa nulla ad eccezione della partecipazione, con il 52,1% nell'impresa storica della famiglia Tronchetti Provera, la Camfin S.p.A.
Il Consorzio Approvvigionamenti Metallurgici e Meccanici è nato nel 1915, ed operava nel settore siderurgico e metallurgico. Negli anni trenta si è cominciato ad occupare anche di prodotti petroliferi. Negli anni cinquanta Silvio Tronchetti Provera (il papà) è entrato come amministratore e nel 1965 ne è divenuto presidente prima e proprietario poi. Con una buona dose di fortuna il papà ha scelto di buttarsi principalmente su petrolio ed energia, diventando molto ricco con la crisi petrolifera degli anni '70.
Per riorganizzare la società ha creato una struttura ad holding (come andavano di moda negli anni '80) al centro la Camfin e sotto le varie attività sul petrolio, immobiliare, gas, partecipazioni e tecnologia.
Dal 1986 la parte del capitale non controllata da GPI è quotata in borsa e, nello stesso anno, Marco Tronchetti Provera ha sposato la sua prima moglie, Cecilia Pirelli.

Quando, pochi anni dopo, Leopoldo Pirelli ha coperto di debiti la Pirelli fallendo il tentativo di acquisizione della società tedesca Continental ed il figlio Alberto ha, successivamente, indebitato anche la finanziaria di famiglia, è venuto il momento di Tronchetti Provera che, grazie al petrolio, i soldi li aveva e, messosi d'accordo con un po' di banche creditrici, si è preso la Pirelli attraverso la Camfin.
La Camfin controlla il 19,63% della Pirelli ma, visto che ha un accordo con Mediobanca e Benetton (che controllano il 4,45% ognuna) Fondiaria, Ras e Generali (con il 4,26% ognuna), con Intesa e Capitalia (con il 1,56% ognuna) nonché con Moratti (1,15%) e Lucchini (0,61%) riesce a controllare il 46,20% del capitale di Pirelli.
Nonostante la Pirelli sia una società oberata di debiti, Tronchetti è riuscito comunque a tirarci fuori dei soldi, vendendo nel 2000, con il mercato azionario in piena bolla speculativa, la divisione cavi per telecomunicazioni Optical Technologies (OTI) alla statunitense Corning e portando a casa seimila miliardi di lire che ha poi usato per comprare la Telecom.
La Telecom, infatti, era stata privatizzata nel 1997 proprio dal primo governo Prodi e fu un regalo fatto agli Agnelli, cui fu consentito di controllare la società con un pacchetto azionario di solo il 6,6% (tra l'altro posseduto in condominio con l'istituto bancario Sanpaolo).
Telecom all'epoca si limitava a gestire, da monopolista, la rete fissa e ad incassare la quota che gli versava (e gli versa) chiunque abbia un telefono fisso.
All'epoca tutti pensavano che, nel futuro delle telecomunicazioni, gli affari si sarebbero fatti solo con i cellulari e che la rete fissa sarebbe scomparsa.
Telecom aveva creato TIM per gestire la telefonia mobile. La Olivetti (all'epoca posseduta da Colaninno, un caro amico di D'Alema) aveva creato Omnitel e di lì a poco, ENEL avrebbe creato la Wind.
Colaninno, grazie ai buoni uffici di D'Alema e della Banca d'Italia, con l'appoggio di Mediobanca e della Hopa di Gnutti riuscì a fare il colpo gobbo di far fuori gli Agnelli e prendersi Telecom senza tirare fuori una lira.
Per capire l'assurdità dell'operazione si pensi che l'acquisto di azioni fu fatto da una sua società, la Tecnost, che aveva 80 miliardi di capitale e che, per poter procedere dovette varare un maxi aumento di capitale di 37mila miliardi. Tutta l'operazione (di 61 mila miliardi) fu garantita da banche che, era ovvio fin d'allora, si sarebbero riprese i soldi svendendo la società a pezzi non appena concluso l'acquisto.
Così nel 1999 Tecnost riuscì a prendersi il 51% della Telecom che cominciò, da allora, a riempirsi di debiti: nel 1999 (prima dell'acquisizione di Colaninno) aveva un debito di 5.000 miliardi di lire (2,5 miliardi di euro), al momento della vendita di Colaninno aveva un debito di 38 miliardi di Euro ed oggi ha un debito, valutato da Standard & Poor's (che considera anche le garanzie, gli obblighi previdenziali, le operazioni di leasing e di cartolarizzazione) di 56,7 miliardi di Euro.
Oltre che Telecom, Colaninno indebitò anche la Olivetti. Dovette fonderla con la Tecnost per annullarne parte dei debiti. Poi cedette Omnitel e Infostrada ai tedeschi della Mannesman (successivamente acquisita dagli inglesi di Vodafone).
Nonostante questo non riuscì a risolvere il problema dei debiti e così la cedette nel 2001 a Tronchetti Provera, che, in quel momento aveva i soldi della cessione della OTI.
Colaninno così è riuscito ad uscire da questa impresa senza metterci una lira di suo e guadagnando i soldi che gli hanno consentito di prendersi la Piaggio.
Tronchetti Provera, per prendersi il 23% di azioni Telecom possedute da Colaninno e Gnutti ha creato una società, la Olimpia, posseduta per l'80% dalla Pirelli e per il 20% dai Benetton.
Per quel 23% di azioni Telecom (che poi sarebbero diminuite fino all'attuale 18%) Tronchetti pagò uno sproposito: 4,125 Euro a azione.
Questa operazione è avvenuta nell'estate del 2001, Tronchetti è divenuto presidente di Telecom nel settembre di quell'anno.
Settembre è un mese un po' strano, finisce l'estate e succedono tante cose. L'11 settembre, poi, di cose ne sono avvenute anche di importanti: è l'anniversario del tentativo di Lucetti di giustiziare Mussolini (che se fosse riuscito avrebbe risparmiato guerra, sterminio e lutti agli italiani), è l'anniversario del colpo di stato in Cile e quello della strage di Sebrenica. L'11 settembre è anche l'anniversario delle torri gemelle e (per quello che ci interessa in questo articolo) del conseguente crollo della borsa mondiale.
Tronchetti aveva pagato molto di più del prezzo di mercato di allora (che era di 2,25 euro ad azione) convinto che la borsa sarebbe ulteriormente salita, come aveva fatto negli anni precedenti, e lui sarebbe riuscito comunque a guadagnarci sopra.
Messo alle strette dal crollo del mercato Tronchetti è stato costretto ad inventarsi una serie di operazioni per tranquillizzare le banche. Prima ha fuso Olivetti e Telecom (facendo sparire Olivetti). Poi ha portato TIM sotto Telecom. Ha venduto, infine, quasi tutte le partecipazioni estere di Telecom per 15 miliardi di Euro.
Nonostante tutte queste vendite il debito è aumentato fino agli attuali 56,7 miliardi ed il prezzo delle azioni non è mai salito molto sopra i 2 euro. Olimpia è riuscita a svalutare, nel proprio bilancio, le azioni Telecom solo da 4,6 a 4,2 euro per azione e Pirelli si è dovuta pure ricomprare le azioni possedute dalla Hopa di Gnutti (e per farlo ha dovuto vendere la storica divisione pneumatici) ed il 9,5 % posseduto in Olimpia da Unicredit e Banca Intesa tirando fuori 985 milioni di Euro.
Questo è il motivo per cui, nel settembre scorso, ha pensato di uscirne fuori vendendo TIM Brasile, scorporando TIM Italia e la rete telefonica, da cedere allo stato e cercando un accordo con Murdoch per vendere contenuti (film, programmi) sfruttando la banda larga.
Prodi ha fatto finta di non sapere che il piano era concordato e che, addirittura, quello sulla cessione della rete era stato addirittura elaborato da un suo consigliere, Rovati
Senza voler rifare la storia recente, Tronchetti uscì sconfitto da quel braccio di ferro e fu costretto a dimettersi e a nominare Guido Rossi alla presidenza di Telecom.
Un'altra rogna di Tronchetti è data dal progredire dell'inchiesta sulle intercettazioni telefoniche, dove sta diventando sempre più difficile sostenere la tesi difensiva secondo cui lui non sapeva nulla di cosa facessero, alle sue dirette dipendenze, Tavaroli e lo staff di 500 persone incaricate della security Telecom.
Insomma per Tronchetti è sempre più importante levarsi da Telecom.
Per poter recuperare parte dell'investimento fatto l'unica via che resta a Tronchetti è farsi pagare un cospicuo premio di maggioranza per la cessione del proprio pacchetto di azioni Telecom.
Nel mercato azionario si paga, infatti, un sovrapprezzo rispetto alla quotazione di borsa, talvolta anche considerevolmente maggiore, quando invece di una singola azione, si acquista il controllo della società quotata.
Per questo motivo Tronchetti, a febbraio, si è accordato con gli spagnoli di Telefonica per vendergli una parte di Olimpia (non gliela può vendere tutta perché è vincolato da diversi accordi con Benetton, Mediobanca e Generali).
Il prezzo che gli spagnoli avrebbero pagato è tra i 3 e i 3,4 euro ad azione, ben oltre quello di mercato e con la prospettiva di comprarsi, nel tempo, tutto il pacchetto a quel prezzo.
Guido Rossi non era d'accordo con Tronchetti e, nel piano industriale che ha presentato al consiglio d'amministrazione, l'8 marzo scorso, non ha considerato per niente (neanche come possibilità) i risparmi che Telecom e Telefonica avrebbero potuto realizzare da un'eventuale alleanza. È, di fatto, una bocciatura dell'accordo fatto da Tronchetti. La cosa più grave, per Tronchetti, è che il piano viene approvato da consiglio d'amministrazione: è la prima volta, da quando è diventata il principale azionista che Pirelli viene messa in minoranza in Telecom. Questo significa anche l'impossibilità di far pagare un premio di maggioranza se Olimpia dovesse mettere in vendita le azioni. Alla cosa non viene dato troppo risalto, i consiglieri più vicini a Tronchetti si astengono, e non viene più dato spazio sui media alla mancata intesa con Telefonica e Tronchetti si mette a cercare altri compratori.
Si fanno avanti quelli di banca Intesa, offrendogli 2,7 Euro per azione.
Tronchetti non si accontenta e si rivende l'offerta informale ai nordamericani di AT&T e American Movil che gli arrivano ad offrire 2,82 Euro ad azione per prendersi ognuno il 33,33% di Olimpia.
I motivi per cui vorrebbero sbarcare in Italia sono diversi come diverso è stato il comportamento nelle trattative a fronte delle resistenze del governo italiano.
American Movil e TelMex (l'offerta è stata fatta da entrambe le compagnie) sono di proprietà di Carlos Slim Helu, che, da fine marzo, è il secondo uomo più ricco del mondo (con 53,1 miliardi di dollari) con un patrimonio pari al reddito dei 55 stati più poveri del pianeta.
Slim è diventato ricco con le privatizzazioni in Messico. Ha comprato per 1,7 miliardi di dollari dall'amico Carlos Salinas (all'epoca presidente del Messico) la Telefonos de Mexico (che era stimata valere intorno ai 12 miliardi di dollari). Attualmente gestisce il 90% delle linee di telefonia fissa messicane con la TelMex e l'80% di quelle mobili con la TelCel. Oltre ad essere un quasi monopolista dei telefoni messicani, la sua compagnia è presente massicciamente in quasi tutti i paesi dell'America Latina. In questa veste conobbe Tronchetti.
Era interessato all'acquisto di TIM Brasil, controllata da Telecom in Brasile. Per comprarla avrebbe sborsato 8 miliardi di Euro. È chiaro il suo interesse nell'affare Telecom: tirando fuori solo 2,7 miliardi ne diventa lo stesso il padrone. 

Più complessa è la partita giocata da AT&T. Questa multinazionale non va confusa con la ITT, finanziatrice di Pinochet e proprietaria della rete telefonica cilena all'epoca del golpe.
La AT&T è una storica multinazionale USA. Anticamente si chiamava Bell Telephone Company e, di fatto, deteneva il monopolio del mercato telefonico statunitense. Nel 1984 fu smembrata in 7 società. Una di queste, quella che originariamente era la più piccola, la SBC, è riuscita a crescere al punto di ricomprare tutte le altre, divenendo il più grande operatore mondiale in telecomunicazioni. Ha deciso quindi di riprendere il vecchio nome di AT&T pur mantenendo la sede in Texas. Texano è infatti Edward Whitacre, padre padrone della nuova AT&T.
La strategia della AT&T è duplice. Da un lato vuole sbarcare in Europa, e questo allarma le altre compagnie telefoniche continentali (in prima fila Telefonica, France Telecom e Deutsche Telecom). Dall'altro lato Whitacre è uno che non fa sconti. Ritiene che chi utilizza la sua rete debba pagare in base ai profitti che ricava. Tanto per capirci se Google fa i soldi su Internet, ne dovrà versare una parte a lui, come gestore della rete. Questa prospettiva allarma moltissimo tutti quelli che immettono i contenuti nella rete, non ultime le società radiotelevisive. E, in Italia, quando si parla di televisioni si parla di Berlusconi, che ha immediatamente fatto intervenire il presidente dell'autorità garante delle telecomunicazioni (Agcom) Corrado Calabrò.
Calabrò infatti non è uno qualsiasi. È stato capo della segreteria tecnico giuridica di Aldo Moro. È stato presidente del TAR del Lazio. Era ancora presidente del TAR del Lazio la mattina che la lista della Mussolini venne esclusa dalle elezioni regionali per aver depositato firme false, su ricorso presentato da Storace (attualmente indagato proprio per questo). Il pomeriggio di quello stesso giorno, il governo Berlusconi lo scelse come garante delle Comunicazioni.
Fin dalla nomina di Rossi, Calabrò, che era stato prima fortemente osteggiato da Tronchetti, ha cercato di ritagliarsi un ruolo trattando con Telecom la possibilità di uno scorporo della rete dal resto delle attività del gruppo.
Con l'offerta di acquisto dell'AT&T questo processo è accelerato e si sono aggiunti alcuni elementi nuovi.
Il primo è stato l'intervento di Calabrò che ha fissato il termine per lo scorporo della rete al prossimo 31 dicembre. Il secondo è stato l'intervento della commissione europea (probabilmente su pressione delle altre compagnie telefoniche continentali) che ha suggerito di scorporare la rete, purché lo facesse l'autority e non il governo ed ha invitato il governo italiano a non emanare decreti legge su una materia in cui erano in corso trattative commerciali.
Il governo ha preso la palla al balzo ed ha annunciato che avrebbe inserito in un disegno di legge di sicura, prossima, approvazione un emendamento che conferiva all'autorità per le comunicazioni il potere di imporre la separazione della rete.
Quest'attenzione per la rete telefonica va spiegato meglio.

Fino a qualche anno fa si riteneva che la rete telefonica fissa fosse residuale, come quella telegrafica e le stazioni di posta per i cavalli. Si pensava che il futuro sarebbe stato nella telefonia mobile e nelle fibre ottiche.
La scoperta della tecnologia ADSL, che consente la trasmissione di grandi quantità di dati attraverso il doppino telefonico ha, di colpo, fatto riacquistare un'importanza strategica alla vecchia rete.
Senza fare grossi investimenti infrastrutturali ci si ritrovava con un supporto adeguato a gestire la "convergenza", quel processo che vede convergere nello stesso mezzo il computer, la televisione, il telefono, internet, dvd, satellite.
In questo contesto è nato l'ultimo progetto relativo al destino di Telecom: quello portato avanti dall'accoppiata Berlusconi Colaninno.
Colaninno è il primo imprenditore beneficiato dal costituendo Partito Democratico. È un amico di D'Alema, ma non avendo un soldo, è costretto a farsi prestare i soldi per l'eventuale acquisto di Telecom da Banca Intesa, controllata da Bazoli, amico di Prodi.
In questa partita stanno inciuciando per farci entrare anche Berlusconi. Berlusconi i soldi li ha, ha interesse alla rete e garantirebbe l'acquiescenza dell'opposizione sull'operazione. L'unico ostacolo è che, per la legge Gasparri, non potrebbe entrare nell'azionariato di controllo di Telecom. A parte che una legge si può sempre cambiare; il divieto sulle telecomunicazioni non è assoluto: senza fare modifiche legislative potrebbe comunque comprare TIM.
Una prospettiva verosimile potrebbe essere quella della divisione tra Telecom, TIM Italia e TIM Brasile gestite rispettivamente da Colaninno, Berlusconi e Slim.
Vedremo nei prossimi giorni come andrà questa partita. Intanto registriamo il consueto disinteresse, da parte di chiunque, verso il destino dei lavoratori Telecom.

Fricche

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