Umanità Nova, n.16 del 13 maggio 2007, anno 87

Afganistan. Crimini di guerra


La durata della guerra in Afganistan ormai ha superato quella del Secondo conflitto mondiale, durante il quale le popolazioni civili furono massacrate da bombardamenti indiscriminati come quelli di Dresda o Hiroshima, per i quali nessun generale fu mai sottoposto a giudizio.
I comandi statunitensi hanno, analogamente, dichiarato che non sarà aperta alcuna indagine formale sulle ultime stragi di civili in Afganistan nel corso dei raid aerei contro presunti guerriglieri filo-talebani: "I rapporti che giungono dai nostri canali operativi non indicano nessuna vittima civile. Noi continuiamo a lavorare solo attraverso i canali operativi e non siamo in grado di confermare la morte di alcun civile", ha ovviamente fatto presente un freddo portavoce del Pentagono.
L'elevatissimo numero di vittime civili risulta peraltro confermato sia dalle autorità governative afgane che da fonti delle Nazioni Unite, quale effetto primario dell'offensiva Usa scattata nel distretto di Shindand – che ha visto i bombardieri strategici B-1 sganciare decine di bombe Gbu-31 da una tonnellata.
Il crescente bilancio di morte tra la popolazione, in conseguenza delle operazioni Usa e Nato, oltre che provocare diffuse quanto rabbiose proteste di piazza contro le forze occupanti, ha ancora una volta suscitato le rimostranze dello stesso presidente Hamid Karzai, certo non sospettabile di essere un nemico degli Stati Uniti, che non si dimostra in grado neanche di garantire la sicurezza dei propri cittadini.
Dimostrazioni anti-Usa e contro Karzai si sono avute, in particolare, a Jalalabad nella provincia orientale di Nangahar e anche nella provincia di Herat, vicino al confine occidentale con l'Iran, dove il capo della polizia ha ammesso che almeno 30 civili sono stati uccisi negli ultimi giorni dalle forze a guida Usa.
Ovviamente, come al solito, i bollettini diramati quotidianamente dai comandi Usa riferiscono soltanto della liquidazione di centinaia di combattenti talebani nel corso di vittoriose operazioni di controguerriglia; appare persino ovvio che non si può immaginare un modo migliore per procurare ''arruolamenti'' non soltanto tra i morti ma anche fra i vivi per la guerra contro le truppe d'occupazione.
Nella provincia di Herat, dove è dislocato il contingente italiano collegato al Prt provinciale, le proteste sono scoppiate dopo che ufficiali Usa avevano affermato che 130 talebani erano stati uccisi durante un'offensiva di terra e aerea, circostanza questa smentita dalle autorità della provincia a partire dal capo della polizia.
Come volevasi dimostrare, in brevissimo tempo i militari italiani sono entrati a pieno titolo nel vortice della guerra, con conseguenze facilmente prevedibili, a seguito della violenta offensiva aerea e terrestre scatenata dalle forze Usa nel settore a comando italiano. Come è stato osservato e come da tempo viene confermato dai ricorrenti attentati, le truppe italiane sono ormai un bersaglio ideale per gli attacchi di ritorsione delle forze talebane, che - grazie alla politica terroristica Usa - possono ora contare anche a Herat su una simpatia popolare fino a poco tempo fa impensabile.
Epicentro dei combattimenti nell'area sotto controllo italiano risulta essere Shindand, a un centinaio di km a sud di Herat. Circa un mese fa vi erano stati feriti leggermente due soldati italiani in pattuglia. Ma soprattutto qui è situata una gigantesca base militare costruita dagli statunitensi negli anni '60, poi rafforzata dai militari sovietici negli anni '80: non è un segreto che in caso di aggressione Usa all'Iran, da questa base partirebbero gli attacchi da est.
Nonostante tale situazione ad altissimo rischio, i vari Prodi, D'Alema e Parisi continuano ad esprimersi in termini di ''preoccupazione''; mentre il governo italiano continua a sostenere la guerra della Nato con oltre 2 mila militari e a riconoscere come legittimo e democratico il regime Karzai, tanto da stanziare 50 milioni di dollari per ricostruirne il mirabile sistema giudiziario-detentivo.
Pochi mesi fa, in Italia la sinistra governativa continuava a parlare di ''discontinuità'' rispetto alla politica interventista del precedente governo; l'unica discontinuità che oggi si può riscontrare è quella della memoria.

U.F.

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