La durata della guerra in Afganistan ormai ha superato quella del
Secondo conflitto mondiale, durante il quale le popolazioni civili
furono massacrate da bombardamenti indiscriminati come quelli di Dresda
o Hiroshima, per i quali nessun generale fu mai sottoposto a giudizio.
I comandi statunitensi hanno, analogamente, dichiarato che non
sarà aperta alcuna indagine formale sulle ultime stragi di
civili in Afganistan nel corso dei raid aerei contro presunti
guerriglieri filo-talebani: "I rapporti che giungono dai nostri canali
operativi non indicano nessuna vittima civile. Noi continuiamo a
lavorare solo attraverso i canali operativi e non siamo in grado di
confermare la morte di alcun civile", ha ovviamente fatto presente un
freddo portavoce del Pentagono.
L'elevatissimo numero di vittime civili risulta peraltro confermato sia
dalle autorità governative afgane che da fonti delle Nazioni
Unite, quale effetto primario dell'offensiva Usa scattata nel distretto
di Shindand – che ha visto i bombardieri strategici B-1 sganciare
decine di bombe Gbu-31 da una tonnellata.
Il crescente bilancio di morte tra la popolazione, in conseguenza delle
operazioni Usa e Nato, oltre che provocare diffuse quanto rabbiose
proteste di piazza contro le forze occupanti, ha ancora una volta
suscitato le rimostranze dello stesso presidente Hamid Karzai, certo
non sospettabile di essere un nemico degli Stati Uniti, che non si
dimostra in grado neanche di garantire la sicurezza dei propri
cittadini.
Dimostrazioni anti-Usa e contro Karzai si sono avute, in particolare, a
Jalalabad nella provincia orientale di Nangahar e anche nella provincia
di Herat, vicino al confine occidentale con l'Iran, dove il capo della
polizia ha ammesso che almeno 30 civili sono stati uccisi negli ultimi
giorni dalle forze a guida Usa.
Ovviamente, come al solito, i bollettini diramati quotidianamente dai
comandi Usa riferiscono soltanto della liquidazione di centinaia di
combattenti talebani nel corso di vittoriose operazioni di
controguerriglia; appare persino ovvio che non si può immaginare
un modo migliore per procurare ''arruolamenti'' non soltanto tra i
morti ma anche fra i vivi per la guerra contro le truppe d'occupazione.
Nella provincia di Herat, dove è dislocato il contingente
italiano collegato al Prt provinciale, le proteste sono scoppiate dopo
che ufficiali Usa avevano affermato che 130 talebani erano stati uccisi
durante un'offensiva di terra e aerea, circostanza questa smentita
dalle autorità della provincia a partire dal capo della polizia.
Come volevasi dimostrare, in brevissimo tempo i militari italiani sono
entrati a pieno titolo nel vortice della guerra, con conseguenze
facilmente prevedibili, a seguito della violenta offensiva aerea e
terrestre scatenata dalle forze Usa nel settore a comando italiano.
Come è stato osservato e come da tempo viene confermato dai
ricorrenti attentati, le truppe italiane sono ormai un bersaglio ideale
per gli attacchi di ritorsione delle forze talebane, che - grazie alla
politica terroristica Usa - possono ora contare anche a Herat su una
simpatia popolare fino a poco tempo fa impensabile.
Epicentro dei combattimenti nell'area sotto controllo italiano risulta
essere Shindand, a un centinaio di km a sud di Herat. Circa un mese fa
vi erano stati feriti leggermente due soldati italiani in pattuglia. Ma
soprattutto qui è situata una gigantesca base militare costruita
dagli statunitensi negli anni '60, poi rafforzata dai militari
sovietici negli anni '80: non è un segreto che in caso di
aggressione Usa all'Iran, da questa base partirebbero gli attacchi da
est.
Nonostante tale situazione ad altissimo rischio, i vari Prodi, D'Alema
e Parisi continuano ad esprimersi in termini di ''preoccupazione'';
mentre il governo italiano continua a sostenere la guerra della Nato
con oltre 2 mila militari e a riconoscere come legittimo e democratico
il regime Karzai, tanto da stanziare 50 milioni di dollari per
ricostruirne il mirabile sistema giudiziario-detentivo.
Pochi mesi fa, in Italia la sinistra governativa continuava a parlare
di ''discontinuità'' rispetto alla politica interventista del
precedente governo; l'unica discontinuità che oggi si può
riscontrare è quella della memoria.
U.F.