Umanità Nova, n.16 del 13 maggio 2007, anno 87

Letture. Il naso rotto di Paolo Veronese
Anarchismo e conflittualità sociale a Verona (1867-1928)


Andrea Dilemmi, Il naso rotto di Paolo Veronese. Anarchismo e conflittualità sociale a Verona (1867-1928), Bfs edizioni, Pisa 2006, pagg. 290, con immagini e appendici documentarie, Euro 20,00.

Sono coloro che sanno ribellarsi al momento giusto contro la storia che ne favoriscono davvero gli interessi.
(A.Camus)

Anche negli ambienti militanti e tra gli stessi studiosi del movimento operaio, appare ormai consolidata l'idea che il Veneto sia sempre stata una regione in qualche modo "impermeabile" all'anarchismo, storicamente stretta tra radici cattoliche e consistenti adesioni al partito comunista. Eppure anche quella che fino a ieri appariva un'indiscutibile verità ormai prossima al luogo comune, comincia a presentare non poche crepe, almeno per quanto riguarda i conflitti sociali e politici che in passato hanno investito pure questi territori e queste comunità, vedendo una non trascurabile quanto attiva presenza anarchica, dagli albori del sindacalismo sino alla lotta partigiana.
Tale impressione trova ulteriore conferma nel bel saggio Il naso rotto di Paolo Veronese. Anarchismo e conflittualità sociale a Verona (1867-1928), frutto delle approfondite e ben documentate ricerche di Andrea Dilemmi, da poco pubblicato dalle Edizioni BFS.
Infatti, a partire dal curioso tumulto che mandò in frantumi il naso marmoreo citato nel titolo, Andrea ripercorre una storia che non riguarda soltanto la lotta anarchica a Verona e dintorni, ma dice molto anche del contesto storico veneto ed anche nazionale, tanto da farlo risultare tutto fuorché una ricerca di storia locale.
Nel veronese, il sorgere dell'anarchismo s'interseca con il fantasma dell'Internazionale, ritenuta e temuta causa di ogni sommovimento popolare e, in particolare, di ogni fermento sociale delle plebi urbane e della campagna. Fin dagli anni 1884-85, in Veneto, si registra infatti l'esistenza di gruppi anarchici o anarco-socialisti a Venezia, Padova, Treviso, Monselice, Badia Polesine e Legnago, mentre a Verona città il primo gruppo anarchico, col nome "I Figli dell'avvenire", sarebbe apparso solo pochi anni dopo. D'altra parte l'attenzione che gli anarchici del Veneto "rivolgono al potenziale rivoluzionario dei braccianti trae origine non solo dalla condivisione dei giudizi espressi a tale proposito dalla pubblicistica anarchica - da Bakunin a Malatesta -, ma anche dall'ambiente stesso in cui si trovano ad operare", fatto di secolari miserie, servitù intollerabili, grandi migrazioni verso l'estero e forme di rivolta spontanea quali il furto campestre o l'incendio delle proprietà dei padroni agrari, magari rivendicati da una fantomatica Mano Nera come avveniva nel Polesine, peraltro del tutto analogamente alle ribellioni contro i latifondisti in Spagna.
Tale attivismo, legato ad un costante impegno propagandistico, a Verona porterà nel 1919 all'affermazione sia politica che sindacale degli anarchici organizzati a scapito del socialismo riformista all'interno della locale Camera del Lavoro che, nello stesso anno, aderì all'Unione Sindacale Italiana.
"Quali ragioni - si chiede giustamente Andrea - portano gran parte dei lavoratori urbani, e una minoranza di quelli rurali, a dare la propria fiducia alla CdL aderente all'Usi anche quando sorge un organismo "concorrente" a direzione più moderata?".
Evidentemente, la pratica sindacalista rivoluzionaria continuò a mantenere maggiore credibilità e radicamento in un contesto economico e sociale in cui contava di più la diretta forza conflittuale dei lavoratori che le capacità di mediazione delle organizzazioni riformiste, tanto che nel maggio del 1919 la CdL sindacalista di Verona risultava la più consistente sezione dell'Usi in tutto il Veneto, con alcune decine di migliaia di iscritti.
Non fu quindi un caso che anche l'antifascismo militante che contrastò le squadracce veronesi ebbe la CdL sindacalista come punto di riferimento ed organizzazione, vedendo tra l'altro anche la partecipazione di un certo numero di ex-legionari fiumani a fianco di operai e disoccupati schierati contro i fascisti. Più volte, di conseguenza, la sede camerale dell'Usi fu l'obbiettivo di più spedizioni punitive delle camicie nere, finché il 5 agosto 1922 fu assaltata ed espugnata militarmente; dopo di che, nei mesi e negli anni successivi, la repressione fascista avrebbe duramente colpito i militanti libertari e i sindacalisti rivoluzionari costretti, dopo il 1925, all'azione clandestina per tentare di eludere la vigilanza degli organi polizieschi del regime.
Emblematiche del clima sotto il fascismo al potere, appaiono le vicende narrate connesse al processo Marinoni-Domaschi davanti al Tribunale speciale per la difesa allo Stato, costato un'ulteriore incriminazione all'anarchico veronese Giovanni Domaschi che pagherà con quasi vent'anni di galera e confino, ed infine con la vita terminata in un lager nazista, le sue scelte di libertà e antagonismo.
Ma questa, come conclude l'autore, è un'altra storia.
Che ovviamente aspettiamo di leggere, così come Andrea ci ha promesso.

Emmerre

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