Andrea Dilemmi, Il naso rotto di Paolo Veronese. Anarchismo e conflittualità sociale a Verona (1867-1928), Bfs edizioni, Pisa 2006, pagg. 290, con immagini e appendici documentarie, Euro 20,00.
Sono coloro che sanno ribellarsi al momento giusto contro la storia che ne favoriscono davvero gli interessi.
(A.Camus)
Anche negli ambienti militanti e tra gli stessi studiosi del
movimento operaio, appare ormai consolidata l'idea che il Veneto sia
sempre stata una regione in qualche modo "impermeabile" all'anarchismo,
storicamente stretta tra radici cattoliche e consistenti adesioni al
partito comunista. Eppure anche quella che fino a ieri appariva
un'indiscutibile verità ormai prossima al luogo comune, comincia
a presentare non poche crepe, almeno per quanto riguarda i conflitti
sociali e politici che in passato hanno investito pure questi territori
e queste comunità, vedendo una non trascurabile quanto attiva
presenza anarchica, dagli albori del sindacalismo sino alla lotta
partigiana.
Tale impressione trova ulteriore conferma nel bel saggio Il naso rotto
di Paolo Veronese. Anarchismo e conflittualità sociale a Verona
(1867-1928), frutto delle approfondite e ben documentate ricerche di
Andrea Dilemmi, da poco pubblicato dalle Edizioni BFS.
Infatti, a partire dal curioso tumulto che mandò in frantumi il
naso marmoreo citato nel titolo, Andrea ripercorre una storia che non
riguarda soltanto la lotta anarchica a Verona e dintorni, ma dice molto
anche del contesto storico veneto ed anche nazionale, tanto da farlo
risultare tutto fuorché una ricerca di storia locale.
Nel veronese, il sorgere dell'anarchismo s'interseca con il fantasma
dell'Internazionale, ritenuta e temuta causa di ogni sommovimento
popolare e, in particolare, di ogni fermento sociale delle plebi urbane
e della campagna. Fin dagli anni 1884-85, in Veneto, si registra
infatti l'esistenza di gruppi anarchici o anarco-socialisti a Venezia,
Padova, Treviso, Monselice, Badia Polesine e Legnago, mentre a Verona
città il primo gruppo anarchico, col nome "I Figli
dell'avvenire", sarebbe apparso solo pochi anni dopo. D'altra parte
l'attenzione che gli anarchici del Veneto "rivolgono al potenziale
rivoluzionario dei braccianti trae origine non solo dalla condivisione
dei giudizi espressi a tale proposito dalla pubblicistica anarchica -
da Bakunin a Malatesta -, ma anche dall'ambiente stesso in cui si
trovano ad operare", fatto di secolari miserie, servitù
intollerabili, grandi migrazioni verso l'estero e forme di rivolta
spontanea quali il furto campestre o l'incendio delle proprietà
dei padroni agrari, magari rivendicati da una fantomatica Mano Nera
come avveniva nel Polesine, peraltro del tutto analogamente alle
ribellioni contro i latifondisti in Spagna.
Tale attivismo, legato ad un costante impegno propagandistico, a Verona
porterà nel 1919 all'affermazione sia politica che sindacale
degli anarchici organizzati a scapito del socialismo riformista
all'interno della locale Camera del Lavoro che, nello stesso anno,
aderì all'Unione Sindacale Italiana.
"Quali ragioni - si chiede giustamente Andrea - portano gran parte dei
lavoratori urbani, e una minoranza di quelli rurali, a dare la propria
fiducia alla CdL aderente all'Usi anche quando sorge un organismo
"concorrente" a direzione più moderata?".
Evidentemente, la pratica sindacalista rivoluzionaria continuò a
mantenere maggiore credibilità e radicamento in un contesto
economico e sociale in cui contava di più la diretta forza
conflittuale dei lavoratori che le capacità di mediazione delle
organizzazioni riformiste, tanto che nel maggio del 1919 la CdL
sindacalista di Verona risultava la più consistente sezione
dell'Usi in tutto il Veneto, con alcune decine di migliaia di iscritti.
Non fu quindi un caso che anche l'antifascismo militante che
contrastò le squadracce veronesi ebbe la CdL sindacalista come
punto di riferimento ed organizzazione, vedendo tra l'altro anche la
partecipazione di un certo numero di ex-legionari fiumani a fianco di
operai e disoccupati schierati contro i fascisti. Più volte, di
conseguenza, la sede camerale dell'Usi fu l'obbiettivo di più
spedizioni punitive delle camicie nere, finché il 5 agosto 1922
fu assaltata ed espugnata militarmente; dopo di che, nei mesi e negli
anni successivi, la repressione fascista avrebbe duramente colpito i
militanti libertari e i sindacalisti rivoluzionari costretti, dopo il
1925, all'azione clandestina per tentare di eludere la vigilanza degli
organi polizieschi del regime.
Emblematiche del clima sotto il fascismo al potere, appaiono le vicende
narrate connesse al processo Marinoni-Domaschi davanti al Tribunale
speciale per la difesa allo Stato, costato un'ulteriore incriminazione
all'anarchico veronese Giovanni Domaschi che pagherà con quasi
vent'anni di galera e confino, ed infine con la vita terminata in un
lager nazista, le sue scelte di libertà e antagonismo.
Ma questa, come conclude l'autore, è un'altra storia.
Che ovviamente aspettiamo di leggere, così come Andrea ci ha promesso.
Emmerre