Credo che sia sbagliato dire che noi siamo in guerra.
(Massimo D'Alema)
L'8 maggio scorso, dalla denuncia di un governatore locale nella
provincia meridionale di Helmand, si è appreso di un'altra
strage di civili afgani, ventuno, tra cui donne e bambini, vittime di
uno dei 50 raid aerei quotidiani condotti dalle forze militari
d'occupazione.
L'incursione che ha colpito il villaggio di Sarwan Qala, con i consueti
risvolti terroristici, è avvenuta a poche ore di distanza da
un'azione della guerriglia che aveva portato alla distruzione di ben 9
autocisterne cariche di carburante per le truppe Isaf-Nato. Secondo un
esponente dell'amministrazione locale, l'agenzia per il Khiber, il
sabotaggio ha prodotto un vasto incendio che si è esteso a tutto
il convoglio, bruciando 44 mila litri di carburante pur senza causare
vittime.
Ormai, la campagna Usa e Nato contro la cosiddetta "insorgenza" vede il
ripetersi sempre uguale di tragedie che colpiscono le popolazioni
civili: lutti, centinaia di abitazioni distrutte, migliaia di profughi
e sfollati.
Raggelante sapere che, nei rari casi in cui i comandi Usa riconoscono i
loro "errori", vengono pagati 2 mila dollari a ciascuna delle famiglie
degli uccisi: questo il costo di una vita umana in Afganistan, persino
inferiore di 500 dollari all'analogo indennizzo previsto in Iraq.
Anche a Parmakan, uno dei poveri villaggi della Valle di Zerkoh, nella
provincia occidentale di Herat (zona sotto comando militare italiano),
è stato bombardato durante l'offensiva Usa, con una cinquantina
di morti accertate.
Il governo italiano aveva subito condannato questa operazione decisa
dal comando di Endurig Freedom, chiarendo che i "nostri ragazzi" vi
erano estranei e sostenendo di non essere stati preventivamente
informati dai comandi Usa.
Tale presa di distanza appare, a tutti gli effetti, ad uso e consumo
del "fronte interno", dato che da quasi un anno reparti delle forze
italiane per operazioni speciali (Ranger del 4° Rg.to Alpini
paracadutisti Monte Cervino, 185° Rg.to Acquisizione Obiettivi,) e
delle forze speciali in senso proprio (Incursori di Marina Comsubin,
9° Rg.to Paracadutisti Col Moschin) operano a fianco delle special
forces Usa nell'ambito di Enduring Freedom, rispondendo agli ordini del
comando Usa.
L'invio e la partecipazione, in modalità combat, delle forze
speciali italiane sono stati fin dall'inizio sottaciuti e persino
negati dal governo, ma è altrettanto innegabile il fatto che
almeno un centinaio di "rambo" italiani stanno sostenendo combattimenti
in Afganistan.
Peraltro è stato lo stesso maggiore statunitense Belcher,
portavoce della Combined Joint Task Force 82, a confermare che la
discussa offensiva è stata condotta assieme a forze Isaf-Nato;
cosa questa che non può destare meraviglia visto e considerato
che, dallo scorso 4 febbraio, il generale Usa McNeill ha assunto il
comando sia delle forze Usa di Enduring Freedom che di quelle
Isaf-Nato, con regole d'ingaggio dichiaratamente offensive.
Ma se la situazione sul campo, dovrebbe suggerire al governo italiano
un prudenziale sganciamento delle proprie truppe dall'Afganistan,
così come stanno decidendo altri governi (anche appartenenti
alla Nato), si conferma invece la medesima politica interventista,
senza date di scadenza e senza ridimensionamenti. In tempi brevi, anzi,
è previsto l'invio di rinforzi "per aumentare la capacità
di sorveglianza e controllo del territorio, e la protezione del
personale", così come anticipato dal ministro Parisi in visita
ad Herat.
L'importante, ancora una volta, è non lasciare intravedere altre verità.
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