Umanità Nova, n.17 del 20 maggio 2007, anno 87

Afganistan. I guerrieri inesistenti


Credo che sia sbagliato dire che noi siamo in guerra.
(Massimo D'Alema)

L'8 maggio scorso, dalla denuncia di un governatore locale nella provincia meridionale di Helmand, si è appreso di un'altra strage di civili afgani, ventuno, tra cui donne e bambini, vittime di uno dei 50 raid aerei quotidiani condotti dalle forze militari d'occupazione.
L'incursione che ha colpito il villaggio di Sarwan Qala, con i consueti risvolti terroristici, è avvenuta a poche ore di distanza da un'azione della guerriglia che aveva portato alla distruzione di ben 9 autocisterne cariche di carburante per le truppe Isaf-Nato. Secondo un esponente dell'amministrazione locale, l'agenzia per il Khiber, il sabotaggio ha prodotto un vasto incendio che si è esteso a tutto il convoglio, bruciando 44 mila litri di carburante pur senza causare vittime.
Ormai, la campagna Usa e Nato contro la cosiddetta "insorgenza" vede il ripetersi sempre uguale di tragedie che colpiscono le popolazioni civili: lutti, centinaia di abitazioni distrutte, migliaia di profughi e sfollati.
Raggelante sapere che, nei rari casi in cui i comandi Usa riconoscono i loro "errori", vengono pagati 2 mila dollari a ciascuna delle famiglie degli uccisi: questo il costo di una vita umana in Afganistan, persino inferiore di 500 dollari all'analogo indennizzo previsto in Iraq.
Anche a Parmakan, uno dei poveri villaggi della Valle di Zerkoh, nella provincia occidentale di Herat (zona sotto comando militare italiano), è stato bombardato durante l'offensiva Usa, con una cinquantina di morti accertate.
Il governo italiano aveva subito condannato questa operazione decisa dal comando di Endurig Freedom, chiarendo che i "nostri ragazzi" vi erano estranei e sostenendo di non essere stati preventivamente informati dai comandi Usa.
Tale presa di distanza appare, a tutti gli effetti, ad uso e consumo del "fronte interno", dato che da quasi un anno reparti delle forze italiane per operazioni speciali (Ranger del 4° Rg.to Alpini paracadutisti Monte Cervino, 185° Rg.to Acquisizione Obiettivi,) e delle forze speciali in senso proprio (Incursori di Marina Comsubin, 9° Rg.to Paracadutisti Col Moschin) operano a fianco delle special forces Usa nell'ambito di Enduring Freedom, rispondendo agli ordini del comando Usa.
L'invio e la partecipazione, in modalità combat, delle forze speciali italiane sono stati fin dall'inizio sottaciuti e persino negati dal governo, ma è altrettanto innegabile il fatto che almeno un centinaio di "rambo" italiani stanno sostenendo combattimenti in Afganistan.
Peraltro è stato lo stesso maggiore statunitense Belcher, portavoce della Combined Joint Task Force 82, a confermare che la discussa offensiva è stata condotta assieme a forze Isaf-Nato; cosa questa che non può destare meraviglia visto e considerato che, dallo scorso 4 febbraio, il generale Usa McNeill ha assunto il comando sia delle forze Usa di Enduring Freedom che di quelle Isaf-Nato, con regole d'ingaggio dichiaratamente offensive.
Ma se la situazione sul campo, dovrebbe suggerire al governo italiano un prudenziale sganciamento delle proprie truppe dall'Afganistan, così come stanno decidendo altri governi (anche appartenenti alla Nato), si conferma invece la medesima politica interventista, senza date di scadenza e senza ridimensionamenti. In tempi brevi, anzi, è previsto l'invio di rinforzi "per aumentare la capacità di sorveglianza e controllo del territorio, e la protezione del personale", così come anticipato dal ministro Parisi in visita ad Herat.
L'importante, ancora una volta, è non lasciare intravedere altre verità.

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