"Durante l'incontro il ministro
dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa ha paragonato la trattativa sul
welfare a un pranzo al ristorante il cui conto non può superare
i 2,5 miliardi di euro. Come ad un ristorante, ha detto proseguendo
nella metafora, accanto ad ogni piatto viene indicato il prezzo da
pagare. Per i sindacati però, per pensioni basse e
ammortizzatori sociali, i 2,5 miliardi non bastano."
La Repubblica 9 maggio
Chi scrive ha avuto modo, immediatamente dopo l'incontro del 9 maggio
sul welfare di parlare con uno dei partecipanti della parte sindacale
che, al di là delle considerazioni di merito, rilevava come era
impressionante la serenità di Tommaso Padoa Schioppa (d'ora in
poi TPS) nel proporre l'immagine del pranzo al ristorante e i vincoli
che deriverebbero dalla necessità di risanare l'economia
nazionale.
Vale, in questo caso, la tradizionale considerazione sul fatto che chi
impone il terreno di confronto ha già, di norma, vinto il
confronto stesso.
È chiaro, infatti, che se un'eventuale attenuazione dei termini
per andare in pensione, gli "scalini" verrà pagata con una
riforma in peggio del trattamento pensionistico mediante la
rideterminazione in peggio dei coefficienti, alcuni lavoratori ne
avranno un, limitato, vantaggio, e l'assieme dei lavoratori stessi ci
perderà.
Si tratterebbe, insomma, del classico caso di rinvio di una contraddizione che resterebbe, però, pienamente operante.
È, d'altro canto, evidente che su di una materia di questa
delicatezza, la stessa burocrazia sindacale non è affatto in una
situazione semplice e non le basta un'affermazione, come quella che
riportiamo, dello stesso TPS su "La Repubblica" del 9 maggio:
"Cosa si sente di dire a Epifani, Bonanni e Angeletti?
Li incoraggio ad essere, a loro volta, ambiziosi. Anche loro devono
vincere sfide, al loro interno, esattamente come stiamo facendo noi.
Capisco le tensioni tra le confederazioni, vedo il travaglio che
attraversa la Cgil. Ma ognuno di noi deve fare in casa sua un pezzo
della battaglia. Non può limitarsi a trasferirla nella casa
degli altri"
è interessante, infatti, notare come, dal punto di vista di TPS,
le tensioni da risolvere sono quelle fra i diversi segmenti della
burocrazia sindacale mentre non sembra sfiorato dal dubbio che questa
stessa burocrazia deve fare i conti con un corpo di classe che
già vive da molti, troppi, anni una riduzione del reddito e che
ha subito recentemente, ad opera del governo di sinistra, una
finanziaria decisamente pesante.
Che gli stessi sindacati concertativi siano in una situazione
complicata lo provano le immediate dichiarazioni di dirigenti sindacali
certo non sospetti di posizioni massimaliste:
"Il coraggio dovrebbe averlo il governo a presentarsi con una proposta
unitaria: quando lo farà potrà partire la fase finale del
confronto." Sono queste le parole con cui ha risposto il segretario
generale della Cgil Guglielmo Epifani parlando a una manifestazione dei
giovani quadri della Cgil. "Voglio dire a Padoa-Schioppa - ha
dichiarato il segretario Cgil - che il coraggio noi ce l'abbiamo e che
prima di dire al sindacato quello che deve fare chieda al governo se
è in condizione di presentarsi con una sola posizione. Noi
sì, lo faccia anche il governo e il giorno dopo siamo in grado
di fare l'accordo."
Sulla stessa linea della Ggil, Luigi Angeletti. "Non ci siamo mai
sottratti al confronto, ma dal governo non è arrivata nessuna
proposta su cui discutere. Noi non perdiamo tempo, premesso che il
sistema ha bisogno solo di aggiustamenti e non di riforme epocali."
è interessante notare come sia Epifani che Angeletti si affidino
non alla mobilitazione dei lavoratori per ottenere pensioni dignitose
ma alle contraddizioni interne all'Unione fra ala liberale e
tecnocratica e "sinistra radicale" .
È, infatti, evidente che il governo si troverebbe in serio
imbarazzo - a breve ci saranno le elezioni amministrative - se si
determinasse uno scontro secco con CGIL-CISL-UIL; le stesse
CGIL-CISL-UIL si troverebbero in seria difficoltà se dovessero
gestire una situazione di rottura frontale con il governo.
Se, poi, incrociamo la questione delle pensioni con i contratti del
pubblico impiego che sembravano sostanzialmente chiusi con la forma dei
protocolli del 6 aprile e che, al contrario, sono ancora oggetto di
contenzioso proprio perché i settori tecnocratici del governo
hanno rimesso a centro della contrattazione la questione del
riconoscimento del merito per l'assegnazione dei, mediocrissimi,
aumenti previsti, ci rendiamo conto della natura stessa dello scontro
in corso fra i fautori di un modello concertativo classico ed i
"riformisti".
Entrambi i soggetti interni all'Unione, infatti, sono portatori del
convincimento che non può esservi alcun reale spostamento di
risorse dai profitti e dalla rendita verso i salari ma la componente
"sociale" tende ad evitare tensioni e ad accettare solo "aggiustamenti"
mentre i tecnocrati puntano, appunto, a "riforme epocali" e,
cioè, ad un'ulteriore colpo al compromesso sociale che i
concertativi ritengono necessario.
Quando il nostro TFS afferma:
"Cosa le fa pensare che il sindacato accetterà l'aumento dell'età pensionabile e la revisione dei coefficienti?
Non entro nel dettaglio di una trattativa che dobbiamo ancora
concludere. Ma ci sono due principi, ai quali non possiamo derogare. Il
primo è che vi sono ancora oggi, per molte persone, trattamenti
pensionistici insufficienti. Il secondo è che ogni ipotesi di
riforma previdenziale deve avvenire nel rigoroso rispetto degli
equilibri finanziari del sistema vigente che, piaccia o no, contempla
tanto la legge Dini del '95, tanto la legge Maroni del 2005."
Offre una qualche, limitata, concessione "sociale" rispetto alle
pensioni più modeste ma nei limiti degli equilibri finanziari
impostici dai governi sia di sinistra che di destra.
È evidente, in sintesi, che il problema non è il ritorno
agli "scalini" rispetto allo "scalone" ma la massa di risorse previste
per le pensioni e, in altri termini, per il salario visto che la
pensione non è altro che salario differito.
È altrettanto evidente che questo irrigidimento del governo
mette in contraddizione la burocrazia sindacale e la costringe a
mostrare i muscoli.
Verificheremo nelle prossime settimane se le parti formali in causa
troveranno un qualche accordo e, soprattutto, se scenderà in
campo l'interlocutore oggi silenzioso, quella massa di salariati che
assiste, passiva, allo scontro mediatico in atto.
Cosimo Scarinzi