Umanità Nova, n.17 del 20 maggio 2007, anno 87

Riforma delle pensioni. Schermaglie medianiche


"Durante l'incontro il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa ha paragonato la trattativa sul welfare a un pranzo al ristorante il cui conto non può superare i 2,5 miliardi di euro. Come ad un ristorante, ha detto proseguendo nella metafora, accanto ad ogni piatto viene indicato il prezzo da pagare. Per i sindacati però, per pensioni basse e ammortizzatori sociali, i 2,5 miliardi non bastano."
La Repubblica 9 maggio

Chi scrive ha avuto modo, immediatamente dopo l'incontro del 9 maggio sul welfare di parlare con uno dei partecipanti della parte sindacale che, al di là delle considerazioni di merito, rilevava come era impressionante la serenità di Tommaso Padoa Schioppa (d'ora in poi TPS) nel proporre l'immagine del pranzo al ristorante e i vincoli che deriverebbero dalla necessità di risanare l'economia nazionale.
Vale, in questo caso, la tradizionale considerazione sul fatto che chi impone il terreno di confronto ha già, di norma, vinto il confronto stesso.
È chiaro, infatti, che se un'eventuale attenuazione dei termini per andare in pensione, gli "scalini" verrà pagata con una riforma in peggio del trattamento pensionistico mediante la rideterminazione in peggio dei coefficienti, alcuni lavoratori ne avranno un, limitato, vantaggio, e l'assieme dei lavoratori stessi ci perderà.
Si tratterebbe, insomma, del classico caso di rinvio di una contraddizione che resterebbe, però, pienamente operante.
È, d'altro canto, evidente che su di una materia di questa delicatezza, la stessa burocrazia sindacale non è affatto in una situazione semplice e non le basta un'affermazione, come quella che riportiamo, dello stesso TPS su "La Repubblica" del 9 maggio:
"Cosa si sente di dire a Epifani, Bonanni e Angeletti?
Li incoraggio ad essere, a loro volta, ambiziosi. Anche loro devono vincere sfide, al loro interno, esattamente come stiamo facendo noi. Capisco le tensioni tra le confederazioni, vedo il travaglio che attraversa la Cgil. Ma ognuno di noi deve fare in casa sua un pezzo della battaglia. Non può limitarsi a trasferirla nella casa degli altri"
è interessante, infatti, notare come, dal punto di vista di TPS, le tensioni da risolvere sono quelle fra i diversi segmenti della burocrazia sindacale mentre non sembra sfiorato dal dubbio che questa stessa burocrazia deve fare i conti con un corpo di classe che già vive da molti, troppi, anni una riduzione del reddito e che ha subito recentemente, ad opera del governo di sinistra, una finanziaria decisamente pesante.
Che gli stessi sindacati concertativi siano in una situazione complicata lo provano le immediate dichiarazioni di dirigenti sindacali certo non sospetti di posizioni massimaliste:
"Il coraggio dovrebbe averlo il governo a presentarsi con una proposta unitaria: quando lo farà potrà partire la fase finale del confronto." Sono queste le parole con cui ha risposto il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani parlando a una manifestazione dei giovani quadri della Cgil. "Voglio dire a Padoa-Schioppa - ha dichiarato il segretario Cgil - che il coraggio noi ce l'abbiamo e che prima di dire al sindacato quello che deve fare chieda al governo se è in condizione di presentarsi con una sola posizione. Noi sì, lo faccia anche il governo e il giorno dopo siamo in grado di fare l'accordo."
Sulla stessa linea della Ggil, Luigi Angeletti. "Non ci siamo mai sottratti al confronto, ma dal governo non è arrivata nessuna proposta su cui discutere. Noi non perdiamo tempo, premesso che il sistema ha bisogno solo di aggiustamenti e non di riforme epocali."
è interessante notare come sia Epifani che Angeletti si affidino non alla mobilitazione dei lavoratori per ottenere pensioni dignitose ma alle contraddizioni interne all'Unione fra ala liberale e tecnocratica e "sinistra radicale" .
È, infatti, evidente che il governo si troverebbe in serio imbarazzo - a breve ci saranno le elezioni amministrative - se si determinasse uno scontro secco con CGIL-CISL-UIL; le stesse CGIL-CISL-UIL si troverebbero in seria difficoltà se dovessero gestire una situazione di rottura frontale con il governo.
Se, poi, incrociamo la questione delle pensioni con i contratti del pubblico impiego che sembravano sostanzialmente chiusi con la forma dei protocolli del 6 aprile e che, al contrario, sono ancora oggetto di contenzioso proprio perché i settori tecnocratici del governo hanno rimesso a centro della contrattazione la questione del riconoscimento del merito per l'assegnazione dei, mediocrissimi, aumenti previsti, ci rendiamo conto della natura stessa dello scontro in corso fra i fautori di un modello concertativo classico ed i "riformisti".
Entrambi i soggetti interni all'Unione, infatti, sono portatori del convincimento che non può esservi alcun reale spostamento di risorse dai profitti e dalla rendita verso i salari ma la componente "sociale" tende ad evitare tensioni e ad accettare solo "aggiustamenti" mentre i tecnocrati puntano, appunto, a "riforme epocali" e, cioè, ad un'ulteriore colpo al compromesso sociale che i concertativi ritengono necessario.
Quando il nostro TFS afferma:
"Cosa le fa pensare che il sindacato accetterà l'aumento dell'età pensionabile e la revisione dei coefficienti?
Non entro nel dettaglio di una trattativa che dobbiamo ancora concludere. Ma ci sono due principi, ai quali non possiamo derogare. Il primo è che vi sono ancora oggi, per molte persone, trattamenti pensionistici insufficienti. Il secondo è che ogni ipotesi di riforma previdenziale deve avvenire nel rigoroso rispetto degli equilibri finanziari del sistema vigente che, piaccia o no, contempla tanto la legge Dini del '95, tanto la legge Maroni del 2005."
Offre una qualche, limitata, concessione "sociale" rispetto alle pensioni più modeste ma nei limiti degli equilibri finanziari impostici dai governi sia di sinistra che di destra.
È evidente, in sintesi, che il problema non è il ritorno agli "scalini" rispetto allo "scalone" ma la massa di risorse previste per le pensioni e, in altri termini, per il salario visto che la pensione non è altro che salario differito.
È altrettanto evidente che questo irrigidimento del governo mette in contraddizione la burocrazia sindacale e la costringe a mostrare i muscoli.
Verificheremo nelle prossime settimane se le parti formali in causa troveranno un qualche accordo e, soprattutto, se scenderà in campo l'interlocutore oggi silenzioso, quella massa di salariati che assiste, passiva, allo scontro mediatico in atto.

Cosimo Scarinzi

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