Umanità Nova, n.18 del 27 maggio 2007, anno 87

L'ombra di Pinelli. Calabresi? Fatelo santo


Milano, 17 maggio 1972. In via Cherubini risuonano colpi di rivoltella. Fra due macchine si accascia e muore Luigi Calabresi, commissario della squadra politica della questura del capoluogo lombardo.
Milano, 17 maggio 2007. Dopo 35 anni Milano e Roma commemorano «questo servitore dello stato» ucciso, secondo una sentenza della Cassazione del 22 gennaio 1997, da Ovidio Bompressi su mandato di Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, mentre per il complice di Bompressi, Leonardo Marino, il reato è prescritto perché «collaboratore di giustizia».
Commemorazioni come sono dovute a un poliziotto morto nell'adempimento del suo dovere. E così a Milano vengono scoperte due targhe: una del centrodestra che guida il comune di Milano e una del centrosinistra a capo della provincia. Mentre il sindaco di centrosinistra di Roma intitola a Calabresi un viale.
Tutti i commentatori ufficiali parlano di riconoscimenti tardivi. Anche se va ricordato che dal 1973 a oggi i riconoscimenti a Calabresi non sono stati fatti con avarizia: un monumento nel cortile della questura di Milano, una medaglia, un francobollo. E poi una fiction in Tv bloccata però dalla vedova e perfino l'ipotesi di una beatificazione...
E questo mentre il figlio di Calabresi, Mario giornalista del quotidiano la Repubblica veniva invitato, per la ricorrenza dei 35 anni, a diverse televisioni per parlare del suo libro Spingendo la notte più in là.

Il tempo e la memoria
Tutti sanno che il passare degli anni rende nebulosi i ricordi e permette riscritture degli avvenimenti. E poi la storia viene sempre riscritta. Non è una novità. Però il «distratto silenzio» sulla morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli illustra molto bene le dinamiche dello stato, sia se governato dalle destre, sia se governato dalle sinistre. I morti dello stato pesano e debbono pesare anche sulla scritture della storia, gli altri morti, quando non calunniati, sono leggeri e non debbono spostare nemmeno una virgola nel testo storiografico.
Purtroppo, per chi detiene il potere, non è sempre così. Ed è proprio l'affanno, la corsa da destra e da sinistra a commemorare questo «servitore dello stato ucciso mentre compiva il suo dovere» a illuminare le zone nascoste (René Girard direbbe «Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo») della criminalità del potere. Quella criminalità che in nome della ragion di stato è disposta a lasciare una sequenza di morti.
E così a quasi quarant'anni da quella che, giustamente, venne definita strage di stato e i successivi vent'anni di una sorta di guerra civile (in fa minore, beninteso) oggi i rappresentanti del potere centrale e locale parlano di «pacificazione», di «memoria condivisa»...
Ma quale memoria può essere condivisa se nelle aule dei tribunali di questo stato ci sono soltanto assoluzioni e sentenze fatte più per occultare che per rendere manifesti delitti e colpe?
E poi siamo proprio sicuri che tutte queste manifestazioni in onore di Calabresi facciano completamente dimenticare le sue responsabilità nella persecuzione contro gli anarchici accusati per le bombe a Milano del 25 aprile 1969 e assolti nonostante la montatura preparata dal commissario Calabresi? Siamo proprio sicuri che il maldestro tentativo di incastrare Pinelli per gli attentati ai treni della notte dell'8 agosto 1969 non verrà mai ricordato in qualche onesto libro di storia? E, infine, siamo proprio sicuri che tutti dimenticheranno le «oggettive responsabilità» di Calabresi per la morte di Pinelli? E se, dunque, c'è sempre qualche riottoso ad accettare le «verità di stato», la soluzione finale è una sola... la beatificazione di Calabresi.

Luciano Lanza

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