La settimana che ha preceduto le elezioni amministrative del 27-28
maggio è stata densa di dichiarazioni e fatti politici pesanti,
che portano allo scoperto alcuni nervi dell'attuale congiuntura.
Domenica 20 maggio è comparsa sul Corriere della sera
un'intervista a Massimo D'Alema nella quale si lanciava il grido di
dolore per l'allontanamento della gente dalla politica, giacché
la politica è lontana dalla gente, dai suoi problemi, è
ripiegata su se stessa e sul giro di danaro imponente e vorticoso che
crea (v. il libro del giornalista del Corriere Stella, La Casta);
D'Alema paventava un "nuovo '92", l'anno di tangentopoli in cui Craxi
fu travolto e con lui la prima repubblica: a seguire, nel '94,
Berlusconi. Le ricette: il Partito Democratico e una riforma
costituzionale che dia più potere al primo ministro e riduca il
numero dei parlamentari, dando al senato il potere legislativo in
materie di interesse regionale (mai sentito queste cose?...).
Nei giorni successivi, Luca Cordero di Montezemolo metteva i piedi nel
piatto della "crisi della politica" chiedendo le solite cose: meno
costo del lavoro, più meritocrazia, ecc. e facendo proprio lo
slogan berlusconiano sull'identità di governo di un'impresa e di
una paese, nella specie, l'Italia. Il discorso del capo della
Confindustria in scadenza era totalmente sbilanciato dal lato della
politica, piuttosto che da quello dell'economia e si risolveva nel
favore per un sistema politico in cui il processo decisionale era
semplificato.
Interessante che solo una settimana prima c'era stato lo scambio di
battute tra Prodi e Bertinotti sul Parlamento inefficiente, tanto che
era intervenuto Napolitano. Il quale Bertinotti si prepara a
raccogliere nella sua Cosa Rossa le sparse membra della sinistra non
desiderosa di finire nel PD. Le idee guida: garantire universalmente in
forma demercificata i diritti e il soddisfacimento dei bisogni; con
spruzzate di pacifismo "forza ONU" ed ecologismo "compatibile".
Nel bel mezzo delle grandi manovre (si fa per dire...) della politica
istituzionale e partitica, è piombata l'indagine ISTAT 2006
(dati 2004-2005) da cui risulta un paese con una forte polarizzazione
sociale, cioè con sempre più poveri e sempre più
ricchi. Intanto l'inquietudine serpeggia nel ceto politico-sindacale
che è al governo e che dirige al contempo CGIL-CISL-UIL:
l'incessante scambio tra sindacato partiti e istituzioni si trova di
fronte lo scoglio delle pensioni e del contratto degli statali,
cioè davanti alla scelta di fondo di premiare solo profitto e
rendita a scapito del salario, presente e differito.
Una società più povera e più precaria è una
società più insicura, più sensibile al richiamo
delle sirene che invocano "legge&ordine", perché più
portata ad attribuire la responsabilità di ciò che di
negativo accade allo straniero, al diverso, a
"quello-che-non-è-come-noi". È sempre successo e sta
succedendo: quando viene meno ogni critica e progetto di superamento
delle differenze e delle gerarchie di classe all'interno della
società, chi ha poco se la prende con quello che ha più
vicino, di solito un poveraccio come lui. Ma non solo. Una legislazione
depressiva come la nostra in tema di immigrazione e di stupefacenti ha
una evidente capacità criminogena. I profitti altissimi che il
proibizionismo consente di trarre dal commercio di droga attrae
immigrati, alla bisogna da stigmatizzare non solo per il loro "sporco
lavoro", ma pure perché guadagnano "un sacco di soldi" ("pusher
paperoni" li descrive La Stampa del 27 maggio). Mentre la ministra
Turco vorrebbe i carabinieri nelle scuole perché troppi ragazzi
si fanno le canne.
La risposta dei "pacchetti sicurezza" che il ministro Amato sta
firmando con le amministrazioni locali in giro per l'Italia è
più poliziotti, più telecamere, fuori gli zingari dalle
periferie. Insomma, "più controlli per tutti", una sorta di
dichiarazione di guerra interna. Mentre quella esterna è
già bella e dichiarata ed in corso, prima in Iraq e ora in
Afganistan. Giacché lo stato di guerra è il nocciolo
della questione, cioè l'emergenza permanente, l'ossimoro che ci
è dato di vivere, come ormai troppo spesso ci tocca ripetere. Si
crea insicurezza disordine e caos per invocare legge&ordine, il cui
prezzo è un restringimento della libertà.
Significativamente, la ricetta di Prodi e D'Alema e la stessa... di
Berlusconi, cioè quel rafforzamento dell'esecutivo in un sistema
costituzionale completamente sbilanciato a suo favore che fu bocciato
dal referendum l'anno scorso proprio a giugno. Una società
impoverita, spaurita, che si sente minacciata al proprio interno e
all'esterno, non può che chiedere un governo "forte ed
efficiente". I cuochi del regime sono ai fornelli.
W.B.