Umanità Nova, n.19 del 3 giugno 2007, anno 87

La guerra in casa
Legge&ordine, telecamere, sbirri, deportazioni, un governo "forte"


La settimana che ha preceduto le elezioni amministrative del 27-28 maggio è stata densa di dichiarazioni e fatti politici pesanti, che portano allo scoperto alcuni nervi dell'attuale congiuntura. Domenica 20 maggio è comparsa sul Corriere della sera un'intervista a Massimo D'Alema nella quale si lanciava il grido di dolore per l'allontanamento della gente dalla politica, giacché la politica è lontana dalla gente, dai suoi problemi, è ripiegata su se stessa e sul giro di danaro imponente e vorticoso che crea (v. il libro del giornalista del Corriere Stella, La Casta); D'Alema paventava un "nuovo '92", l'anno di tangentopoli in cui Craxi fu travolto e con lui la prima repubblica: a seguire, nel '94, Berlusconi. Le ricette: il Partito Democratico e una riforma costituzionale che dia più potere al primo ministro e riduca il numero dei parlamentari, dando al senato il potere legislativo in materie di interesse regionale (mai sentito queste cose?...).
Nei giorni successivi, Luca Cordero di Montezemolo metteva i piedi nel piatto della "crisi della politica" chiedendo le solite cose: meno costo del lavoro, più meritocrazia, ecc. e facendo proprio lo slogan berlusconiano sull'identità di governo di un'impresa e di una paese, nella specie, l'Italia. Il discorso del capo della Confindustria in scadenza era totalmente sbilanciato dal lato della politica, piuttosto che da quello dell'economia e si risolveva nel favore per un sistema politico in cui il processo decisionale era semplificato.
Interessante che solo una settimana prima c'era stato lo scambio di battute tra Prodi e Bertinotti sul Parlamento inefficiente, tanto che era intervenuto Napolitano. Il quale Bertinotti si prepara a raccogliere nella sua Cosa Rossa le sparse membra della sinistra non desiderosa di finire nel PD. Le idee guida: garantire universalmente in forma demercificata i diritti e il soddisfacimento dei bisogni; con spruzzate di pacifismo "forza ONU" ed ecologismo "compatibile".
Nel bel mezzo delle grandi manovre (si fa per dire...) della politica istituzionale e partitica, è piombata l'indagine ISTAT 2006 (dati 2004-2005) da cui risulta un paese con una forte polarizzazione sociale, cioè con sempre più poveri e sempre più ricchi. Intanto l'inquietudine serpeggia nel ceto politico-sindacale che è al governo e che dirige al contempo CGIL-CISL-UIL: l'incessante scambio tra sindacato partiti e istituzioni si trova di fronte lo scoglio delle pensioni e del contratto degli statali, cioè davanti alla scelta di fondo di premiare solo profitto e rendita a scapito del salario, presente e differito.
Una società più povera e più precaria è una società più insicura, più sensibile al richiamo delle sirene che invocano "legge&ordine", perché più portata ad attribuire la responsabilità di ciò che di negativo accade allo straniero, al diverso, a "quello-che-non-è-come-noi". È sempre successo e sta succedendo: quando viene meno ogni critica e progetto di superamento delle differenze e delle gerarchie di classe all'interno della società, chi ha poco se la prende con quello che ha più vicino, di solito un poveraccio come lui. Ma non solo. Una legislazione depressiva come la nostra in tema di immigrazione e di stupefacenti ha una evidente capacità criminogena. I profitti altissimi che il proibizionismo consente di trarre dal commercio di droga attrae immigrati, alla bisogna da stigmatizzare non solo per il loro "sporco lavoro", ma pure perché guadagnano "un sacco di soldi" ("pusher paperoni" li descrive La Stampa del 27 maggio). Mentre la ministra Turco vorrebbe i carabinieri nelle scuole perché troppi ragazzi si fanno le canne.
La risposta dei "pacchetti sicurezza" che il ministro Amato sta firmando con le amministrazioni locali in giro per l'Italia è più poliziotti, più telecamere, fuori gli zingari dalle periferie. Insomma, "più controlli per tutti", una sorta di dichiarazione di guerra interna. Mentre quella esterna è già bella e dichiarata ed in corso, prima in Iraq e ora in Afganistan. Giacché lo stato di guerra è il nocciolo della questione, cioè l'emergenza permanente, l'ossimoro che ci è dato di vivere, come ormai troppo spesso ci tocca ripetere. Si crea insicurezza disordine e caos per invocare legge&ordine, il cui prezzo è un restringimento della libertà.
Significativamente, la ricetta di Prodi e D'Alema e la stessa... di Berlusconi, cioè quel rafforzamento dell'esecutivo in un sistema costituzionale completamente sbilanciato a suo favore che fu bocciato dal referendum l'anno scorso proprio a giugno. Una società impoverita, spaurita, che si sente minacciata al proprio interno e all'esterno, non può che chiedere un governo "forte ed efficiente". I cuochi del regime sono ai fornelli.

W.B.

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