"Riceveremo Bush tra pochi giorni - ha dichiarato il ministro degli
Esteri D'Alema da Islamabad durante il recente tour in Afganistan e
Pakistan- se vorrà chiederci qualcosa lo farà di persona,
non attraverso i giornalisti".
Questa la prima risposta del governo italiano al presidente degli Stati
Uniti che aveva richiesto un maggiore impegno in prima linea di tutti
gli alleati della Nato nella guerra in Afganistan.
D'altra parte, il governo Prodi è già coinvolto con circa
2.200 militari in Afganistan, compresi reparti speciali, armi pesanti,
elicotteri per l'attacco al suolo e mezzi corazzati; per non parlare
dell'impegno preso con l'amministrazione di Washington per la
costruzione della nuova mega-base militare Usa a Vicenza.
Inoltre, nello scorso aprile, il governo ha firmato clandestinamente
negli Usa - per mano del sottosegretario alla difesa Forcieri e senza
che il parlamento sapesse nulla - l'accordo sullo "scudo spaziale"
(analogo a quello di reaganiana memoria) che i comandi statunitensi
vogliono installare in Europa, contro eventuali minacce provenienti da
Russia, Cina, India e paesi arabi. Tale progetto di "difesa" spaziale,
ovviamente, aldilà della sua effettiva funzionalità
drogherebbe ulteriormente il processo di riarmo generale, specie di
tipo nucleare, acutizzando lo scontro tra le due aree del mondo e le
tensioni imperialiste, come peraltro confermato dalle dure e immediate
reazioni di Putin.
Ma questi aspetti sembrano del tutto marginali nella definizione della
politica internazionale italiana che, secondo le abituali affermazioni
di principio, opererebbe per la pace e la distensione, nonché
per il disarmo.
Di fatto, nonostante l'avvicendamento al governo tra centrodestra e
centrosinistra, la politica italiana resta fortemente legata e
dipendente da quella statunitense, nonostante che quest'ultima appaia
perdente e in crisi su tutti i versanti, interni ed esterni.
Il 7 ottobre 2001, iniziava con l'aggressione all'Afganistan, la guerra
permanente contro il terrorismo, da tempo pianificata dal Pentagono,
come risposta all'Undici settembre. Quindi il 20 marzo 2003 proseguiva
con l'avventura bellica in Iraq contro il regime di Saddam Hussein, ma
continuata anche dopo la sua caduta.
Sono seguiti 6 anni di massacri di cui è quasi impossibile
tenere i conti. La censura militare statunitense impedisce infatti, per
ovvi motivi di consenso interno, il conteggio esatto delle vittime
civili e militari: "We don't do body counts" (generale Tommy Franks, Us
Central command). Le cifre riguardanti le vittime del conflitto
ricavate dai resoconti pubblicati dai mezzi d'informazione indipendenti
sono dell'ordine di oltre 650.000 vittime in Iraq e di almeno 25.000 in
Afghanistan; dati neanche lontanamente paragonabili a quelli dei morti
delle Twin Towers.
Per quanto riguarda invece i caduti tra le forze armate statunitensi,
l'informazione ufficiale riferisce di circa 3.500 mila perdite nei due
teatri, anche se si tratta di un numero largamente sottostimato che non
comprende neppure i militari privi di effettiva cittadinanza
statunitense, né i mercenari appartenenti ai corpi privati che
forniscono altrettanti soldati che le truppe regolari.
La prossima venuta di Bush in Italia, sulla via di ritorno dal G8 in
Germania, cade quindi in un momento tutt'altro che trionfale per la
politica imperialista Usa, prossima anche all'appuntamento delle
elezioni presidenziali, ma non per questo meno aggressiva e pericolosa,
come confermano anche le grandi operazioni militari navali in atto a
ridosso dell'Iran.
Previste solenni accoglienze da parte del presidente del consiglio
Prodi che, da oltre un anno, attendeva questo riconoscimento,
così come appare quasi certa un'udienza di Bush in Vaticano.
Contro tale invadente visita, per il 9 giugno a Roma si prevedono due
distinte manifestazioni: una promossa dalla sinistra governativa (Cgil,
Arci, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, etc.) che non vuole
creare problemi all'esecutivo, e un'altra indetta da organizzazioni
politiche antagoniste, centri sociali, associazioni pacifiste,
sindacati di base, etc, rivendicando l'opposizione "senza se e senza
ma" che aveva animato il movimento No War e la continuità con la
grande manifestazione dello scorso 17 febbraio a Vicenza, anche contro
l'interventismo e la sudditanza del governo italiano. L'area pacifista
nonviolenta appare invece incerta, dato che se da un lato critica con
coerenza l'iniziativa di una sinistra parlamentare pienamente
responsabile di decisioni belliciste, tra cui l'aumento delle spese
militari, dall'altro coglie nella seconda manifestazione la persistenza
di logiche partitiche, meccanismi di delega e giochi di potere che
contraddicono una ripresa autonoma e di base del movimento contro la
guerra.
E, mentre il dibattito coinvolge soggetti e componenti diverse,
già viene fatto scattare l'immancabile allarmismo per possibili
incidenti assieme all'annuncio di misure poliziesche da stato
d'assedio, nonché la criminalizzazione preventiva nei confronti
di chi, manifestando contro Bush e i suoi crimini di guerra, sarebbe un
alleato degli estremisti, delle brigate rosse, del terrorismo
islamico...
Ormai, ci siamo abituati.
Anti