Umanità Nova, n.19 del 3 giugno 2007, anno 87

La cultura dello stupro
Veline, tronisti e altra spazzatura


C'è una guerra quotidiana che miete sempre più vittime ed è, forse, la più orrenda e concreta metafora delle guerre di tutti i tempi. Ci riferiamo all'abuso delle donne, la violenza sessuale. Odiosa e devastante come e più di ogni conflitto perché ammazza più volte nel fisico, nella dignità e nel ricordo di chi la subisce.
Le cronache delle ultime settimane hanno raccontato una serie di fatti incredibili, un bollettino di guerra fatto di aggressioni e violenze carnali. Nel mese di maggio, da Nord a Sud, abbiamo contato almeno cinque episodi di questo genere – Viterbo, Foggia, Frosinone, Milano, Firenze – e, purtroppo, si ha la sensazione che diversi altri ci siano sfuggiti. Tutte storie di donne brutalmente aggredite e violentate, quasi uccise. Come quella ragazzina di appena diciassette anni bloccata in un paese del foggiano all'uscita di una discoteca da tre ragazzi ventenni che, dopo averne abusato, l'hanno accoltellata. O come gli otto minorenni che, nel viterbese, hanno violentato a turno una coetanea. Per non parlare poi dei due ragazzi di quindici anni di Monfalcone incastrati dalle riprese che loro stessi avevano fatto col telefonino mentre violentavano una sedicenne.
Tutti italianissimi questi stupratori, tutti figli del ceto medio e tutti incredibilmente giovani come le loro vittime. Una risposta drammatica e inappellabile a quanti vorrebbero che il violentatore della società di oggi sia, per definizione, immigrato o clandestino, slavo o marocchino, barbone o analfabeta. Ma le stesse cronache degli ultimi mesi ci consegnano un quadro altrettanto terribile per ciò che riguarda i reati sessuali perpetrati da immigrati, non solo e non tanto su donne italiane quanto nei confronti delle loro connazionali. E il contesto in cui si consumano le violenze conferma la gravità delle condizioni in cui vivono le donne straniere in questo paese. Non se ne parla molto, ma vittime di violenza sono anche le prostitute, spesso minorenni o neanche ventenni. La pratica degli stupri di gruppo a scopi intimidatori o di controllo del territorio praticata dai clan che gestiscono la prostituzione nelle piccole e grandi città è arrivata a livelli indicibili: le vittime raccontano di essere costrette a fare sesso con più uomini, per ore, magari con la pistola puntata alla tempia. In generale, mentre le violenze contro le italiane sono più frequenti all'interno del contesto familiare, quelle contro le straniere sono spesso opera di estranei: questo perché le vittime hanno meno tutele, non hanno amici a cui chiedere aiuto e sono restie a sporgere denuncia perché clandestine.
Non si tratta dunque di stilare un'odiosa classifica per decidere quale gruppo etnico sia più cattivo o violento degli altri muovendosi nell'insopportabile ambito del razzismo tanto caro ai benpensanti e ai reazionari che avvelenano con la loro ipocrisia ogni sforzo di analisi e comprensione dei fenomeni sociali.
Il problema è un altro, e va ben oltre ogni confine nazionale o provenienza geografica: la società in cui viviamo è intrisa di un profondo disprezzo nei confronti della donna, assimilata – in tutto e per tutto – a un oggetto di cui disporre come e quando si vuole, senza alcun riguardo.
Ciò che lascia ancor più amareggiati è il constatare che si sia vertiginosamente abbassata l'età media dei protagonisti delle ultime vicende riportate dagli organi di informazione. Un segnale evidente di come sia precocissima la sessualizzazione delle ragazze e dei ragazzi, abituati ad avere prestissimo a che fare con richiami continui all'erotismo e alla seduzione che non sono il frutto di una maturazione individuale o collettiva, ma rappresentano piuttosto i risultati perversi della mercificazione imperante del sesso e dei corpi. In quest'epoca postmoderna in cui tutte le conquiste sociali vengono demolite a poco a poco, la liberazione sessuale e l'emancipazione femminile sono state travisate e snaturate, tanto da rappresentare un equivoco grottesco: il modello di donna libera promosso dai media e dalla pubblicità è quello della pupa tutta curve, felice di essere spogliata e mangiata con gli occhi, realizzata e strapagata perché costantemente ammiccante e disponibile. Dall'altra parte, il modello di maschio di successo che viene imposto dall'industria (sub)culturale del profitto e della moda risponde ai soliti parametri del bello e impossibile con il fisico scolpito e che non deve rendere conto di niente e a nessuno. In questo immaginario affollato di veline e tronisti, il culto dell'apparenza è alla portata di tutti, ed è sufficiente un videofonino per riprendere "prodezze" sessuali e bullismi di ogni tipo con cui riempire Internet rendendo pubblica la normale cattiveria di ogni giorno. Un progressivo distacco dal mondo reale che soccombe con il dilagare della virtualità, della rappresentazione mediata delle persone e delle relazioni: non c'è spazio per l'affettività o per i tempi lunghi della conoscenza reciproca e, perché no, del sano e appagante corteggiamento. Tutto va subito consumato ed esibito, donne comprese, in una frenetica corsa a chi si impone di più e meglio sui propri simili.
Questa riflessione, che nasce dall'urgenza di affrontare un argomento così complesso e delicato, non vuole alimentare né rancore tra i sessi né tanto meno un allarmismo securitario di cui non sentiamo affatto il bisogno. Né si può pensare, infatti, che l'aumento della repressione tanto invocato da chi vorrebbe due poliziotti per ogni cittadino possa fornire risposte adeguate a questa spirale di violenza contro le donne che affonda le sue radici nell'insostenibile vuoto umano e culturale che schiaccia le nostre vite. Da anarchici, però, non possiamo e non vogliamo eludere la questione di genere perché ravvisiamo la necessità che le donne tornino a discutere su se stesse, sulla loro condizione e sulle prospettive di emancipazione che, forse, sono tutte da ripensare.
Le donne, oggi, sembrano schiacciate da un maschilismo a due facce: da un lato, quello legato agli interessi economici e alla volontà di dominio fisico e psicologico esercitato su più livelli (mercificazione, prostituzione, violenza domestica, sfruttamento); dall'altro, quello connesso all'ingerenza dei poteri forti, laici e clericali, che vorrebbero fare di ogni femmina un'incubatrice di figli, madre e moglie remissiva quanto basta per non mettere in discussione l'egemonia del maschio in ogni settore della vita, pubblica e privata.
Colpire le donne significa attentare a ciò che di meglio può esprimere l'essere umano, la sua libertà, la sua dignità. Perché il controllo delle donne attraverso l'esercizio del potere sui loro corpi e sulle loro menti garantisce un dominio che è fisico e morale nello stesso tempo. È la morte del desiderio, della consapevolezza e del riconoscimento dell'altro da sé.
Per quel che ci riguarda, nessun consorzio umano potrà definirsi tale e nessuna società potrà considerarsi libera fin tanto che una donna sarà violentata, sfruttata o anche semplicemente privata del rispetto e dell'amore che le si deve in quanto donna. Nessun reale cambiamento può fare a meno del contributo femminile, ma affinché questo si realizzi è necessario che le donne riprendano in mano il loro destino.

TAZ laboratorio di comunicazione libertaria

home | sommario | comunicati | archivio | link | contatti