C'è una guerra quotidiana che miete sempre più vittime ed
è, forse, la più orrenda e concreta metafora delle guerre
di tutti i tempi. Ci riferiamo all'abuso delle donne, la violenza
sessuale. Odiosa e devastante come e più di ogni conflitto
perché ammazza più volte nel fisico, nella dignità
e nel ricordo di chi la subisce.
Le cronache delle ultime settimane hanno raccontato una serie di fatti
incredibili, un bollettino di guerra fatto di aggressioni e violenze
carnali. Nel mese di maggio, da Nord a Sud, abbiamo contato almeno
cinque episodi di questo genere – Viterbo, Foggia, Frosinone,
Milano, Firenze – e, purtroppo, si ha la sensazione che diversi
altri ci siano sfuggiti. Tutte storie di donne brutalmente aggredite e
violentate, quasi uccise. Come quella ragazzina di appena diciassette
anni bloccata in un paese del foggiano all'uscita di una discoteca da
tre ragazzi ventenni che, dopo averne abusato, l'hanno accoltellata. O
come gli otto minorenni che, nel viterbese, hanno violentato a turno
una coetanea. Per non parlare poi dei due ragazzi di quindici anni di
Monfalcone incastrati dalle riprese che loro stessi avevano fatto col
telefonino mentre violentavano una sedicenne.
Tutti italianissimi questi stupratori, tutti figli del ceto medio e
tutti incredibilmente giovani come le loro vittime. Una risposta
drammatica e inappellabile a quanti vorrebbero che il violentatore
della società di oggi sia, per definizione, immigrato o
clandestino, slavo o marocchino, barbone o analfabeta. Ma le stesse
cronache degli ultimi mesi ci consegnano un quadro altrettanto
terribile per ciò che riguarda i reati sessuali perpetrati da
immigrati, non solo e non tanto su donne italiane quanto nei confronti
delle loro connazionali. E il contesto in cui si consumano le violenze
conferma la gravità delle condizioni in cui vivono le donne
straniere in questo paese. Non se ne parla molto, ma vittime di
violenza sono anche le prostitute, spesso minorenni o neanche ventenni.
La pratica degli stupri di gruppo a scopi intimidatori o di controllo
del territorio praticata dai clan che gestiscono la prostituzione nelle
piccole e grandi città è arrivata a livelli indicibili:
le vittime raccontano di essere costrette a fare sesso con più
uomini, per ore, magari con la pistola puntata alla tempia. In
generale, mentre le violenze contro le italiane sono più
frequenti all'interno del contesto familiare, quelle contro le
straniere sono spesso opera di estranei: questo perché le
vittime hanno meno tutele, non hanno amici a cui chiedere aiuto e sono
restie a sporgere denuncia perché clandestine.
Non si tratta dunque di stilare un'odiosa classifica per decidere quale
gruppo etnico sia più cattivo o violento degli altri muovendosi
nell'insopportabile ambito del razzismo tanto caro ai benpensanti e ai
reazionari che avvelenano con la loro ipocrisia ogni sforzo di analisi
e comprensione dei fenomeni sociali.
Il problema è un altro, e va ben oltre ogni confine nazionale o
provenienza geografica: la società in cui viviamo è
intrisa di un profondo disprezzo nei confronti della donna, assimilata
– in tutto e per tutto – a un oggetto di cui disporre come
e quando si vuole, senza alcun riguardo.
Ciò che lascia ancor più amareggiati è il
constatare che si sia vertiginosamente abbassata l'età media dei
protagonisti delle ultime vicende riportate dagli organi di
informazione. Un segnale evidente di come sia precocissima la
sessualizzazione delle ragazze e dei ragazzi, abituati ad avere
prestissimo a che fare con richiami continui all'erotismo e alla
seduzione che non sono il frutto di una maturazione individuale o
collettiva, ma rappresentano piuttosto i risultati perversi della
mercificazione imperante del sesso e dei corpi. In quest'epoca
postmoderna in cui tutte le conquiste sociali vengono demolite a poco a
poco, la liberazione sessuale e l'emancipazione femminile sono state
travisate e snaturate, tanto da rappresentare un equivoco grottesco: il
modello di donna libera promosso dai media e dalla pubblicità
è quello della pupa tutta curve, felice di essere spogliata e
mangiata con gli occhi, realizzata e strapagata perché
costantemente ammiccante e disponibile. Dall'altra parte, il modello di
maschio di successo che viene imposto dall'industria (sub)culturale del
profitto e della moda risponde ai soliti parametri del bello e
impossibile con il fisico scolpito e che non deve rendere conto di
niente e a nessuno. In questo immaginario affollato di veline e
tronisti, il culto dell'apparenza è alla portata di tutti, ed
è sufficiente un videofonino per riprendere "prodezze" sessuali
e bullismi di ogni tipo con cui riempire Internet rendendo pubblica la
normale cattiveria di ogni giorno. Un progressivo distacco dal mondo
reale che soccombe con il dilagare della virtualità, della
rappresentazione mediata delle persone e delle relazioni: non
c'è spazio per l'affettività o per i tempi lunghi della
conoscenza reciproca e, perché no, del sano e appagante
corteggiamento. Tutto va subito consumato ed esibito, donne comprese,
in una frenetica corsa a chi si impone di più e meglio sui
propri simili.
Questa riflessione, che nasce dall'urgenza di affrontare un argomento
così complesso e delicato, non vuole alimentare né
rancore tra i sessi né tanto meno un allarmismo securitario di
cui non sentiamo affatto il bisogno. Né si può pensare,
infatti, che l'aumento della repressione tanto invocato da chi vorrebbe
due poliziotti per ogni cittadino possa fornire risposte adeguate a
questa spirale di violenza contro le donne che affonda le sue radici
nell'insostenibile vuoto umano e culturale che schiaccia le nostre
vite. Da anarchici, però, non possiamo e non vogliamo eludere la
questione di genere perché ravvisiamo la necessità che le
donne tornino a discutere su se stesse, sulla loro condizione e sulle
prospettive di emancipazione che, forse, sono tutte da ripensare.
Le donne, oggi, sembrano schiacciate da un maschilismo a due facce: da
un lato, quello legato agli interessi economici e alla volontà
di dominio fisico e psicologico esercitato su più livelli
(mercificazione, prostituzione, violenza domestica, sfruttamento);
dall'altro, quello connesso all'ingerenza dei poteri forti, laici e
clericali, che vorrebbero fare di ogni femmina un'incubatrice di figli,
madre e moglie remissiva quanto basta per non mettere in discussione
l'egemonia del maschio in ogni settore della vita, pubblica e privata.
Colpire le donne significa attentare a ciò che di meglio
può esprimere l'essere umano, la sua libertà, la sua
dignità. Perché il controllo delle donne attraverso
l'esercizio del potere sui loro corpi e sulle loro menti garantisce un
dominio che è fisico e morale nello stesso tempo. È la
morte del desiderio, della consapevolezza e del riconoscimento
dell'altro da sé.
Per quel che ci riguarda, nessun consorzio umano potrà definirsi
tale e nessuna società potrà considerarsi libera fin
tanto che una donna sarà violentata, sfruttata o anche
semplicemente privata del rispetto e dell'amore che le si deve in
quanto donna. Nessun reale cambiamento può fare a meno del
contributo femminile, ma affinché questo si realizzi è
necessario che le donne riprendano in mano il loro destino.
TAZ laboratorio di comunicazione libertaria