Umanità Nova, n.19 del 3 giugno 2007, anno 87

Torino: la giunta Chiamparino e i rom
Demolizioni e deportazioni


Sparsi in accampamenti abusivi, fabbriche abbandonate, nelle case vuote delle metropoli italiane, migliaia di persone di etnia Rom sono diventate all'improvviso protagoniste delle cronache di giornali e tv.
Era già capitato, negli anni passati: l'episodio di via Adda a Milano nel 2004, gli zingari sulle rive del Reno a Bologna l'anno successivo, una giunta di destra a Milano, l'altra di sinistra a Bologna, testimoniano che quando si tratta di rom la politica ha un solo volto, la repressione.
A Torino sono mille, duemila, nessuno lo sa.
Il 31 dicembre del 2006 Chiamparino, sindaco di Torino, celebra il capodanno in piazza insieme ad un artista rumeno, lo spettacolo viene trasmesso in diretta anche in Romania; "Torino, con le Olimpiadi Invernali del 2006, ha dimostrato quanto può essere ospitale..." dichiara tra le altre cose l'assessore Ilda Curti, riferendosi all'accoglienza riservata ai turisti delle olimpiadi, non certo ai rom che continuano ad approdare sulle sponde dei fiumi torinesi.
I rom rumeni stanno scappando dal loro paese, ormai è chiaro a tutti, siti internet, pubblicazioni, articoli di giornale raccontano la condizione di discriminazione razziale, il razzismo diffuso, le violenze contro uomini e donne, i naziskin che incendiano e devastano accampamenti e villaggi per conto dei proprietari dei terreni, che, caduto il regime comunista, vogliono rientrare in possesso delle proprietà confiscate dal regime, e se queste erano state assegnate ai rom non esitano ad inviare le squadracce a far piazza pulita, lo stipendio medio si aggira sui 100 € al mese, insufficienti per sopravvivere.
Basta un clic su un motore di ricerca in internet per avere un quadro disastroso delle condizioni di vita dei rom, non solo in Romania ma in tutta l'Europa dell'est.
Tutti lo sanno, tranne i politici italiani, che volutamente ignorano quanto accade nel nuovo stato membro dell'unione europea. Per loro, la questione dei rom è da affrontarsi nell'ambito di campagne securitarie, i rom sono un problema di ordine pubblico, e basta.
In dicembre, a Torino, come nei passati 3 anni viene allestito un campo provvisorio all'interno di un progetto denominato "Emergenza Freddo" finanziato con soldi pubblici, al costo di 150 mila euro circa, gestito dalla Croce Rossa e da altre associazioni. Si tratta di ricoverare dal freddo, in un centinaio di roulotte, le famiglie che vivono in baracche di fortuna sulle rive del fiume Stura e che presentano particolari problemi sanitari, che hanno bambini molto piccoli o anziani in condizioni particolarmente critiche. Il progetto dovrebbe concludersi nell'aprile 2007, con un rimpatrio di massa dei rom verso la Romania.
Ma se gli altri anni tutto ciò avveniva senza particolari problemi, perchè i rumeni erano extracomunitari e quindi il loro rimpatrio avveniva indipendentemente che lo volessero o no, quest'anno le cose sono andate in maniera diversa.
Innanzitutto, con grande sorpresa degli operatori degli uffici del comune delegati alla questione, pochissimi accettano il viaggio di rientro in Romania pagato dal Comune di Torino (quelli che accettano, una ventina di famiglie, saranno imbarcati su dei bus ed abbandonati senza soldi e a piedi appena passato il confine rumeno, alcuni a centinaia di chilometri da casa). Molte famiglie che hanno accettato di partire rispunteranno a Torino dopo sole due settimane.
Gli altri, invece, la sera del 22 marzo, alla festa di chiusura del campo annunciano a gran voce, tra l'imbarazzo dei responsabili del Comune, che non se ne andranno. Non solo ma, colmo dell'impudenza, hanno l'ardire di organizzare un presidio di ben 3 giorni sotto il municipio. Ed arriveranno in circa 200, uomini donne e bambini nel cuore di Torino, su pullman e tram. E rivendicheranno a gran voce in quella piazza il loro diritto a restare in città. Sono ormai cittadini europei, non li si può più imbarcare a forza sugli aerei, non c'è più per loro il decreto di espulsione. Che cosa vogliono dalle istituzioni? Nient'altro che avere le stesse opportunità di tutti gli altri cittadini dell'unione, trovar casa e lavoro, mandare i figli a scuola (la chiusura improvvisa del campo significa anche l'abbandono anzitempo della scuola), una vita dignitosa. È importante annotare che non chiedono niente al Comune, non implorano l'elemosina di progetti assistenziali, vogliono solo avere il tempo di sistemarsi, una dilazione allo sgombero del campo che gli permetta di provare a costruirsi una vita migliore di quella da cui sono fuggiti.
Riusciranno a restare nella piazza in presidio un giorno intero e replicheranno la mattina del giorno successivo, mentre dal Comune i politici imbarazzati escono senza degnarli di uno sguardo.
L'assessore competente in materia, esponente della Margherita, rifiuta recisamente di ricevere la delegazione che si propone. Chiede solo a gran voce che cessino i presidi, impegnandosi a dare una risposta entro il fine settimana. Naturalmente nessuna risposta arriverà ai rom, se non dagli operatori della Croce Rossa che annunciano l'inizio delle operazioni di smantellamento del campo di "Emergenza Freddo".
Per i rom comincia una settimana drammatica: lasciare quelle roulotte significa trovarsi in mezzo ad una strada, senza nessun posto dove andare, con i bimbi piccoli, con gli anziani da curare.
Alcuni provano a ritornare alle baracchine sulla riva del fiume, ma carabinieri  vigili e polizia accorrono ad impedire qualunque tentativo di nuovo insediamento. Qualcuno tenta di insediarsi in fabbriche abbandonate, ma ogni tentativo di trovare una soluzione alternativa al rimanere per strada viene represso decisamente.
Un ultimo sforzo per cercare di resistere viene fatto la sera dell'11 aprile. Viene indetto un presidio nella notte, per scongiurare l'arrivo dei camion che caricheranno e porteranno via le roulotte.
Il presidio funziona, accorrono tanti solidali, convocati dagli appelli di radio Blackout e da un sito internet, http://www.auristici.org/ojak aperto per l'occasione, e per tutta la notte si aspetta lo sgombero, tra grigliate e bicchieri di caffé caldo. Il Comune decide in quell'occasione di non intervenire, rinviando di una settimana la chiusura del campo.
Non ci sono più però margini di trattativa e prima di vedersi sgomberare il campo una decina di famiglie tenta di insediarsi in via Druento, dietro lo stadio delle Alpi, ai confini della città. Lì resteranno per circa 4 giorni a dormire praticamente sotto le stelle, con tutte le loro cose accumulate intorno ai materassi. Non ci sono ripari, che cominceranno ad arrivare solo alla fine del 4° giorno, sotto forma di tende che qualche torinese solidale comincia a portare.
Mentre il campo di "Emergenza Freddo" chiude definitivamente, e le istituzioni tacciono, al nuovo campo appena insediato si fanno vivi i vigili di zona che si rendono anche protagonisti di un pesante episodio di intimidazione: brutalmente, incuranti che nelle tende ci siano dei bambini, un pomeriggio assolato cominciano a demolirle. Un appello lanciato attraverso Radio Blackout e l'accorrere della gente sul posto provocano l'intervento dei capi del corpo di polizia municipale che impongono ai figuri del sedicente "Nucleo Nomadi" di fermare la demolizione. Però, e su questo i vigili saranno irremovibili, la sera stessa i rom si devono spostare: gli impiegati degli uffici a fianco del nuovo campo minacciano di mettersi in sciopero perchè non vogliono vedere gli zingari sotto le loro finestre. La trattativa durerà ore ed il nuovo trasloco si concluderà a tarda notte. Una donna incinta, stremata dalla tensione, finirà all'ospedale dove perderà il bambino.
Mentre avvengono le incursioni al campo di via Druento, negli altri campi di rom rumeni continuano gli sgomberi, niente di spettacolare, lo stile è tipico delle giunte di sinistra: ogni giorno, per settimane, le ruspe demoliscono una-due baracche, approfittando dell'assenza degli abitanti e dichiarandole arbitrariamente vuote. Uno stillicidio quotidiano di piccole operazioni di sgombero che vengono debitamente celate dagli organi di informazione. Viene in questo modo definitivamente chiuso il campo di Strada dell'Arrivore, e parte dell'enorme campo sulle rive dello Stura.
I rom tornano ad essere invisibili, a piccoli gruppi si insediano in altri luoghi abbandonati e nuovi campi che nascono e vengono chiusi a ritmo incessante, in concomitanza con le campagne di odio che i partiti della destra imbastiscono a gran voce.
Esemplare il caso di Lungo Stura Lazio, dove la Lega Nord cerca di aizzare i lavoratori della fabbrica IVECO contro i loro vicini Rom, accusati di aver acceso dei fuochi che avrebbero intossicato gli operai. Il tentativo non funzionerà perchè i lavoratori non accetteranno di prestarsi ai giochi politici della Lega e diserteranno il presidio organizzato dai leghisti sotto al Comune, a cui peraltro non parteciperanno neanche loro, spaventati da un contro-presidio che vede la presenza di una cinquantina di persone che contestano apertamente le campagne di odio e discriminazione razziale della Lega.
Anche se i leghisti sono presenti solo virtualmente, la sinistra torinese di fatto si dimostra molto sensibile alle istanze xenofobe che questi portano avanti, per conquistare il cuore di quelle fette di elettorato condizionate dall'informazione terrorizzante, che amplifica ad arte i fatti di cronaca in cui sono coinvolti i rom. Non ci vuol molto con questo clima perchè si ripetano episodi come quello, incredibile, di Appignano, vicino ad Ascoli Piceno, a fine aprile, dove un intero campo viene bruciato tra indifferenza e sottintesa approvazione perchè un rom che ci abita è stato coinvolto in un fattaccio di cronaca: non ci risulta che per altri gruppi etnici o comunità si attui lo stesso tipo di rappresaglia.
L'ipotesi ventilata dai politici di un accordo con la Romania per "regolare i flussi d'ingresso", come se si trattasse di bestiame o merci di cui organizzare il trasporto, cozza con l'evidente situazione di discriminazione e di razzismo di cui i rom sono vittime nel loro paese: tra pochi giorni il presidente rumeno Basescu dovrà comparire davanti alla corte contro la discriminazione razziale perchè ha strappato di mano il telefonino ad una giornalista che lo intervistava insultandola: "Sporca zingara!", la cosa ha destato parecchio scalpore e provocato manifestazioni davanti al palazzo presidenziale di decine persone con sapone, liscivia e con la t-shirt con la scritta "Sporco zingaro". Davanti ad offerte di sovvenzioni da parte della comunità europea la Romania non si tirerebbe sicuramente indietro, accollandosi il problema per accaparrarsi il denaro, ma se il presidente della repubblica stesso si esprime così, è difficile immaginare un futuro di rose e fiori per gli zingari che decidono di restare a vivere in Romania.
Nei palazzi del potere di Torino si dibatte tra posizioni che in fondo sono molto simili, cambiano solo le modalità di attuazione della repressione, mentre la destra invoca a gran voce espulsioni esemplari con grande dispiego di uomini e mezzi, la sinistra pratica lo stesso obiettivo, ma in sordina, sottovoce, nella vana speranza che centinaia di persone che non hanno nulla da perdere spariscano da un momento all'altro, quando anche il terrore applicato metodicamente dalle forze dell'ordine, e i continui sgomberi risultano inefficaci.
Non solo ma questa mobilità forzata da sgomberi e soluzioni palliative non si esprime solo all'interno di una sola città: da quando a Roma la giunta di Veltroni ha avuto la bella idea di aprire quattro nuovi campi, dal nome alquanto sfortunato di "campi della solidarietà", (mille persone l'uno!) debitamente dislocati ben oltre il raccordo anulare, si registrano spostamenti di famiglie che approdano in altre città, tra cui anche Torino.
Scappano all'idea di finire nei nuovi "campi della solidarietà", che comunque non sono in alcun modo sufficienti a coprire la popolazione rom che a Roma è di circa 15.000 presenze.
Fiori all'occhiello della politica di esclusione e discriminazione razziale, i "campi nomadi", luoghi per cui l'Italia è stata condannata dalla Corte Europea per i Diritti Umani, hanno dimostrato negli anni di essere a tutti gli effetti dei ghetti, in cui raramente la gente sceglie di vivere, ma dove piuttosto viene segregata o concentrata per la sua appartenenza etnica.

Luchino

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