Sparsi in accampamenti abusivi, fabbriche abbandonate, nelle case vuote
delle metropoli italiane, migliaia di persone di etnia Rom sono
diventate all'improvviso protagoniste delle cronache di giornali e tv.
Era già capitato, negli anni passati: l'episodio di via Adda a
Milano nel 2004, gli zingari sulle rive del Reno a Bologna l'anno
successivo, una giunta di destra a Milano, l'altra di sinistra a
Bologna, testimoniano che quando si tratta di rom la politica ha un
solo volto, la repressione.
A Torino sono mille, duemila, nessuno lo sa.
Il 31 dicembre del 2006 Chiamparino, sindaco di Torino, celebra il
capodanno in piazza insieme ad un artista rumeno, lo spettacolo viene
trasmesso in diretta anche in Romania; "Torino, con le Olimpiadi
Invernali del 2006, ha dimostrato quanto può essere ospitale..."
dichiara tra le altre cose l'assessore Ilda Curti, riferendosi
all'accoglienza riservata ai turisti delle olimpiadi, non certo ai rom
che continuano ad approdare sulle sponde dei fiumi torinesi.
I rom rumeni stanno scappando dal loro paese, ormai è chiaro a
tutti, siti internet, pubblicazioni, articoli di giornale raccontano la
condizione di discriminazione razziale, il razzismo diffuso, le
violenze contro uomini e donne, i naziskin che incendiano e devastano
accampamenti e villaggi per conto dei proprietari dei terreni, che,
caduto il regime comunista, vogliono rientrare in possesso delle
proprietà confiscate dal regime, e se queste erano state
assegnate ai rom non esitano ad inviare le squadracce a far piazza
pulita, lo stipendio medio si aggira sui 100 € al mese,
insufficienti per sopravvivere.
Basta un clic su un motore di ricerca in internet per avere un quadro
disastroso delle condizioni di vita dei rom, non solo in Romania ma in
tutta l'Europa dell'est.
Tutti lo sanno, tranne i politici italiani, che volutamente ignorano
quanto accade nel nuovo stato membro dell'unione europea. Per loro, la
questione dei rom è da affrontarsi nell'ambito di campagne
securitarie, i rom sono un problema di ordine pubblico, e basta.
In dicembre, a Torino, come nei passati 3 anni viene allestito un campo
provvisorio all'interno di un progetto denominato "Emergenza Freddo"
finanziato con soldi pubblici, al costo di 150 mila euro circa, gestito
dalla Croce Rossa e da altre associazioni. Si tratta di ricoverare dal
freddo, in un centinaio di roulotte, le famiglie che vivono in baracche
di fortuna sulle rive del fiume Stura e che presentano particolari
problemi sanitari, che hanno bambini molto piccoli o anziani in
condizioni particolarmente critiche. Il progetto dovrebbe concludersi
nell'aprile 2007, con un rimpatrio di massa dei rom verso la Romania.
Ma se gli altri anni tutto ciò avveniva senza particolari
problemi, perchè i rumeni erano extracomunitari e quindi il loro
rimpatrio avveniva indipendentemente che lo volessero o no, quest'anno
le cose sono andate in maniera diversa.
Innanzitutto, con grande sorpresa degli operatori degli uffici del
comune delegati alla questione, pochissimi accettano il viaggio di
rientro in Romania pagato dal Comune di Torino (quelli che accettano,
una ventina di famiglie, saranno imbarcati su dei bus ed abbandonati
senza soldi e a piedi appena passato il confine rumeno, alcuni a
centinaia di chilometri da casa). Molte famiglie che hanno accettato di
partire rispunteranno a Torino dopo sole due settimane.
Gli altri, invece, la sera del 22 marzo, alla festa di chiusura del
campo annunciano a gran voce, tra l'imbarazzo dei responsabili del
Comune, che non se ne andranno. Non solo ma, colmo dell'impudenza,
hanno l'ardire di organizzare un presidio di ben 3 giorni sotto il
municipio. Ed arriveranno in circa 200, uomini donne e bambini nel
cuore di Torino, su pullman e tram. E rivendicheranno a gran voce in
quella piazza il loro diritto a restare in città. Sono ormai
cittadini europei, non li si può più imbarcare a forza
sugli aerei, non c'è più per loro il decreto di
espulsione. Che cosa vogliono dalle istituzioni? Nient'altro che avere
le stesse opportunità di tutti gli altri cittadini dell'unione,
trovar casa e lavoro, mandare i figli a scuola (la chiusura improvvisa
del campo significa anche l'abbandono anzitempo della scuola), una vita
dignitosa. È importante annotare che non chiedono niente al
Comune, non implorano l'elemosina di progetti assistenziali, vogliono
solo avere il tempo di sistemarsi, una dilazione allo sgombero del
campo che gli permetta di provare a costruirsi una vita migliore di
quella da cui sono fuggiti.
Riusciranno a restare nella piazza in presidio un giorno intero e
replicheranno la mattina del giorno successivo, mentre dal Comune i
politici imbarazzati escono senza degnarli di uno sguardo.
L'assessore competente in materia, esponente della Margherita, rifiuta
recisamente di ricevere la delegazione che si propone. Chiede solo a
gran voce che cessino i presidi, impegnandosi a dare una risposta entro
il fine settimana. Naturalmente nessuna risposta arriverà ai
rom, se non dagli operatori della Croce Rossa che annunciano l'inizio
delle operazioni di smantellamento del campo di "Emergenza Freddo".
Per i rom comincia una settimana drammatica: lasciare quelle roulotte
significa trovarsi in mezzo ad una strada, senza nessun posto dove
andare, con i bimbi piccoli, con gli anziani da curare.
Alcuni provano a ritornare alle baracchine sulla riva del fiume, ma
carabinieri vigili e polizia accorrono ad impedire qualunque
tentativo di nuovo insediamento. Qualcuno tenta di insediarsi in
fabbriche abbandonate, ma ogni tentativo di trovare una soluzione
alternativa al rimanere per strada viene represso decisamente.
Un ultimo sforzo per cercare di resistere viene fatto la sera dell'11
aprile. Viene indetto un presidio nella notte, per scongiurare l'arrivo
dei camion che caricheranno e porteranno via le roulotte.
Il presidio funziona, accorrono tanti solidali, convocati dagli appelli
di radio Blackout e da un sito internet, http://www.auristici.org/ojak
aperto per l'occasione, e per tutta la notte si aspetta lo sgombero,
tra grigliate e bicchieri di caffé caldo. Il Comune decide in
quell'occasione di non intervenire, rinviando di una settimana la
chiusura del campo.
Non ci sono più però margini di trattativa e prima di
vedersi sgomberare il campo una decina di famiglie tenta di insediarsi
in via Druento, dietro lo stadio delle Alpi, ai confini della
città. Lì resteranno per circa 4 giorni a dormire
praticamente sotto le stelle, con tutte le loro cose accumulate intorno
ai materassi. Non ci sono ripari, che cominceranno ad arrivare solo
alla fine del 4° giorno, sotto forma di tende che qualche torinese
solidale comincia a portare.
Mentre il campo di "Emergenza Freddo" chiude definitivamente, e le
istituzioni tacciono, al nuovo campo appena insediato si fanno vivi i
vigili di zona che si rendono anche protagonisti di un pesante episodio
di intimidazione: brutalmente, incuranti che nelle tende ci siano dei
bambini, un pomeriggio assolato cominciano a demolirle. Un appello
lanciato attraverso Radio Blackout e l'accorrere della gente sul posto
provocano l'intervento dei capi del corpo di polizia municipale che
impongono ai figuri del sedicente "Nucleo Nomadi" di fermare la
demolizione. Però, e su questo i vigili saranno irremovibili, la
sera stessa i rom si devono spostare: gli impiegati degli uffici a
fianco del nuovo campo minacciano di mettersi in sciopero perchè
non vogliono vedere gli zingari sotto le loro finestre. La trattativa
durerà ore ed il nuovo trasloco si concluderà a tarda
notte. Una donna incinta, stremata dalla tensione, finirà
all'ospedale dove perderà il bambino.
Mentre avvengono le incursioni al campo di via Druento, negli altri
campi di rom rumeni continuano gli sgomberi, niente di spettacolare, lo
stile è tipico delle giunte di sinistra: ogni giorno, per
settimane, le ruspe demoliscono una-due baracche, approfittando
dell'assenza degli abitanti e dichiarandole arbitrariamente vuote. Uno
stillicidio quotidiano di piccole operazioni di sgombero che vengono
debitamente celate dagli organi di informazione. Viene in questo modo
definitivamente chiuso il campo di Strada dell'Arrivore, e parte
dell'enorme campo sulle rive dello Stura.
I rom tornano ad essere invisibili, a piccoli gruppi si insediano in
altri luoghi abbandonati e nuovi campi che nascono e vengono chiusi a
ritmo incessante, in concomitanza con le campagne di odio che i partiti
della destra imbastiscono a gran voce.
Esemplare il caso di Lungo Stura Lazio, dove la Lega Nord cerca di
aizzare i lavoratori della fabbrica IVECO contro i loro vicini Rom,
accusati di aver acceso dei fuochi che avrebbero intossicato gli
operai. Il tentativo non funzionerà perchè i lavoratori
non accetteranno di prestarsi ai giochi politici della Lega e
diserteranno il presidio organizzato dai leghisti sotto al Comune, a
cui peraltro non parteciperanno neanche loro, spaventati da un
contro-presidio che vede la presenza di una cinquantina di persone che
contestano apertamente le campagne di odio e discriminazione razziale
della Lega.
Anche se i leghisti sono presenti solo virtualmente, la sinistra
torinese di fatto si dimostra molto sensibile alle istanze xenofobe che
questi portano avanti, per conquistare il cuore di quelle fette di
elettorato condizionate dall'informazione terrorizzante, che amplifica
ad arte i fatti di cronaca in cui sono coinvolti i rom. Non ci vuol
molto con questo clima perchè si ripetano episodi come quello,
incredibile, di Appignano, vicino ad Ascoli Piceno, a fine aprile, dove
un intero campo viene bruciato tra indifferenza e sottintesa
approvazione perchè un rom che ci abita è stato coinvolto
in un fattaccio di cronaca: non ci risulta che per altri gruppi etnici
o comunità si attui lo stesso tipo di rappresaglia.
L'ipotesi ventilata dai politici di un accordo con la Romania per
"regolare i flussi d'ingresso", come se si trattasse di bestiame o
merci di cui organizzare il trasporto, cozza con l'evidente situazione
di discriminazione e di razzismo di cui i rom sono vittime nel loro
paese: tra pochi giorni il presidente rumeno Basescu dovrà
comparire davanti alla corte contro la discriminazione razziale
perchè ha strappato di mano il telefonino ad una giornalista che
lo intervistava insultandola: "Sporca zingara!", la cosa ha destato
parecchio scalpore e provocato manifestazioni davanti al palazzo
presidenziale di decine persone con sapone, liscivia e con la t-shirt
con la scritta "Sporco zingaro". Davanti ad offerte di sovvenzioni da
parte della comunità europea la Romania non si tirerebbe
sicuramente indietro, accollandosi il problema per accaparrarsi il
denaro, ma se il presidente della repubblica stesso si esprime
così, è difficile immaginare un futuro di rose e fiori
per gli zingari che decidono di restare a vivere in Romania.
Nei palazzi del potere di Torino si dibatte tra posizioni che in fondo
sono molto simili, cambiano solo le modalità di attuazione della
repressione, mentre la destra invoca a gran voce espulsioni esemplari
con grande dispiego di uomini e mezzi, la sinistra pratica lo stesso
obiettivo, ma in sordina, sottovoce, nella vana speranza che centinaia
di persone che non hanno nulla da perdere spariscano da un momento
all'altro, quando anche il terrore applicato metodicamente dalle forze
dell'ordine, e i continui sgomberi risultano inefficaci.
Non solo ma questa mobilità forzata da sgomberi e soluzioni
palliative non si esprime solo all'interno di una sola città: da
quando a Roma la giunta di Veltroni ha avuto la bella idea di aprire
quattro nuovi campi, dal nome alquanto sfortunato di "campi della
solidarietà", (mille persone l'uno!) debitamente dislocati ben
oltre il raccordo anulare, si registrano spostamenti di famiglie che
approdano in altre città, tra cui anche Torino.
Scappano all'idea di finire nei nuovi "campi della solidarietà",
che comunque non sono in alcun modo sufficienti a coprire la
popolazione rom che a Roma è di circa 15.000 presenze.
Fiori all'occhiello della politica di esclusione e discriminazione
razziale, i "campi nomadi", luoghi per cui l'Italia è stata
condannata dalla Corte Europea per i Diritti Umani, hanno dimostrato
negli anni di essere a tutti gli effetti dei ghetti, in cui raramente
la gente sceglie di vivere, ma dove piuttosto viene segregata o
concentrata per la sua appartenenza etnica.
Luchino