Umanità Nova, n.20 del 10 giugno 2007, anno 87

Criminali di guerra
Fermiamo Bush e Prodi!


Mister Bush, dopo il "caldo" benvenuto ricevuto in Germania insieme ai suoi partner, è in Italia per accoglierne un altro. Non sappiamo quanto "caldo", ma sappiamo che sicuramente sarà partecipato. Infatti, nonostante il boicottaggio delle ferrovie che continuano a negare treni a prezzo sociale, migliaia di persone sono decise a recarsi a Roma per manifestare la loro opposizione alla sua amministrazione, a quanto rappresenta e alla guerra infinita da essa ideata e pianificata. Una guerra espressione della volontà delle classi dirigenti e possidenti di risolvere le proprie crisi riaffermando un sistema di sfruttamento e di dominazione insopportabile, imposto con la devastazione di intere aree geografiche, il massacro e l'esodo delle popolazioni, la limitazione delle libertà civili. E tutto questo in nome della "democrazia", della "libertà" e della "pace".
A Roma il 9 giugno saranno in piazza due realtà, la prima è quella costituita da quei partiti (PRC, PCdI, Verdi) parte integrante della coalizione di governo intenzionati ad addossare a Bush ogni responsabilità nella guerra globale permanente e a sollevare Prodi (e loro stessi) da ogni coinvolgimento nei crimini e negli orrori in corso; la seconda, animata da una miriade di associazioni, sindacati di base, centri sociali, disobbedienti, ecc. si pone invece l'obiettivo di sviluppare e guidare il movimento contro la guerra, unendo nella critica Bush ed il "subordinato" Prodi. A questo proposito viene da chiedersi che credibilità hanno di perseguire questo obiettivo se non chiariscono fino in fondo le ambiguità presenti, dovute a componenti che, fino a prova contraria, fanno ancora parte del governo, sia pure criticamente; che hanno taciuto sull'invio di truppe in Libano; che hanno sostenuto la logica del "forza ONU" quando è ormai pienamente dimostrato che l'ONU è il luogo della mediazione delle grandi potenze nella spartizione del mondo.
Nonostante questo molti anarchici saranno con loro per unirsi in questa dimostrazione di ripulsa di una politica che fa della sopraffazione, economica, politica e militare, il suo unico mezzo di espressione. Saranno con loro non incentrando sulla persona Bush tutta la loro critica, ma individuando in lui l'attuale massimo rappresentante della guerra globale permanente, quella guerra che attraversa il mondo in un sadico intreccio di alleanze, compromessi, falsità e manipolazioni: dall'Iraq all'Afganistan, dal Libano alla Palestina, dalla Cecenia al Darfur, dalla Somalia al Congo, ecc.
Ma non ci fermeremo a contestare Bush, il nostro dissenso sarà anche per Prodi e tutto l'apparato di cui è espressione. D'altronde Bush viene a Roma su invito del governo Prodi e nell'agenda di discussione la partecipazione italiana alle operazioni militari avrà sicuramente il primo posto: ormai la repubblica italiana occupa una posizione di assoluto rilievo per il numero di militari impegnati all'estero, per la fabbricazione di armi (soprattutto leggere), per il suo impegno nella costruzione dell'esercito europeo di pronto intervento. Nel contempo sul suolo italiano hanno sede basi USA (anche con ordigni nucleari) che, per far fronte ai nuovi scenari bellici, Bush vuole rafforzare ed ampliare, mentre si spostano sempre più a est i confini delle alleanze militari. Nel ridisegnarsi delle sfere d'influenza delle maggiori potenze mondiali, alle prese con le dinamiche del mercato globale e del conflitto intercapitalistico, gli USA si dimostrano sempre più aggressivi, anche se non necessariamente efficaci, e spingono alle contromisure i concorrenti; è di questi giorni la minaccia di Putin di puntare sull'Europa i propri missili in risposta allo scudo e alle nuove basi in Polonia, mentre il Giappone vuol gettare nel cestino la propria carta costituzionale e riarmarsi senza più alcuna remora. In Italia è da tempo che la carta costituzionale, in specifico l'articolo 11, è stata messa nel cestino, dai tempi almeno dei bombardamenti sulla Serbia; ma per assicurarsi un posto al sole, per meglio tutelare gli interessi del capitale nazionale nel nuovo quadro internazionale contrassegnato da una parte dai ritardi del processo di unificazione europea e dall'altro dall'emergere di nuove potenze mondiali come la Cina, non ci si può aspettare altro, in una continuità politica che unisce governi di destra e di sinistra. Infatti se il governo Berlusconi aveva partecipato all'occupazione dell'Iraq, quello di Prodi ha assunto la guida della missione Unifil 2 in Libano ed ha recentemente aumentato la presenza militare in Afganistan dotandola di mezzi offensivi. Entrambi poi hanno acconsentito all'allargamento della base di Vicenza.
La borghesia italiana, il ceto politico, non si smentiscono. Per garantirsi commesse, forniture energetiche, manodopera a buon mercato, assicurarsi la ricostruzione dei paesi distrutti, preservare ad ogni costo il livello di benessere acquisito, non esitano a ricorrere alle armi.
D'altronde il protagonismo militare ha sempre caratterizzato la vita dello Stato unitario, dai tempi dei Savoia ad oggi, quasi che l'istituzione militare, con la sua retorica patriottarda, i suoi riti, le sue cerimonie, rappresenti l'unico cemento che unisca questo paese fatto di tanti paesi. E quando sentiamo D'Alema affermare la necessità di rimanere in Afganistan perché "se non ci fossimo più non potremmo più avere diritto di esercitare il nostro peso nella comunità internazionale" ci viene in mente il Mussolini della necessità di un pugno di morti da gettare sul tavolo della pace all'indomani della guerra alla Francia, e quando vediamo Bertinotti spellarsi le mani alla sfilata del 2 giugno o lo sentiamo dire – lui che si proclama nonviolento – che la Folgore è la vetrina della nazione, pensiamo che non ci sia più un minuto da perdere. Occorre andare oltre Bush, occorre inchiodare il governo Prodi alle sue responsabilità: quelle dell'aumento delle spese militari in una finanziaria che ha significato sacrifici per i lavoratori e tagli ai servizi sociali, quelle delle missioni "umanitarie e di pace" che nascondono politiche di guerra e di rapina.
Contro la guerra ci si può e ci si deve opporre: ne va del futuro dell'umanità. Ribellarsi è giusto, anzi indispensabile. Se non ci si ribella all'apparente inesorabilità dell'ingranaggio bellico, non ci sarà futuro per qualsiasi prospettiva di liberazione umana e sociale.
Rifiutarsi alla guerra vuol dire rendere visibile il proprio rifiuto a delegare a chiunque ogni aspetto della propria vita. Non si può sconfiggere il mostro della guerra se non si distrugge quello che lo genera: il potere codificato nella struttura statale e costruito sulla gerarchia e sul principio di delega. Ogni azione contro la guerra rimane sterile se non è costruita sull'antistatalismo e, conseguentemente, sull'antimilitarismo. Non comprendere questo ha avuto come conseguenza il sostegno di gran parte del movimento "contro la guerra" all'elezione del governo Prodi, quello stesso governo che mantiene 7700 soldati all'estero, che ha stanziato 12 miliardi e 400 milioni circa di euro per le forze armate e poco più di un miliardo per le missioni all'estero, che partecipa alla costruzione di nuove armi micidiali come gli F35, che acconsente alla costruzione di nuove basi militari. Noi manifesteremo a Roma anche tutta la nostra opposizione ad ogni logica elettoralista, compromissoria e manipolatoria, che favorisce la sopraffazione di quanti chiedono pace e ottengono solo demagogia ed immobilismo, così come affermeremo la nostra ripulsa verso ogni riproposizione di soggetti politici che cercano la propria legittimazione nei movimenti di lotta.
Sostenendo le lotte popolari e di base, dalla Val Susa a Vicenza, da Scanzano a Serre, la nostra azione va in tutt'altra direzione, quella delle lotte sociali e della loro autorganizzazione solidale, autonoma da gerarchie ideologiche e stataliste. Contro tutti gli eserciti, contro tutte le guerre. Questo diremo a Roma a mister Bush ed al signor Prodi.

Max.Var.

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