Le pagine dei quotidiani nazionali sono piene di articoli sulla crisi
della politica, intesa come disaffezione di massa dalle istituzioni e
dai partiti, costosi e famelici aggregati di professionisti che campano
di quello che è ormai a tutti gli effetti un lavoro, cioè
la gestione di un potere piccolo o grande che sia, utile a piazzare e
mantenere famiglie e famigli. Della politica si denuncia il costo
eccessivo, dovuto, si dice, al gran numero di soggetti facenti parte
delle assemblee elettive, dal parlamento ai consigli di circoscrizione.
Un poco in sordina si parla anche del gran numero di consigli di
amministrazione di società partecipate con denaro pubblico,
organi in cui siedono politici locali e famigli di politici locali:
queste società dovrebbero gestire i servizi pubblici con criteri
anche manageriali, dato che il pubblico, da solo, non sarebbe capace di
efficienza ed il privato, si sa, è efficienza e profitto. I
partiti e la politica sarebbero un gran baraccone costoso e
autoreferenziale, così come tutto ciò che è
pubblico. La ricetta è semplice: più potere ai soggetti
che governano; meno pubblico, più privato. Su questa analisi e
sulla diagnosi c'è convergenza tra vecchio governo e buona parte
di quello nuovo. Tanto è vero che la riforma costituzionale
già approvata dal governo Berlusconi e bocciata dal referendum
popolare, piace al neonato Pd, perché consegna a chi governa
enormi poteri. Se riuscisse il colpo di una legge elettorale in senso
maggioritario a doppio turno che costringesse i partiti minori ad
aggregarsi con un soggetto più consistente, a far convogliare i
voti su candidati moderati capaci di raccogliere voti sia che stiano da
una parte che dall'altra, il gioco sarebbe fatto. La democrazia
rappresentativa sanziona la autonomia dei rappresentanti, ceto
partitico-sindacale di tecnici cui è demandato il governo
dell'esistente. Non c'è infatti orizzonte capace di offrire lo
spazio per una progettualità che abbia come obiettivo la
modifica dei rapporti di forza nella società e nel mondo.
Meglio, l'unico orizzonte che ci si presenta è quello dei
cosiddetti diritti universali, da esportare a mano armata, e dei
diritti universali vengono privilegiati i diritti politici quali il
voto che, preso in sé, senza alcuna rimessa in discussione dei
rapporti tra capitale e lavoro e degli assetti di potere consolidati,
resta un feticcio. Così non stupisce che centralità del
voto e indifferenza dei ceti partitico-sindacali alla disaffezione da
parte dei rappresentati vadano di pari passo. Maggiore è
l'enfasi sulla libertà di scelta data dall'elezione diretta di
chi governerà e maggiore è lo scollamento tra governanti
e governati e l'irresponsabilità dei primi. Maggiore è
l'ampiezza del potere delegato, maggiore è l'autonomia di questo
dal delegante. Si vede bene, quindi, come il gran cianciare di crisi
della politica sia il punto di passaggio mediatico ed ideologico per
una maggior concetrazione del potere, nel momento in cui si fa la mossa
di consegnare la scelta decisiva, appunto con il voto, agli elettori di
un sistema ad elezione diretta del capo del governo. Non manca molto a
che il modello di elezione di sindaci e presidenti di regioni e
province sarà esteso alle elezioni per il governo nazionale, con
svuotamento di tutte le assemblee legislative. Del resto, il difetto
sta nel manico. Ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi non
è un accidente ed una degenerazione del sistema rappresentativo,
ma suo coerente sviluppo. La circostanza che un sindacato o un partito,
un gruppo che comunque accumuli un potere tenda ad autoperpetrarsi con
ogni mezzo e ad aumentare la propria potenza, non può stupire. I
rappresentanti tendono ad autonomizzarsi, a divenire autoreferenziali,
a costruire una rete di rapporti e di potere tale da consentire loro di
essere indipendenti dai rappresentati, di vivere di vita propria. In
questo modo potranno ridistribuire parte del potere accumulato in
termini di servizi e sicurezza ed aumentare quindi la propria
capacità di attrarre consenso e altro potere. Soprattutto in una
congiuntura in cui la società si impoverisce ed è indotta
a credersi più insicura. In questo senso, non è vero che
una maggior distribuzione del potere con un espandersi delle assemblee
rappresentative vada necessariamente nella direzione di una maggiore
libertà, così come non è vero che a livello locale
sia i più gestibile un rapporto con il potere rappresentativo
perché esso sarebbe più vicino alla base della
società. In discussione non c'è il fatto che una
collettività si dia modi, luoghi, regole di funzionamento o che
all'interno di questa collettività non tutti facciano tutto, ma
ci sia una diversità di funzioni. Il problema è il potere
della collettività e se esso resti tale o si concentri in alcuni
dei suoi membri che hanno potere decisionale. Da questo punto di vista,
il rapporto degli anarchici con le istituzioni rappresentative è
necessariamente problematico. Per quanto infatti, gli organismi locali
siano vicini alla base della piramide politico-istituzionale, in
questione è proprio quel primo scarto, quella differenza, tra
rappresentati e rappresentanti. E non certo quando si va tutti d'amore
e d'accordo, ma nel momento in cui i rappresentanti, in quanto facenti
parte della citata piramide politico-istituzionale, decidano di
rispondere a chi sta loro sopra ed inizino a trattare i rappresentati
come coloro che stanno sotto. Allora il cuore della faccenda sta nella
possibilità o meno di decidere e mettere in pratica le
decisioni, cioè nella forza che una collettività ha vuoi
di essere soggetto di decisione, vuoi di impedire di diventare oggetto
di decisione altrui. Una forza del genere non è una
qualità intrinseca a qualsiasi collettività, ma frutto di
un percorso o di un accidente, giacché la forza può
accumularsi per lento sviluppo o improvvisamente concentrarsi: non
c'è un solo modo attraverso il quale le donne e gli uomini
prendono in mano il loro destino. Di certo questa è una scelta
politica e di governo della propria esistenza ed è una scelta
individuale e collettiva allo stesso tempo. Il posto degli anarchici
è nei luoghi in cui questa politica e questo governo si fanno
scelta quotidiana, maturano, crescono, lottano, si affermano.
W.B.