Umanità Nova, n.21 del 17 giugno 2007, anno 87

Anarchici & Politica-7
Che fare? E come?


Sul numero 39 del 2006 di UN con il titolo "Diserzione, passione, conflitto, sperimentazione" e sul numero 2 di quest'anno con il titolo "Il politico e il sociale" abbiamo pubblicato alcuni testi dedicati al tema "Anarchici & politica". Gli articoli sono del nostro collaboratore Salvo Vaccaro che ci aveva proposto di iniziare un dibattito su questo tema, suddividendolo intorno a varie aree tematiche. Sul numero 3 è comparso il contributo di Walter Siri "Più società meno politica".
La discussione è proseguita sul numero 5 con un pezzo di Massimo Varengo "Anarchismo ed autorganizzazione". Sul numero 9 vi abbiamo proposto "Gabbie identitarie e seduzioni libertarie" di Salvo Vaccaro. Sul numero 16 è comparso "Dei tempi e delle storie" di Simone Bisacca.
Su questo numero vi proponiamo il testo di Domenico Liguori "Che fare? E come?"
Ricordiamo a chi se li fosse persi che i precedenti interventi al dibattito sono on line sul sito di UN <http://www.ecn.org/uenne/>

Partiamo dal titolo del dibattito. A primo acchito i due termini, anarchici e politica, è vero, possono sembrare antinomici. Vediamo il perché iniziando con l'analizzare, fra i due, il secondo.
Dire politica per come l'operato delle istituzioni deputate all'esercizio della stessa insegna, è come dire raggirare i propri simili con intrallazzi protesi alla cura dei propri interessi a danno degli interessi altrui, lotta per il potere, esercizio del potere per legittimare sfruttamento, oppressione, guerra.
Dire anarchici, per coloro che nell'anarchismo si riconoscono, è il rifiuto in blocco di ciò che è la politica nell'ambito della società del dominio ed il proiettare invece l'azione rivoluzionaria, della quale per l'appunto l'anarchismo è il mezzo, verso l'anarchia, ossia verso un vivere sociale in libertà, basato sul libero accordo dapprima fra individui e poi tra individui federati nell'ambito di un'associazione, tra associazioni federate nell'ambito di una comunità, tra comunità federate nell'ambito di un territorio geografico provinciale, regionale, etc.
Da un simile angolo di lettura i due termini, anarchici e politica, è chiaro che risultino antinomici, ed è per questo motivo che a non pochi di noi il metterli uno accanto all'altro non fa certamente piacere, ma addirittura riluttanza. Una riluttanza, se vogliamo, provata anche dal sottoscritto e dalle compagne/i anarchici di Spezzano, tanto che come definizione hanno preferito quella di anarchismo sociale, definizione del resto cara a tanti altri anarchici nonché alla Federazione Anarchica italiana.
Comunque, se volessimo andare a fondo delle motivazioni di tale definizione, il discorrere ci porterebbe altrove e dritti alla seconda parte del presente intervento. Perciò, ritornando alla questione dei termini "anarchici e politica" proviamo a leggerli da un angolo diverso.
In molti vocabolari la prima definizione che si da del termine politica è quello che attiene all'organizzazione di uno stato per poi elencare altre definizioni che meglio lo specificano nelle sue varie sfaccettature. Ora, se ad "organizzazione dello stato" sostituissimo "organizzazione della società", il termine politica ritengo non dovrebbe più farci riluttanza, ma semmai piacere, in quanto delineerebbe il nostro far politica, che osteggia il dominio, dal far politica di altri che invece proprio nel dominio o per il dominio si esplica. Infatti, stato e società per noi non sono sinonimi come lo sono invece per coloro che nel dominio si riconoscono e il nostro agire politico e rivoluzionario coincide con la società, o meglio con la costruzione in prospettiva di un'organizzazione sociale in cui lo stato e, dunque, l'insieme delle istituzioni gerarchiche non abbiano più  ragione d'esserci.
Ciò premesso, ritengo comunque che il dibattito, ospitato dalle pagine di UN, ci stimoli soprattutto a riaprire una discussione sul come e cosa fare da anarchici nell'oggi. Pertanto, è su questo che intendo ora esprimermi con alcune riflessioni suggeritemi, sempre dal dibattito, rispetto alle linee guida che dovrebbero caratterizzare il nostro essere contro la società del dominio e per la costruzione di una società che in molti amiamo definire altra.
Declinare la politica in altro modo e su un altro versante, si legge in uno dei due interventi di apertura del dibattito, ed a mio modesto avviso, è questo il nocciolo della questione verso cui indirizzare il confronto in maniera plurale. In molti amiamo ricordare e ricordarci che l'anarchismo ha una duplice funzione, una distruttiva e una costruttiva, ma io amo anche sottolineare che di queste due funzioni, mentre la distruttiva si lega al come determinare il crollo della società del dominio, la costruttiva invece al come procedere verso la società altra, tutte due però unite nell'azione e non suddivise in azioni separate… salvo che non si voglia continuare a credere alla romantica rivoluzione distruttrice del vecchio e levatrice del nuovo, quando invece i fatti ci hanno più volte dimostrato che una rivoluzione se non porta con sé il mondo nuovo, si risolve semplicemente nella presa del palazzo da parte di altri che a potere sostituiscono potere.
Già il vecchio Malatesta, quando la bestia fascista cominciava a mostrarsi trionfante, aprì nelle pagine di "Pensiero e Volontà" una riflessione che rivisitando in modo critico i suoi cinquanta e più anni di militanza, coincidenti con quasi l'intera storia dell'anarchismo di allora, invitava gli anarchici a riflettere sul come e cosa fare per giungere alla rivoluzione nonché sul come ricostruire la società in senso libertario nel dopo rivoluzione. Questa eredità malatestiana, meglio nota come gradualismo rivoluzionario, forse non ha ricevuto dai posteri l'attenzione che si sarebbe meritata, ma non è stata neanche ignorata. Infatti, se oggi non pochi riteniamo che per giungere alla società anarchica non serve aspettare la rivoluzione ineluttabile ma un'azione rivoluzionaria quotidiana che assuma l'anarchismo come metodo iniziando a preparare già nell'oggi la società altra che dovrà sostituirsi alla società del dominio, vuol dire che considerando le riflessioni malatestiane ci siamo adoperati ad arricchirle andando oltre ed offrendo ulteriori stimoli, anche e soprattutto alla luce dei nuovi orizzonti che la società del dominio iniziava a tracciare, sin dal giorno dopo dell'abbattimento del muro di Berlino.

"Questo non è l'unico mondo possibile"
Oggi, a seguito del crollo dei regimi cosiddetti a "socialismo reale", sembra che l'aspirazione verso una società altra anche rispetto a quella dei regimi capitalistici non alberghi solo nell'immaginario degli anarchici ma pure nell'immaginario di quanti opponendosi al dominio lottano e manifestano attraverso i metodi dell'autorganizzazione, dell'autogestione, dell'azione diretta.
"Questo non è l'unico mondo possibile", "Noi vogliamo cambiare questo mondo" così si legge all'interno di un documento congressuale del 1994 della FAI, cinque/sei anni dopo in molte piazze del mondo erano in milioni a gridare "un altro mondo è possibile".
Molti fra noi, però, non valorizzando l'anima spontanea di questo grande movimento che alla globalizzazione dei potenti della terra opponeva la riscoperta dell'agire locale, della democrazia diretta, della politica dal basso, hanno lasciato campo libero a quelle forze istituzionali che si ammantavano allora dall'opposizione ed oggi dal governo di un falso radicalismo. Queste ultime, intanto, da lì a breve, mentre trasformavano, anche con l'ausilio mediatico, le genuine aspirazioni rivoluzionarie di cui il movimento si faceva portatore, in compatibilità riformista all'interno del sistema di dominio, inalberavano la bandiera della democrazia partecipativa di Porto Alegre.
Ancora una volta abbiamo preferito disertare l'arena, forse perché ancora una volta abbiamo confuso coloro che nell'arena potevano essere i nostri interlocutori, ossia i lavoratori, gli sfruttati, gli oppressi, la cittadinanza attiva con coloro che operavano invece le loro basse manovre e strumentalizzazioni politiche filoistituzionali su tutti questi soggetti. Ancora una volta, forse perché convinti che la politica è solo e sempre politica di palazzo, ci siamo negati al confronto e a dare il nostro contributo libertario alla voglia di politica dal basso che albergava in molti soggetti del movimento.
Alcuni di noi si sono impegnati in qualche locale social forum, in molti abbiamo partecipato con i nostri spezzoni rossoneri alle manifestazioni cosiddette oceaniche, ma ancora una volta, come si suol dire, abbiamo perso il treno… quel treno che forse ci avrebbe permesso di costruire, insieme ai referenti di base con i quali avremmo scoperto di avere reciproche affinità, organismi libertari che ci avrebbero permesso di promuovere politica dal basso, politica autogestionaria nei luoghi in cui viviamo e lavoriamo. Comunque, dato che i movimenti non vengono partoriti a tavolino, naturalmente neppure dagli anarchici, ma nascono dalle problematiche sociali, anche se il cosiddetto movimento dei movimenti si è gradualmente affievolito nel suo proiettarsi complessivo contro i potenti della Terra, l'eredità lasciata, ossia la voglia di politica dal basso continua per fortuna a rivivere con sfumature variegate in molte zone del globo, dal Messico all'Italia passando dalla Val di Susa a Vicenza, senza dimenticarci di Scanzano e di tante altre situazioni meno eclatanti, ma senza dubbio degne di considerazione.
Riflettere criticamente su tutto ciò penso che ci tornerebbe alquanto utile, soprattutto se lo facessimo ponendoci una serie di quesiti: di fronte a queste esplosioni dal basso, geograficamente delimitate, di protagonismo popolare contro le iniquità del dominio come vogliamo porci? Con atti di testimonianza della nostra solidarietà? Con l'adesione e la partecipazione alle mobilitazioni di massa con i nostri spezzoni rossoneri? Col lasciare ai compagni anarchici presenti nel luogo delle mobilitazioni popolari la facoltà di saper cogliere i frutti all'interno dei comitati di base autorganizzati e autogestiti? col farne tesoro interessandoci delle problematiche sociali all'interno delle nostre comunità per estendere ovunque non solo denunce sociali contro le ignominie del potere costituito, ma proposte altre che mirino alla costruzione di organismi popolari sulle questioni comunitarie per cominciare ad estendere, ovunque siamo presenti, la politica dal basso da contrapporre alla politica di palazzo? Io propenderei per la riflessione, soprattutto, sull'ultimo quesito, senza nulla togliere anche all'importanza degli altri quesiti. Insomma, ritengo che siano tre momenti che possono, devono e necessita che camminino insieme.

Demolire dominio costruendo libertà
Fra gli anarchici se tutti concordano sul rifiuto del dominio, sulla necessità di demolirlo e sulla affermazione di una società libertaria, non tutti concordano invece sul come procedere.
Nell'anarchismo sociale, comunque, questi due aspetti sono almeno contemplati ed entrambi caratterizzano l'agire di quanti ad esso si richiamano e approfondirne la discussione potrà senza dubbio contribuire ad aprirci l'orizzonte verso nuovi approdi in cui poter cogliere le affinità, confrontare le differenze e magari procedere verso una sintesi che ci permetta un'incisiva azione comune.
Un'azione protesa a rendere l'anarchismo visibile non solo come proposta di denuncia delle iniquità sociali, propaganda dei valori e dei principi, ma soprattutto come proposta pratica per un'alternativa rivoluzionaria all'esistente.
È vero in tanti ci troviamo di già nei luoghi di combattimento con proposte altre che si oppongono all'operato del palcoscenico istituzionale che legifera, sfrutta, opprime, reprime ma comunque "permette" la conflittualità sociale ritenendola necessaria alla dialettica democratica con l'obiettivo di contenerla in una gabbia di grida e sfoghi che non mettano però in discussione le fondamenta della piramide sociale. Noi invece è proprio la piramide sociale che mettiamo in discussione. Non a caso siamo portatori di una socialità nuova, altra da quella delle società di stato. Ma in quale modo la mettiamo in atto? come la comunichiamo a coloro che vediamo come nostri potenziali compagni di lotta, ossia agli oppressi e sfruttati? Come procediamo per costruirla insieme?
Siamo in molti ad esprimerci nel sociale, a stimolare una conflittualità che non possa essere né ingabbiata e né strumentalizzata, un conflitto libero e permanente che tenda alla demolizione della gerarchia sociale rendendosi artefice di sperimentazioni autogestionarie; spesso e volentieri, però, privilegiando il nostro settore d'intervento ci dimentichiamo invece di come tutti i settori siano l'uno all'altro legati, perché tutti insieme compongono il grande corpo del dominio. C'è chi privilegia l'intervento contro il militarismo, chi quello contro il razzismo, chi quello contro la religione e il clericalismo, e poi c'è addirittura chi è convinto che rispetto a tutti questi settori e ai tanti altri non menzionati il ruolo centrale appartenga solo e semplicemente al mondo del lavoro. A parere mio, questo modo di porci comporta un grossolano errore, su cui vorrei tanto discutessimo. Io ritengo che non esista nella società un settore che primeggi e determini gli altri, semmai a primeggiare su tutti è l'organizzazione piramidale della società di cui ognuno di questi settori, in quanto istituzione ramificata nel territorio, è uno specchio fedele; organizzazione piramidale che dovremmo minare con sperimentazioni pratiche, anche perché esiste il luogo dove poterlo fare, un luogo dove tutti questi settori convergono in piccolo come specchio della piramide… questo luogo è il locale, sono le comunità in cui ognuno di noi vive e lavora.
La nostra azione deve saper minare la piramide del potere economico, politico, amministrativo, all'interno delle comunità. La nostra azione deve espropriare alle istituzioni gerarchiche il privilegio della politica, la facoltà di poter decidere sulle questioni sociali comunitarie, per riportarle al loro luogo naturale, nelle realtà di lavoro, nel quartiere, nelle strade, nelle piazze, nell'associazionismo di base e libertario di cui dovremmo farci ovunque promotori per poter decidere ognuno sul proprio futuro e tutti insieme del futuro comunitario.
Dobbiamo interessarci alle questioni comunitarie stimolando gli sfruttati e gli oppressi a rifiutare la delega, ad appropriarsi dell'azione diretta, a dire no alle decisioni di un pugno di persone sulle nostre teste, allo sfruttamento, alle devastazioni ambientali, alla guerra, al razzismo. Tanti no che nel loro insieme compongano il grande NO alla società gerarchica che giorno per giorno dobbiamo demolire rendendoci artefici di laboratori di socialità nuova, di laboratori comunalisti libertari. 

Domenico Liguori

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