Sul numero 39 del 2006 di UN con il
titolo "Diserzione, passione, conflitto, sperimentazione" e sul numero
2 di quest'anno con il titolo "Il politico e il sociale" abbiamo
pubblicato alcuni testi dedicati al tema "Anarchici & politica".
Gli articoli sono del nostro collaboratore Salvo Vaccaro che ci aveva
proposto di iniziare un dibattito su questo tema, suddividendolo
intorno a varie aree tematiche. Sul numero 3 è comparso il
contributo di Walter Siri "Più società meno politica".
La discussione è proseguita
sul numero 5 con un pezzo di Massimo Varengo "Anarchismo ed
autorganizzazione". Sul numero 9 vi abbiamo proposto "Gabbie
identitarie e seduzioni libertarie" di Salvo Vaccaro. Sul numero 16
è comparso "Dei tempi e delle storie" di Simone Bisacca.
Su questo numero vi proponiamo il testo di Domenico Liguori "Che fare? E come?"
Ricordiamo a chi se li fosse persi
che i precedenti interventi al dibattito sono on line sul sito di UN
<http://www.ecn.org/uenne/>
Partiamo dal titolo del dibattito. A primo acchito i due termini,
anarchici e politica, è vero, possono sembrare antinomici.
Vediamo il perché iniziando con l'analizzare, fra i due, il
secondo.
Dire politica per come l'operato delle istituzioni deputate
all'esercizio della stessa insegna, è come dire raggirare i
propri simili con intrallazzi protesi alla cura dei propri interessi a
danno degli interessi altrui, lotta per il potere, esercizio del potere
per legittimare sfruttamento, oppressione, guerra.
Dire anarchici, per coloro che nell'anarchismo si riconoscono, è
il rifiuto in blocco di ciò che è la politica nell'ambito
della società del dominio ed il proiettare invece l'azione
rivoluzionaria, della quale per l'appunto l'anarchismo è il
mezzo, verso l'anarchia, ossia verso un vivere sociale in
libertà, basato sul libero accordo dapprima fra individui e poi
tra individui federati nell'ambito di un'associazione, tra associazioni
federate nell'ambito di una comunità, tra comunità
federate nell'ambito di un territorio geografico provinciale,
regionale, etc.
Da un simile angolo di lettura i due termini, anarchici e politica,
è chiaro che risultino antinomici, ed è per questo motivo
che a non pochi di noi il metterli uno accanto all'altro non fa
certamente piacere, ma addirittura riluttanza. Una riluttanza, se
vogliamo, provata anche dal sottoscritto e dalle compagne/i anarchici
di Spezzano, tanto che come definizione hanno preferito quella di
anarchismo sociale, definizione del resto cara a tanti altri anarchici
nonché alla Federazione Anarchica italiana.
Comunque, se volessimo andare a fondo delle motivazioni di tale
definizione, il discorrere ci porterebbe altrove e dritti alla seconda
parte del presente intervento. Perciò, ritornando alla questione
dei termini "anarchici e politica" proviamo a leggerli da un angolo
diverso.
In molti vocabolari la prima definizione che si da del termine politica
è quello che attiene all'organizzazione di uno stato per poi
elencare altre definizioni che meglio lo specificano nelle sue varie
sfaccettature. Ora, se ad "organizzazione dello stato" sostituissimo
"organizzazione della società", il termine politica ritengo non
dovrebbe più farci riluttanza, ma semmai piacere, in quanto
delineerebbe il nostro far politica, che osteggia il dominio, dal far
politica di altri che invece proprio nel dominio o per il dominio si
esplica. Infatti, stato e società per noi non sono sinonimi come
lo sono invece per coloro che nel dominio si riconoscono e il nostro
agire politico e rivoluzionario coincide con la società, o
meglio con la costruzione in prospettiva di un'organizzazione sociale
in cui lo stato e, dunque, l'insieme delle istituzioni gerarchiche non
abbiano più ragione d'esserci.
Ciò premesso, ritengo comunque che il dibattito, ospitato dalle
pagine di UN, ci stimoli soprattutto a riaprire una discussione sul
come e cosa fare da anarchici nell'oggi. Pertanto, è su questo
che intendo ora esprimermi con alcune riflessioni suggeritemi, sempre
dal dibattito, rispetto alle linee guida che dovrebbero caratterizzare
il nostro essere contro la società del dominio e per la
costruzione di una società che in molti amiamo definire altra.
Declinare la politica in altro modo e su un altro versante, si legge in
uno dei due interventi di apertura del dibattito, ed a mio modesto
avviso, è questo il nocciolo della questione verso cui
indirizzare il confronto in maniera plurale. In molti amiamo ricordare
e ricordarci che l'anarchismo ha una duplice funzione, una distruttiva
e una costruttiva, ma io amo anche sottolineare che di queste due
funzioni, mentre la distruttiva si lega al come determinare il crollo
della società del dominio, la costruttiva invece al come
procedere verso la società altra, tutte due però unite
nell'azione e non suddivise in azioni separate… salvo che non si
voglia continuare a credere alla romantica rivoluzione distruttrice del
vecchio e levatrice del nuovo, quando invece i fatti ci hanno
più volte dimostrato che una rivoluzione se non porta con
sé il mondo nuovo, si risolve semplicemente nella presa del
palazzo da parte di altri che a potere sostituiscono potere.
Già il vecchio Malatesta, quando la bestia fascista cominciava a
mostrarsi trionfante, aprì nelle pagine di "Pensiero e
Volontà" una riflessione che rivisitando in modo critico i suoi
cinquanta e più anni di militanza, coincidenti con quasi
l'intera storia dell'anarchismo di allora, invitava gli anarchici a
riflettere sul come e cosa fare per giungere alla rivoluzione
nonché sul come ricostruire la società in senso
libertario nel dopo rivoluzione. Questa eredità malatestiana,
meglio nota come gradualismo rivoluzionario, forse non ha ricevuto dai
posteri l'attenzione che si sarebbe meritata, ma non è stata
neanche ignorata. Infatti, se oggi non pochi riteniamo che per giungere
alla società anarchica non serve aspettare la rivoluzione
ineluttabile ma un'azione rivoluzionaria quotidiana che assuma
l'anarchismo come metodo iniziando a preparare già nell'oggi la
società altra che dovrà sostituirsi alla società
del dominio, vuol dire che considerando le riflessioni malatestiane ci
siamo adoperati ad arricchirle andando oltre ed offrendo ulteriori
stimoli, anche e soprattutto alla luce dei nuovi orizzonti che la
società del dominio iniziava a tracciare, sin dal giorno dopo
dell'abbattimento del muro di Berlino.
"Questo non è l'unico mondo possibile"
Oggi, a seguito del crollo dei regimi cosiddetti a "socialismo reale",
sembra che l'aspirazione verso una società altra anche rispetto
a quella dei regimi capitalistici non alberghi solo nell'immaginario
degli anarchici ma pure nell'immaginario di quanti opponendosi al
dominio lottano e manifestano attraverso i metodi
dell'autorganizzazione, dell'autogestione, dell'azione diretta.
"Questo non è l'unico mondo possibile", "Noi vogliamo cambiare
questo mondo" così si legge all'interno di un documento
congressuale del 1994 della FAI, cinque/sei anni dopo in molte piazze
del mondo erano in milioni a gridare "un altro mondo è
possibile".
Molti fra noi, però, non valorizzando l'anima spontanea di
questo grande movimento che alla globalizzazione dei potenti della
terra opponeva la riscoperta dell'agire locale, della democrazia
diretta, della politica dal basso, hanno lasciato campo libero a quelle
forze istituzionali che si ammantavano allora dall'opposizione ed oggi
dal governo di un falso radicalismo. Queste ultime, intanto, da
lì a breve, mentre trasformavano, anche con l'ausilio mediatico,
le genuine aspirazioni rivoluzionarie di cui il movimento si faceva
portatore, in compatibilità riformista all'interno del sistema
di dominio, inalberavano la bandiera della democrazia partecipativa di
Porto Alegre.
Ancora una volta abbiamo preferito disertare l'arena, forse
perché ancora una volta abbiamo confuso coloro che nell'arena
potevano essere i nostri interlocutori, ossia i lavoratori, gli
sfruttati, gli oppressi, la cittadinanza attiva con coloro che
operavano invece le loro basse manovre e strumentalizzazioni politiche
filoistituzionali su tutti questi soggetti. Ancora una volta, forse
perché convinti che la politica è solo e sempre politica
di palazzo, ci siamo negati al confronto e a dare il nostro contributo
libertario alla voglia di politica dal basso che albergava in molti
soggetti del movimento.
Alcuni di noi si sono impegnati in qualche locale social forum, in
molti abbiamo partecipato con i nostri spezzoni rossoneri alle
manifestazioni cosiddette oceaniche, ma ancora una volta, come si suol
dire, abbiamo perso il treno… quel treno che forse ci avrebbe
permesso di costruire, insieme ai referenti di base con i quali avremmo
scoperto di avere reciproche affinità, organismi libertari che
ci avrebbero permesso di promuovere politica dal basso, politica
autogestionaria nei luoghi in cui viviamo e lavoriamo. Comunque, dato
che i movimenti non vengono partoriti a tavolino, naturalmente neppure
dagli anarchici, ma nascono dalle problematiche sociali, anche se il
cosiddetto movimento dei movimenti si è gradualmente affievolito
nel suo proiettarsi complessivo contro i potenti della Terra,
l'eredità lasciata, ossia la voglia di politica dal basso
continua per fortuna a rivivere con sfumature variegate in molte zone
del globo, dal Messico all'Italia passando dalla Val di Susa a Vicenza,
senza dimenticarci di Scanzano e di tante altre situazioni meno
eclatanti, ma senza dubbio degne di considerazione.
Riflettere criticamente su tutto ciò penso che ci tornerebbe
alquanto utile, soprattutto se lo facessimo ponendoci una serie di
quesiti: di fronte a queste esplosioni dal basso, geograficamente
delimitate, di protagonismo popolare contro le iniquità del
dominio come vogliamo porci? Con atti di testimonianza della nostra
solidarietà? Con l'adesione e la partecipazione alle
mobilitazioni di massa con i nostri spezzoni rossoneri? Col lasciare ai
compagni anarchici presenti nel luogo delle mobilitazioni popolari la
facoltà di saper cogliere i frutti all'interno dei comitati di
base autorganizzati e autogestiti? col farne tesoro interessandoci
delle problematiche sociali all'interno delle nostre comunità
per estendere ovunque non solo denunce sociali contro le ignominie del
potere costituito, ma proposte altre che mirino alla costruzione di
organismi popolari sulle questioni comunitarie per cominciare ad
estendere, ovunque siamo presenti, la politica dal basso da
contrapporre alla politica di palazzo? Io propenderei per la
riflessione, soprattutto, sull'ultimo quesito, senza nulla togliere
anche all'importanza degli altri quesiti. Insomma, ritengo che siano
tre momenti che possono, devono e necessita che camminino insieme.
Demolire dominio costruendo libertà
Fra gli anarchici se tutti concordano sul rifiuto del dominio, sulla
necessità di demolirlo e sulla affermazione di una
società libertaria, non tutti concordano invece sul come
procedere.
Nell'anarchismo sociale, comunque, questi due aspetti sono almeno
contemplati ed entrambi caratterizzano l'agire di quanti ad esso si
richiamano e approfondirne la discussione potrà senza dubbio
contribuire ad aprirci l'orizzonte verso nuovi approdi in cui poter
cogliere le affinità, confrontare le differenze e magari
procedere verso una sintesi che ci permetta un'incisiva azione comune.
Un'azione protesa a rendere l'anarchismo visibile non solo come
proposta di denuncia delle iniquità sociali, propaganda dei
valori e dei principi, ma soprattutto come proposta pratica per
un'alternativa rivoluzionaria all'esistente.
È vero in tanti ci troviamo di già nei luoghi di
combattimento con proposte altre che si oppongono all'operato del
palcoscenico istituzionale che legifera, sfrutta, opprime, reprime ma
comunque "permette" la conflittualità sociale ritenendola
necessaria alla dialettica democratica con l'obiettivo di contenerla in
una gabbia di grida e sfoghi che non mettano però in discussione
le fondamenta della piramide sociale. Noi invece è proprio la
piramide sociale che mettiamo in discussione. Non a caso siamo
portatori di una socialità nuova, altra da quella delle
società di stato. Ma in quale modo la mettiamo in atto? come la
comunichiamo a coloro che vediamo come nostri potenziali compagni di
lotta, ossia agli oppressi e sfruttati? Come procediamo per costruirla
insieme?
Siamo in molti ad esprimerci nel sociale, a stimolare una
conflittualità che non possa essere né ingabbiata e
né strumentalizzata, un conflitto libero e permanente che tenda
alla demolizione della gerarchia sociale rendendosi artefice di
sperimentazioni autogestionarie; spesso e volentieri, però,
privilegiando il nostro settore d'intervento ci dimentichiamo invece di
come tutti i settori siano l'uno all'altro legati, perché tutti
insieme compongono il grande corpo del dominio. C'è chi
privilegia l'intervento contro il militarismo, chi quello contro il
razzismo, chi quello contro la religione e il clericalismo, e poi
c'è addirittura chi è convinto che rispetto a tutti
questi settori e ai tanti altri non menzionati il ruolo centrale
appartenga solo e semplicemente al mondo del lavoro. A parere mio,
questo modo di porci comporta un grossolano errore, su cui vorrei tanto
discutessimo. Io ritengo che non esista nella società un settore
che primeggi e determini gli altri, semmai a primeggiare su tutti
è l'organizzazione piramidale della società di cui ognuno
di questi settori, in quanto istituzione ramificata nel territorio,
è uno specchio fedele; organizzazione piramidale che dovremmo
minare con sperimentazioni pratiche, anche perché esiste il
luogo dove poterlo fare, un luogo dove tutti questi settori convergono
in piccolo come specchio della piramide… questo luogo è
il locale, sono le comunità in cui ognuno di noi vive e lavora.
La nostra azione deve saper minare la piramide del potere economico,
politico, amministrativo, all'interno delle comunità. La nostra
azione deve espropriare alle istituzioni gerarchiche il privilegio
della politica, la facoltà di poter decidere sulle questioni
sociali comunitarie, per riportarle al loro luogo naturale, nelle
realtà di lavoro, nel quartiere, nelle strade, nelle piazze,
nell'associazionismo di base e libertario di cui dovremmo farci ovunque
promotori per poter decidere ognuno sul proprio futuro e tutti insieme
del futuro comunitario.
Dobbiamo interessarci alle questioni comunitarie stimolando gli
sfruttati e gli oppressi a rifiutare la delega, ad appropriarsi
dell'azione diretta, a dire no alle decisioni di un pugno di persone
sulle nostre teste, allo sfruttamento, alle devastazioni ambientali,
alla guerra, al razzismo. Tanti no che nel loro insieme compongano il
grande NO alla società gerarchica che giorno per giorno dobbiamo
demolire rendendoci artefici di laboratori di socialità nuova,
di laboratori comunalisti libertari.
Domenico Liguori