Umanità Nova, n.22 del 25 giugno 2007, anno 87

Tav: il governo forza l'andatura
I No Tav resistono


La partita sul Tav, il treno ad alta velocità tra Torino e Lyon, è cruciale per il governo, che, dopo la crisi "afgana" che ne ha determinato un'ulteriore stretta a destra, ha inserito il Tav tra i 12 punti prioritari del programma. Sanità, scuola, trasporti per i pendolari, misure contro l'inquinamento ed il riscaldamento climatico non vi compaiono, ma il Tav sì. Perché tanto accanimento? La retorica del progresso, dell'Europa che diventa sempre più lontana, la piccola Italia chiusa dall'arco alpino ed irrimediabilmente tagliata fuori dal grande mercato, dalla circolazione frenetica di merci, continua ad andare alla grande tra gli opinionisti e i gli "esperti" prezzolati.

Ma una cosa è la propaganda, volta a costruire consenso intorno alle proprie scelte, altra cosa sono i fatti. L'Osservatorio tecnico guidato commissario straordinario per la Torino Lione Mario Virano (non vi curate del conflitto di interessi: per quest'uomo è un'abitudine), dopo mesi di "stretto confronto", ossia di estenuante trattativa su cifre e valutazioni sui flussi, ha dovuto ammettere che la linea "storica", ossia l'attuale linea internazionale tra Torino e Lione, è ben lungi dall'aver raggiunto la saturazione. Questo è quanto emergerebbe dal primo quaderno prodotto dall'Osservatorio, ossia il tavolo tecnico inventato all'indomani della rivolta del dicembre 2005 per fermare la rivolta dei No Tav. Da questi dati sembrerebbe che una nuova linea di treni non serva. I No Tav l'hanno sempre sostenuto: chi la vuole costruire pensa soprattutto al profitto di amici e amici degli amici. Ferdinando Imposimato in un libro di ormai diversi anni fa, definì il Tav, allora solo un progetto nell'intera penisola, il futuro di tangentopoli, ossia un mezzo legale per sgraffignare montagne di denaro pubblico in modo "pulito", senza correre rischi. Poi è venuta la legge obbiettivo, ossia la legge che consente di aggirare molte normative in difesa dell'ambiente, della sicurezza, dei lavoratori. In base a tale legge un'opera definita "prioritaria", di interesse generale non è soggetta agli stessi vincoli e regole che invece chiunque, persino un cittadino che si voglia fare la veranda sul balcone, dovrebbe osservare. Un meccanismo perfetto. O quasi. Il Tav. dopo aver devastato mezza Italia, nel 2005 avrebbe dovuto sbarcare in Val Susa. Se non fosse stato per la resistenza popolare la devastazione di quest'angolo di nord ovest sarebbe ormai in corso. Nemmeno l'evidenza del disastro già compiuto sarebbe bastata a fermarlo. È sufficiente pensare che l'appalto per la costruzione del tunnel geognostico di Venaus, 10 km di galleria propedeutici alla costruzione del tunnel di base di 52 Km tra Venaus e S. Jean de Maurienne, era stato vinto dalla Cooperativa Cementieri e Muratori di Ravenna, le mani in pasta in metà dei lavori pubblici del paese, responsabile della devastazione del Mugello, dove – a oggi – gli 82 Km di gallerie realizzate provocando un inquinamento irreversibile oltre al taglio irrimediabile delle falde acquifere, sono state dichiarate "ammalorate". Con questo splendido toscanismo si intende dire che le gallerie, fatte un po' al risparmio, fanno acqua da tutte le parti e devono essere rifatte. 

Le "evidenze" tecniche tuttavia cozzano con la logica perversa di chi ritiene – in media governo e opposizione uniti nella lotta – che l'unico problema sia trovare il modo di fare il Tav aggirando l'opposizione della popolazione. Punto. Il resto è retorica, la vacua retorica di chi da mesi e mesi sostiene sui giornali che il movimento ormai è disponibile alla trattativa, che basta solo rispettare i necessari tempi di maturazione, e altre simili amenità.
Il buon senso dovrebbe suggerire che, una volta condivisa anche dall'Osservatorio l'opinione che l'attuale linea tra Torino e Lione basta e avanza, la questione Tav si chiuda con soddisfazione di tutti. 

Invece no. 

Da mesi le veline dei giornali preparano il terreno: scrivono che l'opposizione al Tav si è ormai smussata. Nelle ultime settimane erano arrivati al punto di fare ampie "anticipazioni" sul nuovo tracciato sul quale ormai era pronto l'accordo.
In un'intervista rilasciata al bisettimanale Valsusino "Luna Nuova" prima dell'incontro del tavolo di Palazzo Chigi (il tavolo politico che affianca quello tecnico) del 13 giugno, Mario Virano ha dichiarato che: "A nessuno sfugge che per passare alla discussione dei tracciati occorra prima un passaggio politico. (…) Il tavolo di Palazzo Chigi dovrà dirci se possiamo passare a questa discussione: che significa iniziare a parlare del 'come'". E poi ancora "Noi abbiamo aperto 'la grande area del se', cioè l'Osservatorio ha fatto in modo che si passasse dalle certezze di chi diceva No Tav e Sì Tav al confronto sulle alternative." 

In chiusura, al giornalista che chiede se i sindaci della Bassa Valle Susa saranno disposti a continuare a sedersi al tavolo, risponde "con i sindaci ho concordato quattro punti. Quando parlo con loro non mi pare che ci sia l'intenzione di non discutere del quarto punto". Il quarto punto, dopo quelli sulle potenzialità della linea attuale, sul flusso merci attraverso i valichi alpini e sul nodo di Torino, è appunto quello sui tracciati. Il "come" Tav.
Virano, il mediatore, l'esperto di pubbliche relazioni, l'uomo della vaselina come lo chiamano i No Tav, sta facendo il suo lavoro. Un lavoro sporco per il quale è lautamente pagato.
Un lavoro che non ha mancato di dare i suoi frutti, confermando le diffidenze dei Comitati No Tav, che consideravano L'Osservatorio da lui presieduto come il cavallo di troia per il Tav, lo strumento attraverso il quale si sarebbe realizzata la mediazione tecnico politica capace di imporre l'opera senza provocare una nuova insurrezione popolare.

Il 13 giugno, dopo la riunione del Tavolo politico, il cosiddetto "Tavolo di Palazzo Chigi" i giornali hanno titolato le prime pagine con la notizia che il Tav era in dirittura di arrivo, che era stato fatto l'accordo con le amministrazioni locali, che ormai era solo questione di tempo. In ogni caso, quanto premeva al governo, ossia la presentazione di un dossier per la candidatura al finanziamento europeo entro la scadenza fissata al 20 luglio dal bando UE, parrebbe cosa fatta.

Ma facciamo un passo indietro. Val la pena di rilevare come negli ultimi mesi i sindaci della Valle No Tav abbiano eluso il confronto, evitando di rendere pubblici i verbali delle loro riunioni, mal sopportando l'autonomia del movimento, che pur considerandoli parte della lotta, non si ritiene in alcun modo subordinato alle loro scelte.
Numerosi i segnali di uno scollamento progressivo tra movimento e istituzioni ci sono stati in occasione delle recenti elezioni, quando ad Avigliana, la candidata DS al comune ha visto confermata la propria poltrona ma l'astensionismo ha avuto un'impennata mai vista. La campagna elettorale ad Avigliana aveva potentemente contribuito a mettere in evidenza un peggioramento dei rapporti tra i No Tav e i sindaci della Bassa Val Susa, che ormai da tempo covava.
La scelta di Carla Mattioli, sindaco DS a caccia di una riconferma, di invitare Piero Fassino, il più noto dei suoi concittadini e colleghi di partito ad un incontro prelettorale non è stata gradita dai No Tav, che hanno organizzato un presidio nella piazza antistante la sala di piazza Conte Rosso. Il giorno precedente le notizie arrivate dal presidio antidiscarica di Serre avevano infiammato gli animi, perché le manganellate distribuite dal sinistro Amato alla gente di Serre ricordavano le botte generosamente elargite dal destro Pisanu a Venaus il 6 dicembre 2005. Nel pomeriggio di quello stesso giorno alcune centinaia di No Tav si erano recati a "prendere il treno" a Borgone, ed il traffico sulla Torino Lione era stato bloccato per una buona ora. Niente da stupirsi che al presidio contro Fassino – che ebbe un'improvvisa indisposizione e non si presentò – facessero capolino due striscioni, uno "Serre Libera" e l'altro "Governo Prodi governo fascista". Al successivo Comitato di Coordinamento, l'assemblea diretta dal Presidente della Comunità montana Ferrentino, il luogo nel quale da un anno e mezzo si metteva in scena la rappresentazione della cosiddetta democrazia partecipativa, le rimostranze di Ferrentino caddero nel vuoto al punto che la successiva conferenza dei sindaci sancì la fine dei Comitati di Coordinamento. La democrazia partecipativa va bene finché i sudditi si limitano ad applaudire.
Un ulteriore segnale del solco apertosi tra istituzioni locali e movimento si ebbe lunedì 4 giugno, quando diverse centinaia di No Tav, riunitisi a Bussoleno di fronte a Villa Ferro, sede della Comunità Montana, per chiedere trasparenza ai sindaci riuniti in vista dell'importante riunione del tavolo di Palazzo Chigi, si trovarono i cancelli sbarrati e carabinieri e digos a vigilare. Apparve allora chiaro che i sindaci, fors'anche pressati dal governo amico, in quel momento volevano ballare da soli.
Subito dopo la riunione del Tavolo di Palazzo Chigi è apparso evidente che le anticipazioni fatte due settimane prima dal quotidiano "Repubblica" erano qualcosa in più di una semplice illazione. "Repubblica" aveva presentato in anteprima un nuovo tracciato per la Torino Lione, un tracciato che prevede ancora il tunnel di base di 50 Km ma che, spostandosi sulla riva destra della Dora, comporterebbe l'utilizzo della linea storica, opportunamente potenziata e forse anche interrata. Tutti i protagonisti della vicenda – da Virano a Ferrentino – negarono che quest'ipotesi fosse sul tappeto, anche se Virano sostenne, sia pure informalmente, "che in tanti si sono posti il problema di come affrontare in modo diverso l'attraversamento della Val Susa". 

Sui giornali tutti cantavano vittoria: Ferrentino, che esultava per il definitivo abbandono del progetto di RFI LTF contro il quale nel 2005 era scoppiata la rivolta, il governo che si pavoneggiava per aver saputo trovare l'accordo su come fare il Tav, con il consenso delle popolazioni interessate.
Un quadretto idillico o, per meglio dire, una classica soluzione all'italiana, una di quelle che consentano a tutti di cantare vittoria. Impresa non facile ma indispensabile alla stentata vita di un governo in crisi presso il proprio stesso elettorato.
I No Tav, avvezzi a non fidarsi della stampa, non hanno creduto ai giornali ma si sono avventurati alla ricerca di informazioni più precise, interpellando direttamente i sindaci o puntando l'obiettivo sui comunicati ufficiali del governo e della Comunità Montana. La confusione tuttavia non è scemata poiché i testi apparivano fumosi ed ambigui. Il segno inequivocabile che l'incontro di meno di due ore svoltosi a Roma il 13 giugno doveva accontentare capra e cavoli.
Nel breve comunicato emesso dal governo si legge: "il tavolo ha preso atto della volontà del Governo di presentare alla Commissione europea entro il 20 luglio il dossier occorrente per accedere al finanziamento. Il tavolo ha condiviso la proposta del Governo di attribuire all'Osservatorio il compito di definire gli elementi guida per configurare una proposta progettuale da condividere con gli amministratori delle varie parti del territorio interessate." Tradotto dal politichese all'italiano tutti i partecipanti al tavolo avrebbero concordato sull'urgenza di presentare la richiesta di finanziamento all'UE e di attribuire all'Osservatorio Virano tale compito. 

La richiesta di finanziamento all'UE che in molti hanno ritenuto un mero pretesto per imprimere un'accelerazione alla trattativa, secondo Claudio Giorno del presidio di Borgone, sarebbe alla base di un possibile "montaggio finanziario", destinato ad innescare un circolo "virtuoso" (o "vizioso" in un'ottica No Tav) tale da chiamare a cascata il resto della cifra necessaria alla realizzazione dell'opera. L'europarlamentare Agnoletto, in un comunicato del 13 giugno aveva sostenuto che l'Italia non poteva aspirare ai finanziamenti, perché non era in grado di soddisfare le condizioni richieste dal bando UE (Valutazione di Impatto ambientale, Progetto, finanziamenti). Invece secondo Giorno va tenuto conto del fatto che i finanziamenti sono destinati ad opere di collegamento transfrontaliero e che la Francia, che ha le carte in regola, potrebbe essere considerata la capofila per il finanziamento della galleria di base. "In seguito – scrive Giorno - potrebbe essere più facilmente attivato un "generoso" prestito della BEI (la Banca Europea degli Investimenti) di cui Reiner Masera, presidente di RFI, responsabile economico della Commissione Intergovernativa per la Torino Lione, è Consigliere". Di lì una ciliegia tira l'altra e si potrebbe innescare un meccanismo di prestiti delle varie SanpaoloIntesa e Credit Lyonnés".
Le dichiarazioni di Ferrentino alla stampa sul prolungarsi negli anni delle trattative cozzerebbe, secondo l'ipotesi avanzata da Giorno, contro una grande disponibilità di soldi, che la Francia userebbe per il tunnel di base e l'Italia per aprire i cantieri a Torino.
Nell'assemblea svoltasi il successivo 19 giugno Ferrentino ha negato che il compito di redigere il dossier per l'UE fosse stato assunto dall'Osservatorio. I casi sono due: o mente il governo o mente Ferrentino. Quest'ultimo nel comunicato emesso dopo l'incontro si era tenuto sulle generiche, esprimendo soddisfazione per la cancellazione del tunnel di Venaus e, insieme, asserendo che "il tunnel di base potrà essere preso in considerazione solo dopo aver verificato trasferimenti modali gomma ferro". Tradotto in italiano: il tunnel no, ma forse sì, ma poi, vedremo se, vedremo quando. Anche rispetto al "potenziamento" della linea storica il testo di Ferrentino rimane parimenti ambiguo. 

Le ambiguità nella posizione dei sindaci non sono state fugate nell'assemblea del 19 giugno, quando il Polivalente di Bussoleno non è bastato ad accogliere le migliaia di No Tav accorsi a discutere. Le richieste di chiarimenti sono cadute nel vuoto. La gran parte degli interventi all'assemblea ha sottolineato l'esigenza che i sindaci ribadissero in pubblico, durante l'assemblea stessa o, in subordine, in consigli comunali aperti, la netta opposizione al Tav, a qualunque tracciato Tav, così come al tunnel di base. Autentiche ovazioni hanno accompagnato gli interventi che più sottolineavano questa semplice richiesta, che i sindaci non hanno voluto soddisfare.
In molti hanno ribadito che sinora il Tav non è passato perché la resistenza popolare lo ha fermato.
Difficile prevedere se il governo deciderà di imprimere un'accelerazione a breve o si limiterà ad incassare le aperture incamerate il 13 giugno a Palazzo Chigi.
Quel che è certo è che il movimento No Tav ha detto a chiare lettere di non essere disposto a trattare sul Tav: si è trattato di un segnale forte e chiaro.

Maria Matteo


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