"Ci aspettavamo di più, i fondi per ora non crescono come preventivato ma determinante sarà il mese di giugno".
Giovanni Pollastrini, consulente del ministero del Lavoro sul Tfr
Come è noto, fra gennaio e giugno 2006, le lavoratrici ed i
lavoratori del settore privato sono stati posti di fronte alla scelta
obbligata fra il lasciare il proprio TFR all'INPS o passare ad una
forma pensionistica integrativa o a gestione padronale –
sindacale (fondi chiusi) o a gestione solo padronale (fondi aperti).
È opportuno rilevare che vi è una campagna martellante da
parte del governo, di CGIL-CISL-UIL, delle banche a favore del
passaggio ai fondi pensioni, una campagna che rende visibile la
struttura corporativa del potere reale.
Dai primi dati emerge un'adesione tutt'altro che trionfale anche se
è probabile che, grazie al silenzio assenso e cioè ad un
meccanismo truccato che colpirà i lavoratori e le lavoratrici
meno informati, l'aumento delle adesioni (tacite in questo caso)
sarà maggiore.
Può valere, oggi, la pena di esaminare i dati disponibili e di ragionare sul loro significato politico.
A due settimane dal 30 giugno, termine entro cui i lavoratori dovranno
scegliere se lasciare il Tfr in azienda o conferirlo alla previdenza
complementare, i principali fondi chiusi segnalano al 31 maggio aumenti
delle iscrizioni variabili tra il 10 e il 30% un dato inferiore alle
previsioni dell'esecutivo e degli stessi fondi.
In base ai dati forniti dai singoli gestori emerge un consolidamento
delle adesioni nelle categorie storicamente abituate a questa scelta
come i chimici e un incremento in categorie che, invece hanno sempre
registrato una adesione percentualmente bassa.
Alla fine del 2006, secondo la Covip, gli iscritti ai fondi pensione
avevano superato quota 3,2 milioni, con i fondi di categoria che
registravano un aumento delle iscrizioni rispetto al dicembre 2005 del
4,3% e i fondi aperti al +8,2% mentre le polizze pensionistiche
individuali contavano un +16,9%.
Il fondo Cometa (settore metalmeccanico) riguarda 1 milione di
lavoratori e registra al 31 maggio un incremento di 45 mila iscritti
fino a superare quota 350 mila, +10% sul 2006.
Per Espero (dipendenti della scuola): il tasso di adesione passa dal
3,9% al 7% (da 47mila nel 2006 a circa 80mila). Il balzo sul 2006 fin
qui calcolato è del 70% ma bisogna tenere conto che i lavoratori
del settore sono circa 1 milione 200mila.
Previmoda (tessile - abbigliamento - calzaturiero), passando dai 39
mila iscritti del 2006 ai 48 mila attuali (+25%), tocca circa il 12%
dei 450 mila lavoratori del settore in totale.
Fondapi (piccole e medie imprese): su un bacino stimato di oltre mezzo
milione di addetti, le adesioni al 31 maggio hanno toccato quota 28
mila (5% del totale), con un aumento di oltre 5 mila (+12% sul 2006).
Prevedi (edile - industria), che riguarda 1 milione di lavoratori:
l'incremento segna +40% (da 25 mila iscritti del 2006 a 35 mila fin qui
calcolati) ma la percentuale di adesione complessiva si attesta attorno
al 3,5%.
Alifond (industria alimentare): gli aderenti passano dai 36 mila del
2006 ai 43 mila fin qui attestati. La crescita è di quasi il 20%
su oltre 350 mila addetti.
Pressoché stabile l'adesione a Telemaco (telecomunicazioni), che
già nel 2006 contava 56 mila 800 iscritti ora passati a circa 56
mila 900 su una platea di 120 mila lavoratori.
Fonchim (settore chimico e farmaceutico) è da sempre forte e
consolida la tradizione. I 122 mila iscritti del 2006 (su circa 200
mila lavoratori totali) passano a 145 mila (+20% sul 2006), con un
tasso di adesione di oltre il 70%.
Simile la situazione per Fopen (aziende del gruppo Enel): nel 2006
aderivano 42 mila dei 50 mila lavoratori del settore, che passano a
circa 45 mila. Un balzo che porta al 90% un'adesione già alta,
76% alla fine del 2006.
Il fondo Priamo (autoferrotranvieri) può contare su 47 mila
conferimenti al 30 aprile contro i 40 mila scarsi di fine 2006: un
aumento del 17% per una categoria che impiega 110 mila lavoratori.
Buona prestazione, infine, per Laborfonds (aziende ed enti pubblici)
che registra al 31 maggio 90 mila iscritti con una crescita del 9%
rispetto al dicembre 2006: il 36% di una platea potenziale di 245 mila
addetti.
Mi scuso con i lettori per la sovrabbondanza di dati ma la ritengo utile.
Proviamo a dare una prima sintetica interpretazione di questo quadro.
Se si guardassero i dati prescindendo dalla campagna posta in essere
dal blocco sociale interessato alla crescita dei fondi pensione, si
potrebbe ritenere che questa stessa campagna ha avuto un discreto
successo soprattutto se agli aderenti volontari si sommerà un
discreto numero di aderenti per silenzio assenso.
Va, in primo luogo, però, rilevato il fatto che, mentre con
massicci fondi pubblici, 34 milioni di euro, le imprese e si sindacati
concertativi hanno fatto una campagna martellante, l'unica opposizione
sul terreno sindacale è stata fatta dal sindacalismo di base che
certo non ha risorse economiche comparabili e che, nonostante
ciò, si è speso generosamente organizzando moltissime
assemblee ed iniziative di critica della previdenza integrativa. Se,
nonostante i suoi limiti quantitativi, il sindacalismo di base ha
rilevato molto interesse e condivisione delle sue posizioni, una
ragione vi sarà.
È, poi, interessante il fatto che la campagna ha funzionato
meglio nelle categorie tradizionalmente abituate alla pensione
integrativa mentre ha visto un consenso assai limitato proprio dove i
suoi promotori puntavano ad entrare e cioè nelle categorie
"vergini" e, soprattutto, nella massa di lavoratori con poca
anzianità di servizio o, peggio, in condizione precaria, quelli
più massacrati dalla riforma delle pensioni e, in apparenza,
più "interessati", meglio sarebbe dire obbligati, alla pensione
integrativa. Sarebbe, a questo proposito, opportuna un'analisi
più puntuale della natura dei diversi fondi pensione, per un
verso, e della composizione tecnica delle diverse categorie di
lavoratori.
Detto ciò, credo vada evitata una lettura trionfalistica dei
dati, i fondi pensione stentano a decollare, questo è un fatto,
la critica alla privatizzazione della previdenza gode di un ampio
consenso, questo è un altro fatto, ma è anche vero che ha
giocato, da parte delle lavoratrici e dei lavoratori un'attitudine
prudente nei confronti della proposta di giocare in borsa parte del
proprio reddito, attitudine che i fautori dei fondi pensione avevano
con ogni evidenza sottovalutato.
Detto ciò, la resistenza a cedere il proprio TFR è solo
un primo passo, la vera partita è, ma questa non è una
novità, quella che si gioca sul salario in tutte le sue
determinazioni: salario diretto, salario indiretto e, nello specifico,
salario differito.
In buona sostanza, si tratta di riprendere l'iniziativa per il diritto
a pensioni sicure, di conseguenza, non legate all'andamento dei mercati
azionari ed obbligazionari come parte dell'azione a difesa del salario.
Come è ovvio, una partita difficile e di medio periodo ma anche
non evitabile se non ci si accontenta di una vittoria tattica.
Cosimo Scarinzi