Nell'attuale dibattito sulla crisi della politica, il protagonismo di
massa e le mobilitazioni su temi ambientali e antimilitaristi viene
normalmente letto dai commentatori della stampa nazionale come un
fenomeno regressivo, sintomo di ripiegamento localista e di distacco,
appunto, dalla politica, intesa come sistema istituzionale della
politica rappresentativa e dei partiti. Al contrario, la partecipazione
popolare è segnale di vitalità della politica, intesa
come orizzonte collettivo del vivere, in un duplice senso: le
modalità della decisione sono collettive e la decisione ha ad
oggetto una dimensione collettiva del vivere, in primo luogo il
territorio su cui la comunità decidente insiste. Che una
comunità decida del proprio destino non è necessariamente
fenomeno localista: il rilievo va posto sul rapporto tra questa
comunità e la dimensione relazionale con altre comunità.
Anche una comunità, come ogni individuo, può essere
attenta al proprio particolare e contemporaneamente aperta alla
relazione con altri soggetti, posti sullo stesso piano o meno: la
relazione, l'articolazione, la dialettica, tra comunità
può cioè assumere una struttura gerarchica oppure no. Lo
stato moderno si pone come superiore alle altre comunità, di cui
riconosce l'autonomia in modo maggiore o minore, articolando il
confronto con le istituzioni locali sul piano giuridico o fattuale,
attraverso l'uso della forza, di cui lo stato detiene il monopolio
legale. In questo senso, dal punto di vista di una comunità
locale, l'orizzonte statale può tramontare o per il venir meno
dello stato in caso di guerra o rivoluzione oppure per secessione,
conseguenza degli eventi appena citati o frutto di un lungo e complesso
processo politico-istituzionale, che potrebbe non escludere, magari
nella fase finale, un confronto sul piano fattuale con lo stato. Lo
stato può comunque caratterizzarsi come federale, come "stato di
stati"; può essere centralista; può riconoscere le
autonomie e dividere con esse le competenze pubbliche. Poste queste
premesse, i movimenti che si aggregano su tematiche ambientali o
antimilitariste partendo dalla dimensione locale di difesa del proprio
territorio dallo sfruttamento da parte di istituzioni centralistiche
e/o sovraordinate, giunti ad un certo grado di crescita e di
autocoscienza, si trovano talora a riflettere su possibili evoluzioni
del loro rapporto con le istituzioni rappresentative ed il sistema dei
partiti.
In un primo caso, movimento e sfera della rappresentanza
politico-istituzionale sono autonomi ed in relazione: il movimento
preme sui rappresentanti politici, in primo luogo i sindaci ed i
consigli comunali; i politici assecondano in modo più o meno
sincero il movimento; il voto e le elezioni sono il momento in cui si
tirano le somme di tali relazioni. Il movimento si pone come istanza
critica dell'ordinamento democratico, come democrazia partecipata e dal
basso, come inveramento della democrazia: insomma, il movimento serve
da rigenerazione delle istituzioni e dell'ordinamento, da loro
giustificazione. In questo caso, la comunità locale resta
"rappresentata" dalle istituzioni esistenti e dai partiti, con i quali
articola una continua dialettica che trova un limite nell'inserimento
di tali istituzioni e di tali partiti nel sistema statale, cui
rispondono e che su di essi preme ed influisce, sia dal punto di vista
giuridico che fattuale.
Per ovviare a tale limite, il movimento può pensare di farsi
partito/lista e partecipare alle elezioni locali, anche a livello
provinciale: i comuni/sindaci sono l'unità amministrativa minima
e autonoma che immediatamente rappresenterebbe il movimento, specie nei
piccoli comuni dove esiste un sistema elettorale maggioritario che di
solito vede due liste contrapposte. Eleggere un proprio rappresentante
poi nel consiglio provinciale servirebbe al movimento per accedere
direttamente a tutta una serie di informazioni, a monitorare l'azione
delle forze politiche, a prender parte alle decisioni collettive di
gestione della cosa pubblica. Se in questo modo verrebbe saltata la
mediazione dei partiti politici, il movimento manterrebbe ancora
intatto l'orizzonte istituzionale e si muoverebbe sempre nell'ambito
dei meccanismi di rappresentanza. L'inserimento nel sistema
politico-istituzionale non è fatto solo di diritti, ma anche di
doveri, nel senso che gli enti locali non solo espressione di autonomia
delle comunità locali, ma anche terminali del sistema statale
che ne attuano sul territorio l'azione.
In un terzo caso, il movimento resta un soggetto autonomo e collettivo
che persegue i suoi obiettivi, esercitando pressione sulle istituzioni,
ma, in più, diserta i luoghi della politica istituzionale, in
primo luogo non partecipando alle elezioni, non come forma di protesta,
ma come rifiuto dei meccanismi di rappresentanza istituzionale e
partitica. La situazione che potrebbe venirsi a determinare è
quella dell'impossibilità di elezione di sindaco e consiglio
comunale per mancanza di candidati e di votanti. L'ordinamento prevede
che in questo caso venga nominato un commissario prefettizio al posto
del sindaco, commissario cui è demandata la normale
amministrazione del comune. Per il resto i servizi pubblici
continuerebbero a funzionare e la comunità locale deve mantenere
la capacità di mobilitazione sulle questioni di straordinaria
amministrazione: la comunità, acquisita coscienza della propria
forza nell'opporsi al progetto di devastazione ambientale e di
servitù militare che ha costituito la causa del sorgere del
movimento, semplicemente funziona quotidianamente allo stesso modo,
ribaltando il senso dello stato di eccezione imposto dall'alto in
occasione dell'aggressione del territorio. È il territorio e la
comunità che vi abita che determinano uno stato di eccezione
effettivo e quotidiano depotenziando l'ordinamento gerarchico in cui
sono inseriti. Sempre che cada il feticcio della rappresentanza. Una
volta che una comunità abbia preso in mano il proprio destino,
prescindendo dal livello politico-istituzionale che vorrebbe
rappresentarla, di fatto tali istituzioni sono svuotate perché
ne è stata disvelata, da un lato, l'inutilità, dall'altro
la dannosità, nel momento in cui è proprio il livello
della rappresentanza che agisce contro i rappresentati. Del resto,
comunità locali capaci di opporsi ad un governo nazionale, anche
nel momento in cui usa la "forza pubblica", non dovrebbe avere maggiori
problemi a relazionare con un commissario prefettizio su questioni di
gestione quotidiana e condizionarne l'operato.
W.B.