Umanità Nova, n.22 del 25 giugno 2007, anno 87

Anarchici & Politica-8
La politica degli anarchici


Sul numero 39 del 2006 di UN con il titolo "Diserzione, passione, conflitto, sperimentazione" e sul numero 2 di quest'anno con il titolo "Il politico e il sociale" abbiamo pubblicato alcuni testi dedicati al tema "Anarchici & politica". Gli articoli sono del nostro collaboratore Salvo Vaccaro che ci aveva proposto di iniziare un dibattito su questo tema, suddividendolo intorno a varie aree tematiche. Sul numero 3 è comparso il contributo di Walter Siri "Più società meno politica". La discussione è proseguita sul numero 5 con un pezzo di Massimo Varengo "Anarchismo ed autorganizzazione". Sul numero 9 vi abbiamo proposto "Gabbie identitarie e seduzioni libertarie" di Salvo Vaccaro. Sul numero 16 è comparso "Dei tempi e delle storie" di Simone Bisacca. Sullo scorso numero, il 21, vi abbiamo proposto il testo di Domenico Liguori "Che fare? E come?"
Adesso è la volta di un testo di Andrea Papi "La politica degli anarchici".
Ricordiamo a chi se li fosse persi che i precedenti interventi al dibattito sono on line sul sito di UN <http://www.ecn.org/uenne/>

Trovo estremamente interessante ed attuale la tematica messa a dibattito da Salvo Vaccaro nel numero 39 di Umanità Nova del 3 dicembre 2006, con un articolo dal titolo diserzione, passione, conflitto, sperimentazione. Concordo pienamente con la problematica che Salvo pone, cioè il rapporto che debba sussistere tra anarchici e politica, e con la denuncia che fa del fatto che tale rapporto sia attualmente molto carente e sottovalutato, se non addirittura messo bellamente da parte, come se fosse già risolto, o scontato, o addirittura non importante.
In questo porsi, non credo solo per provocazione, ma per sentita esigenza, le sue parole sono forti e chiare e dicono senza veli l'entità del problema da troppo tempo eluso o lasciato perdere. Trovo invece affatto deboli e, almeno così mi è parso, vaghe le proposte di eventuale soluzione al problema stesso. Non si capisce bene cosa bisognerebbe tentare di fare e come bisognerebbe intendere e vivere il rapporto in questione, tra anarchici e politica, per trovare appunto una coerente e congrua collocazione nostra nel variegato e martoriato universo dell'azione politica in generale.
…dotarsi di una lettura delle dinamiche sociali e di una disponibilità al confronto con segmenti individuali e collettivi inediti per noi, ossia aprirsi sul territorio a individuare con una ricerca meticolosa di opportunità, situazioni, effervescenze sia pure minimali su cui darsi una capacità di confronto tesa a eccedere nell'eventuale conflitto tra posizioni e prospettive diverse in presenza di altre forze in campo, la linearità destinale di un ciclo chiuso e ricorsivo di cui tracciare la tangente di rottura, senza spirito autoimmolatore di avanguardia ma passo dopo passo, pazientemente e gradualmente insieme. Dice tutto e non dice niente allo stesso tempo. Ai miei occhi appare più che altro un'ennesima buona dichiarazione d'intenti, che però rischia di lasciare con l'amaro in bocca perché non offre strumenti reali d'intervento e non risolve la lettura diversa del rapporto tra anarchici e politica che Salvo auspica e pone.
Ben diversa e di umore contrario è la risposta di Walter Siri, sempre su Umanità Nova, con un articolo dal titolo Più società meno politica pubblicato nel numero 3 del 28 gennaio 2007. Ciò che Walter dice in quest'articolo è ben scritto, chiaro ed ampiamente motivato, ma non riesco a condividerne né il senso né l'impostazione teorica, soprattutto perché ha l'intento dichiarato di escludere gli anarchici dalla politica e, anche se non lo scrive in modo esplicito, propugna una sorta di antipolitica, pensata vissuta e progettata, come soluzione al problema del rapporto tra anarchici e politica posto da Vaccaro nel suo primo intervento che ha suscitato il dibattito.
Innanzitutto non è vero, come Walter scrive, che Salvo auspica un protagonismo politico anarchico. O perlomeno non è vero nei termini che l'affermazione fa supporre, che cioè gli anarchici debbano tendere ad un'egemonia, presumo culturale e di gestione, della lotta politica, fino ad auspicare di diventare i protagonisti, in senso anarchico, nella gestione della politica in generale. Almeno personalmente non vi ho letto un tale intento (sarà poi Salvo a chiarire cosa voleva affermare). Come ho scritto sopra, Salvo si limita a porre il problema ed auspica che noi anarchici ridefiniamo il nostro rapporto con la politica, perché senza farlo difficilmente troveremo le idee chiare per comprendere come impostare il nostro pensare e il nostro agire ai fini della lotta per l'emancipazione libertaria. Il che, lo ribadisco, è ampiamente condivisibile.
Ma veniamo alle affermazioni forti di Walter per mettere in campo una polemica che riesca ad essere interessante, indispensabile, costruttiva e non di parrocchia. Per prima cosa ho avuto l'impressione che confonda il concetto di "politica" con "lotta politica" e "rivoluzione politica", che egli vede come cavallo di battaglia delle destre e delle sinistre socialdemocratiche, forse perché, come trasuda da ogni sua parola, fa, arbitrariamente, un'identificazione netta tra politica e potere del comando, tra politica e il governare autoritariamente.
Sembra addirittura che abbia una vera e propria idiosincrasia per la parola "politica" quando scrive …il termine politica è storicamente avversato dall'anarchismo…. Per sottolineare che non è vero basti ricordare gli scritti di Berneri, che notoriamente non manifesta tale avversione, ma anche innumerevoli analisi sulle riviste Volontà e A rivista anarchica, per fare esempi. Spero che non si voglia sostenere che non fanno parte dell'anarchismo classico. Le ragioni di questo suo intendere risiedono, almeno attenendosi a ciò che scrive nell'articolo in questione, nel fatto che ritiene che nel linguaggio contemporaneo il termine politica ha tutti significati inerenti al potere dominante, per cui suppongo che ne induca che a livello di ricezione diffusa quando si parla di politica si parla di potere, quindi gli anarchici non c'entrano.
Ma si fa anche forte del congresso di Saint Imier del 1872, che notoriamente rigettò la lotta politica per favorire la lotta economica, del programma anarchico del '20, di cui fa lunghe citazioni che tutte sottolineano la lotta contro il governo per eliminare il governo stesso, come concetto e come istituzione. Si potrebbe rispondere che il ripudio della lotta politica, giustamente sancito a Saint Imier, sottolineava innanzitutto il ripudio della conquista del potere, che al contrario veniva sancito dall'ala autoritaria della prima internazionale diretta da Marx, ma non si è mai espresso per un ripudio del concetto della politica in quanto tale. Anzi, non si pone proprio un tale problema. Per quanto riguarda il programma anarchico, mi basta citare un punto citato all'interno dello stesso articolo di Siri: …Il popolo, scosso il giogo, diventi libero di darsi a quelle istituzioni che egli crede migliori…. Non gli viene il dubbio che il di darsi a quelle istituzioni che egli crede migliori sia di per sé già un fatto politico proposto come alternativa al governo. Che cosa sono nuove istituzioni, che con la forza della rivoluzione sostituiscono il governo autoritario sconfitto, se non la novità politica dell'avvento libertario e rivoluzionario?
Ma la summa del pensiero di Walter Siri sulla questione politica e gli anarchici personalmente l'ho trovata in questa sua affermazione: I metodi e gli stessi concetti della politica non siano adatti a promuovere la partecipazione e l'orizzontalità dei processi decisionali. Ovviamente sostiene una cosa simile pensando di sorreggersi sugli argomenti già trattati. Il problema è che detto così è un discorso monco, perché per essere sensato dovrebbe sostenere che a non essere adatti sono i metodi e i concetti della politica dominante e che tende al dominio, non gli stessi della politica in quanto tale, che è altra cosa, comprendente certamente quella dominante, ma anche tutti i processi inerenti la gestione delle cose.
Il fatto è, caro Walter, che il concetto "politica" va preso nella sua estensione perché esprime un ambito specifico, che è l'ambito della gestione delle cose, cui nessun tipo di società, nemmeno una ipotetica società anarchica, si può sottrarre. Ogni contesto sociale, ogni ambito comunitario, per quanto esteso sia e indipendentemente da come decide di strutturarsi, per sussistere deve trovare delle modalità di gestione consone e congrue coi suoi presupposti fondanti, altrimenti è destinato a dare forfait e a chiudere bottega. Le cose hanno necessità di essere gestite, o governate (che è la stessa cosa), altrimenti affondano. Per gestire bisogna prendere decisioni e trovare la maniera di applicarle. Quindi l'ambito della politica, che è l'ambito della gestione, è anche l'ambito della decisionalità. Il problema non è se questo ambito debba esistere o no (falso problema), perché esiste al di là che osiamo pronunciare la parola che lo esprime o no, ma il come. Ed è proprio nel come, per l'orizzontalità che pone, che l'anarchismo si distingue da qualsiasi altra ipotesi politica.
Tutte le situazioni plurali prendono decisioni. Lo fanno gli stati e i governi degli stati, lo fanno le aziende, le società, i gruppi e lo fanno anche gli anarchici. Tutte le situazioni gestiscono se stesse. Ed è appunto la gestione di sé che esprime l'ambito politico di ogni situazione specifica. Non vogliamo usare la parola "politica" perché si teme che la fruizione del suo concetto sia adulterata dalla propaganda del potere, quindi male intesa? Ciò si risolverebbe semplicemente in un nominalismo, perché corrisponderebbe ad un semplice non uso di parola, mentre dovremmo ugualmente occuparci delle stesse questioni che l'ambito, cui la parola soppressa si riferisce, ci costringe ad occuparci. Ecco perché il non uso della parola "politica", per riferirsi a cose anarchiche, rischia di essere una grossa stupidaggine. Chiedo allora perché continuiamo a chiamarci anarchici quando nell'uso comune imposto dal potere dominante la parola "anarchia" significa caos e viene usata frequentemente per esprimere casino.
A me sembra invece che il problema vero sia il contrario di quello posto. Che cioè gli anarchici finora siano stati troppo carenti nell'affrontare il problema politico in modo adeguato. In questo senso ben venga la sollecitazione di Salvo. Coglie nel segno. Non si affrontano mai in modo adeguato dei nodi cruciali. Come gestiamo la società? Quali proposte mettiamo sul tappeto in tal senso? Parlo di modalità e ipotesi concrete, comprensibili e con un alto tasso di applicabilità. Quando ci troviamo all'interno di situazioni più o meno spontanee di rivolta contro il governo, in cui la partecipazione popolare è alta ed estesa, come ci muoviamo e che cosa andiamo a proporre in modo che sia comprensibile ed appetibile anche per la gran massa di non anarchici e che allo stesso tempo rimanga all'interno di un senso e di una praticabilità libertaria coerenti?
A queste domande dobbiamo cominciare a provare a dare risposte, perché altrimenti, quando insorgono situazioni, ci troviamo impreparati e diventiamo presenze di ultimo piano. Mi sembra che già Malatesta ai suoi tempi ponesse simili problemi. Guardiamo per esempio velocemente la Spagna del '36. Mentre la CNT spagnola aveva ampiamente dibattuto al suo interno come organizzare le comunità per realizzare il comunismo libertario, non si era mai seriamente posta il problema, ma nemmeno la FAI spagnola, di che cosa fare in caso di rivoluzione con le altre forze politiche. È così successo che siano sorte meravigliose esperienze di sperimentazione di comunismo anarchico, le famose collettività, mentre si sono fatti infinocchiare con una partecipazione al governo provvisorio che divise il movimento, indebolì la rivoluzione e fu poco produttiva sul piano della realizzazione libertaria e rivoluzionaria. Non c'era stata un'adeguata preparazione politica per affrontare simili evenienze. Anche se in modi e forme diverse, lo stesso problema ci fu con i bolscevichi nel 1917, assieme ai quali si fece la rivoluzione, poi, non essendo più utili come mano d'opera, fummo letteralmente tranciati assieme a qualsiasi altra forza in campo.
Cosa fare e come comportarsi quando ci si trova a dover lavorare con altri da noi, senza lasciare il campo agli autoritari e volendo portare le situazioni verso contesti libertari? Queste domande urgono e sono domande inerenti ad un agire politico libertario e rivoluzionario. Vogliamo continuare a trovarci impreparati ed essere solo sconfitti, repressi e messi da parte? Personalmente credo che bisognerebbe cominciare seriamente a porsi il problema politico nella sua interezza. Sia ipotizzando soluzioni e pratiche di gestione autogestionaria, che è la proposta politica di gestione della società in cui gli anarchici si riconoscono perché realizza la libertà sociale. Sia ipotizzando come comportarci nelle relazioni con altri gruppi, associazioni, forze politiche e quant'altro si muova a livello di antagonismo sociale. O vogliamo continuare a lasciare tutto solo al caso e alla buona, quando c'è, momentanea intuizione dei singoli compagni o compagne di volta in volta? Berneri aveva capito, anche se può essere discutibile come si mosse, quello che lui chiamava il problema delle alleanze. E intendiamoci bene: è un problema che sussiste.
La risposta a queste problematiche e a tutte le altre connesse che qui non ho citato, è a tutti gli effetti la risposta al problema politico nella sua interezza. Bisogna accettare che esiste il problema della comprensione della politica, che richiede soluzioni, proposte e azioni dal punto di vista anarchico e libertario. Chiarezza nel metodo, rifiuto delle rigidità, fermezza sui principi e i valori, ma tensione euristica, di ricerca e sperimentazione, nelle realizzazioni, avendo presente che esistono sempre più possibilità, che bisogna tener conto delle diversità e valorizzarle, che l'imposizione manda sempre in un vicolo cieco. Solo dal confronto fra le diverse sensibilità nostre, mettendo sul piatto un arco di possibilità realizzative coerenti e praticabili, può nascere una visione politica che ci permetta l'indispensabile agilità per muoverci e rendere possibile la libertà sociale nel cammino verso l'anarchia.
Mi fermo qui, anche se mi rendo conto di aver appena abbozzato la problematica in questione. Ma una relazione un minimo soddisfacente richiederebbe un'estensione che non è qui il caso. Spero comunque di aver espresso a sufficienza quella che ritengo una preoccupazione fondata e legittima, di spostare cioè l'attenzione verso la definizione di proposte politiche realizzabili e concrete, di stampo e impostazione libertarie e anarchiche, sia per rafforzare l'opposizione rivoluzionaria e libertaria, sia per uscire dal limbo di un ormai endemico pressappochismo attuale e della marginalità politica cui sembriamo perennemente volerci condannare. Inoltre l'aumento di chiarezza sul cosa fare di alternativo e radicale aiuta la costruzione indispensabile di un immaginario libertario accreditato e condiviso, sia da noi sia da tanti altri.

Andrea Papi


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