Sul numero 39 del 2006 di UN con il
titolo "Diserzione, passione, conflitto, sperimentazione" e sul numero
2 di quest'anno con il titolo "Il politico e il sociale" abbiamo
pubblicato alcuni testi dedicati al tema "Anarchici & politica".
Gli articoli sono del nostro collaboratore Salvo Vaccaro che ci aveva
proposto di iniziare un dibattito su questo tema, suddividendolo
intorno a varie aree tematiche. Sul numero 3 è comparso il
contributo di Walter Siri "Più società meno politica". La
discussione è proseguita sul numero 5 con un pezzo di Massimo
Varengo "Anarchismo ed autorganizzazione". Sul numero 9 vi abbiamo
proposto "Gabbie identitarie e seduzioni libertarie" di Salvo Vaccaro.
Sul numero 16 è comparso "Dei tempi e delle storie" di Simone
Bisacca. Sullo scorso numero, il 21, vi abbiamo proposto il testo di
Domenico Liguori "Che fare? E come?"
Adesso è la volta di un testo di Andrea Papi "La politica degli anarchici".
Ricordiamo a chi se li fosse persi
che i precedenti interventi al dibattito sono on line sul sito di UN
<http://www.ecn.org/uenne/>
Trovo estremamente interessante ed attuale la tematica messa a
dibattito da Salvo Vaccaro nel numero 39 di Umanità Nova del 3
dicembre 2006, con un articolo dal titolo diserzione, passione,
conflitto, sperimentazione. Concordo pienamente con la problematica che
Salvo pone, cioè il rapporto che debba sussistere tra anarchici
e politica, e con la denuncia che fa del fatto che tale rapporto sia
attualmente molto carente e sottovalutato, se non addirittura messo
bellamente da parte, come se fosse già risolto, o scontato, o
addirittura non importante.
In questo porsi, non credo solo per provocazione, ma per sentita
esigenza, le sue parole sono forti e chiare e dicono senza veli
l'entità del problema da troppo tempo eluso o lasciato perdere.
Trovo invece affatto deboli e, almeno così mi è parso,
vaghe le proposte di eventuale soluzione al problema stesso. Non si
capisce bene cosa bisognerebbe tentare di fare e come bisognerebbe
intendere e vivere il rapporto in questione, tra anarchici e politica,
per trovare appunto una coerente e congrua collocazione nostra nel
variegato e martoriato universo dell'azione politica in generale.
…dotarsi di una lettura delle dinamiche sociali e di una
disponibilità al confronto con segmenti individuali e collettivi
inediti per noi, ossia aprirsi sul territorio a individuare con una
ricerca meticolosa di opportunità, situazioni, effervescenze sia
pure minimali su cui darsi una capacità di confronto tesa a
eccedere nell'eventuale conflitto tra posizioni e prospettive diverse
in presenza di altre forze in campo, la linearità destinale di
un ciclo chiuso e ricorsivo di cui tracciare la tangente di rottura,
senza spirito autoimmolatore di avanguardia ma passo dopo passo,
pazientemente e gradualmente insieme. Dice tutto e non dice niente allo
stesso tempo. Ai miei occhi appare più che altro un'ennesima
buona dichiarazione d'intenti, che però rischia di lasciare con
l'amaro in bocca perché non offre strumenti reali d'intervento e
non risolve la lettura diversa del rapporto tra anarchici e politica
che Salvo auspica e pone.
Ben diversa e di umore contrario è la risposta di Walter Siri,
sempre su Umanità Nova, con un articolo dal titolo Più
società meno politica pubblicato nel numero 3 del 28 gennaio
2007. Ciò che Walter dice in quest'articolo è ben
scritto, chiaro ed ampiamente motivato, ma non riesco a condividerne
né il senso né l'impostazione teorica, soprattutto
perché ha l'intento dichiarato di escludere gli anarchici dalla
politica e, anche se non lo scrive in modo esplicito, propugna una
sorta di antipolitica, pensata vissuta e progettata, come soluzione al
problema del rapporto tra anarchici e politica posto da Vaccaro nel suo
primo intervento che ha suscitato il dibattito.
Innanzitutto non è vero, come Walter scrive, che Salvo auspica
un protagonismo politico anarchico. O perlomeno non è vero nei
termini che l'affermazione fa supporre, che cioè gli anarchici
debbano tendere ad un'egemonia, presumo culturale e di gestione, della
lotta politica, fino ad auspicare di diventare i protagonisti, in senso
anarchico, nella gestione della politica in generale. Almeno
personalmente non vi ho letto un tale intento (sarà poi Salvo a
chiarire cosa voleva affermare). Come ho scritto sopra, Salvo si limita
a porre il problema ed auspica che noi anarchici ridefiniamo il nostro
rapporto con la politica, perché senza farlo difficilmente
troveremo le idee chiare per comprendere come impostare il nostro
pensare e il nostro agire ai fini della lotta per l'emancipazione
libertaria. Il che, lo ribadisco, è ampiamente condivisibile.
Ma veniamo alle affermazioni forti di Walter per mettere in campo una
polemica che riesca ad essere interessante, indispensabile, costruttiva
e non di parrocchia. Per prima cosa ho avuto l'impressione che confonda
il concetto di "politica" con "lotta politica" e "rivoluzione
politica", che egli vede come cavallo di battaglia delle destre e delle
sinistre socialdemocratiche, forse perché, come trasuda da ogni
sua parola, fa, arbitrariamente, un'identificazione netta tra politica
e potere del comando, tra politica e il governare autoritariamente.
Sembra addirittura che abbia una vera e propria idiosincrasia per la
parola "politica" quando scrive …il termine politica è
storicamente avversato dall'anarchismo…. Per sottolineare che
non è vero basti ricordare gli scritti di Berneri, che
notoriamente non manifesta tale avversione, ma anche innumerevoli
analisi sulle riviste Volontà e A rivista anarchica, per fare
esempi. Spero che non si voglia sostenere che non fanno parte
dell'anarchismo classico. Le ragioni di questo suo intendere risiedono,
almeno attenendosi a ciò che scrive nell'articolo in questione,
nel fatto che ritiene che nel linguaggio contemporaneo il termine
politica ha tutti significati inerenti al potere dominante, per cui
suppongo che ne induca che a livello di ricezione diffusa quando si
parla di politica si parla di potere, quindi gli anarchici non
c'entrano.
Ma si fa anche forte del congresso di Saint Imier del 1872, che
notoriamente rigettò la lotta politica per favorire la lotta
economica, del programma anarchico del '20, di cui fa lunghe citazioni
che tutte sottolineano la lotta contro il governo per eliminare il
governo stesso, come concetto e come istituzione. Si potrebbe
rispondere che il ripudio della lotta politica, giustamente sancito a
Saint Imier, sottolineava innanzitutto il ripudio della conquista del
potere, che al contrario veniva sancito dall'ala autoritaria della
prima internazionale diretta da Marx, ma non si è mai espresso
per un ripudio del concetto della politica in quanto tale. Anzi, non si
pone proprio un tale problema. Per quanto riguarda il programma
anarchico, mi basta citare un punto citato all'interno dello stesso
articolo di Siri: …Il popolo, scosso il giogo, diventi libero di
darsi a quelle istituzioni che egli crede migliori…. Non gli
viene il dubbio che il di darsi a quelle istituzioni che egli crede
migliori sia di per sé già un fatto politico proposto
come alternativa al governo. Che cosa sono nuove istituzioni, che con
la forza della rivoluzione sostituiscono il governo autoritario
sconfitto, se non la novità politica dell'avvento libertario e
rivoluzionario?
Ma la summa del pensiero di Walter Siri sulla questione politica e gli
anarchici personalmente l'ho trovata in questa sua affermazione: I
metodi e gli stessi concetti della politica non siano adatti a
promuovere la partecipazione e l'orizzontalità dei processi
decisionali. Ovviamente sostiene una cosa simile pensando di
sorreggersi sugli argomenti già trattati. Il problema è
che detto così è un discorso monco, perché per
essere sensato dovrebbe sostenere che a non essere adatti sono i metodi
e i concetti della politica dominante e che tende al dominio, non gli
stessi della politica in quanto tale, che è altra cosa,
comprendente certamente quella dominante, ma anche tutti i processi
inerenti la gestione delle cose.
Il fatto è, caro Walter, che il concetto "politica" va preso
nella sua estensione perché esprime un ambito specifico, che
è l'ambito della gestione delle cose, cui nessun tipo di
società, nemmeno una ipotetica società anarchica, si
può sottrarre. Ogni contesto sociale, ogni ambito comunitario,
per quanto esteso sia e indipendentemente da come decide di
strutturarsi, per sussistere deve trovare delle modalità di
gestione consone e congrue coi suoi presupposti fondanti, altrimenti
è destinato a dare forfait e a chiudere bottega. Le cose hanno
necessità di essere gestite, o governate (che è la stessa
cosa), altrimenti affondano. Per gestire bisogna prendere decisioni e
trovare la maniera di applicarle. Quindi l'ambito della politica, che
è l'ambito della gestione, è anche l'ambito della
decisionalità. Il problema non è se questo ambito debba
esistere o no (falso problema), perché esiste al di là
che osiamo pronunciare la parola che lo esprime o no, ma il come. Ed
è proprio nel come, per l'orizzontalità che pone, che
l'anarchismo si distingue da qualsiasi altra ipotesi politica.
Tutte le situazioni plurali prendono decisioni. Lo fanno gli stati e i
governi degli stati, lo fanno le aziende, le società, i gruppi e
lo fanno anche gli anarchici. Tutte le situazioni gestiscono se stesse.
Ed è appunto la gestione di sé che esprime l'ambito
politico di ogni situazione specifica. Non vogliamo usare la parola
"politica" perché si teme che la fruizione del suo concetto sia
adulterata dalla propaganda del potere, quindi male intesa? Ciò
si risolverebbe semplicemente in un nominalismo, perché
corrisponderebbe ad un semplice non uso di parola, mentre dovremmo
ugualmente occuparci delle stesse questioni che l'ambito, cui la parola
soppressa si riferisce, ci costringe ad occuparci. Ecco perché
il non uso della parola "politica", per riferirsi a cose anarchiche,
rischia di essere una grossa stupidaggine. Chiedo allora perché
continuiamo a chiamarci anarchici quando nell'uso comune imposto dal
potere dominante la parola "anarchia" significa caos e viene usata
frequentemente per esprimere casino.
A me sembra invece che il problema vero sia il contrario di quello
posto. Che cioè gli anarchici finora siano stati troppo carenti
nell'affrontare il problema politico in modo adeguato. In questo senso
ben venga la sollecitazione di Salvo. Coglie nel segno. Non si
affrontano mai in modo adeguato dei nodi cruciali. Come gestiamo la
società? Quali proposte mettiamo sul tappeto in tal senso? Parlo
di modalità e ipotesi concrete, comprensibili e con un alto
tasso di applicabilità. Quando ci troviamo all'interno di
situazioni più o meno spontanee di rivolta contro il governo, in
cui la partecipazione popolare è alta ed estesa, come ci
muoviamo e che cosa andiamo a proporre in modo che sia comprensibile ed
appetibile anche per la gran massa di non anarchici e che allo stesso
tempo rimanga all'interno di un senso e di una praticabilità
libertaria coerenti?
A queste domande dobbiamo cominciare a provare a dare risposte,
perché altrimenti, quando insorgono situazioni, ci troviamo
impreparati e diventiamo presenze di ultimo piano. Mi sembra che
già Malatesta ai suoi tempi ponesse simili problemi. Guardiamo
per esempio velocemente la Spagna del '36. Mentre la CNT spagnola aveva
ampiamente dibattuto al suo interno come organizzare le comunità
per realizzare il comunismo libertario, non si era mai seriamente posta
il problema, ma nemmeno la FAI spagnola, di che cosa fare in caso di
rivoluzione con le altre forze politiche. È così successo
che siano sorte meravigliose esperienze di sperimentazione di comunismo
anarchico, le famose collettività, mentre si sono fatti
infinocchiare con una partecipazione al governo provvisorio che divise
il movimento, indebolì la rivoluzione e fu poco produttiva sul
piano della realizzazione libertaria e rivoluzionaria. Non c'era stata
un'adeguata preparazione politica per affrontare simili evenienze.
Anche se in modi e forme diverse, lo stesso problema ci fu con i
bolscevichi nel 1917, assieme ai quali si fece la rivoluzione, poi, non
essendo più utili come mano d'opera, fummo letteralmente
tranciati assieme a qualsiasi altra forza in campo.
Cosa fare e come comportarsi quando ci si trova a dover lavorare con
altri da noi, senza lasciare il campo agli autoritari e volendo portare
le situazioni verso contesti libertari? Queste domande urgono e sono
domande inerenti ad un agire politico libertario e rivoluzionario.
Vogliamo continuare a trovarci impreparati ed essere solo sconfitti,
repressi e messi da parte? Personalmente credo che bisognerebbe
cominciare seriamente a porsi il problema politico nella sua interezza.
Sia ipotizzando soluzioni e pratiche di gestione autogestionaria, che
è la proposta politica di gestione della società in cui
gli anarchici si riconoscono perché realizza la libertà
sociale. Sia ipotizzando come comportarci nelle relazioni con altri
gruppi, associazioni, forze politiche e quant'altro si muova a livello
di antagonismo sociale. O vogliamo continuare a lasciare tutto solo al
caso e alla buona, quando c'è, momentanea intuizione dei singoli
compagni o compagne di volta in volta? Berneri aveva capito, anche se
può essere discutibile come si mosse, quello che lui chiamava il
problema delle alleanze. E intendiamoci bene: è un problema che
sussiste.
La risposta a queste problematiche e a tutte le altre connesse che qui
non ho citato, è a tutti gli effetti la risposta al problema
politico nella sua interezza. Bisogna accettare che esiste il problema
della comprensione della politica, che richiede soluzioni, proposte e
azioni dal punto di vista anarchico e libertario. Chiarezza nel metodo,
rifiuto delle rigidità, fermezza sui principi e i valori, ma
tensione euristica, di ricerca e sperimentazione, nelle realizzazioni,
avendo presente che esistono sempre più possibilità, che
bisogna tener conto delle diversità e valorizzarle, che
l'imposizione manda sempre in un vicolo cieco. Solo dal confronto fra
le diverse sensibilità nostre, mettendo sul piatto un arco di
possibilità realizzative coerenti e praticabili, può
nascere una visione politica che ci permetta l'indispensabile
agilità per muoverci e rendere possibile la libertà
sociale nel cammino verso l'anarchia.
Mi fermo qui, anche se mi rendo conto di aver appena abbozzato la
problematica in questione. Ma una relazione un minimo soddisfacente
richiederebbe un'estensione che non è qui il caso. Spero
comunque di aver espresso a sufficienza quella che ritengo una
preoccupazione fondata e legittima, di spostare cioè
l'attenzione verso la definizione di proposte politiche realizzabili e
concrete, di stampo e impostazione libertarie e anarchiche, sia per
rafforzare l'opposizione rivoluzionaria e libertaria, sia per uscire
dal limbo di un ormai endemico pressappochismo attuale e della
marginalità politica cui sembriamo perennemente volerci
condannare. Inoltre l'aumento di chiarezza sul cosa fare di alternativo
e radicale aiuta la costruzione indispensabile di un immaginario
libertario accreditato e condiviso, sia da noi sia da tanti altri.
Andrea Papi