Dovendo riferire degli ennesimi eccidi sotto le bombe della Nato, nel
sud dell'Afganistan, appare assai pertinente l'osservazione di Jacques
Sémelin secondo cui nella contemporaneità il massacro
è una forma d'azione, generalmente statale, di distruzione di
non combattenti.
Questa tragica verità in Afganistan trova conferma quotidiana
dall'ottobre 2002, ma talvolta - come in queste ultime settimane di
giugno - gli effetti devastanti dei bombardamenti Usa e Nato sulla
popolazione civile sono tali da diventare notizie, anche perché
a denunciarli sono persino le autorità governative afgane e il
presidente Hamid Karzai in persona, certo non sospettabile di
antiamericanismo.
Fin dal gennaio 2002 il governo provvisorio di Kabul aveva
ufficialmente richiesto ai "liberatori" di interrompere i bombardamenti
e, a tutt'oggi, continuano a susseguirsi invano appelli, proteste,
denunce da parte di un esecutivo sempre più screditato e
impopolare quale è quello presieduto da Karzai, palesemente
così debole e subalterno da non riuscire neppure a proteggere la
vita dei propri cittadini dalle incursioni compiute dalla coalizione
internazionale a guida Usa che doveva portare la democrazia.
Ancora una volta, il 23 giugno, le agenzie di stampa internazionali
annunciano che il presidente Karzai ha condannato le "operazioni
indiscriminate e imprecise" condotte dalle forze occupanti: "Come ho
già affermato in passato, non sono per noi accettabili gli
attacchi che provocano perdite tra i civili. Ciò non sarà
più tollerato".
Per il governo afgano questo è ormai un problema con
pesantissime ricadute per il consenso e la stabilità stessa del
suo potere, tanto che Karzai ha paventato la possibilità di
ulteriori rivolte popolari contro la presenza militare straniera. Dopo
le segnalazioni di alcuni organismi dell'Onu, ben 94 organizzazioni non
governative, afgane ed estere, hanno da parte loro testimoniato come
"la simpatia di cui le truppe Nato godevano inizialmente tra la
popolazione afgana è venuta meno a causa dell'eccessivo uso
della forza da parte delle forze straniere: indiscriminati attacchi
aerei e bombardamenti d'artiglieria condotti su aree popolate contro
obiettivi non chiaramente definiti che, dall'inizio dell'anno, hanno
ucciso almeno 230 civili afgani, di cui oltre 60 tra donne e bambini, e
incursioni nelle abitazioni private condotte con deliberata violenza,
senza il minimo rispetto per le donne e accompagnate da distruzione e
furto di beni".
Di fronte all'ennesimo massacro, stavolta perpetrato da forze
Isaf-Nato, anche il ministro italiano Parisi ha dovuto prendere
posizione, affermando: "Noi siamo in Afganistan in risposta ad un
appello delle Nazioni Unite per sostenere il nuovo Stato e cooperare
con le sue legittime autorità contro l'attacco terrorista, non
siamo lì per combattere contro il suo popolo". Ma
l'inconsistenza di tale dichiarazione risulta evidente nel passaggio in
cui sostiene che "le informazioni finora in nostro possesso ci dicevano
che le perdite civili, che alcuni definiscono danni collaterali e che
io considero invece come se fossero perdite nostre, facessero capo ad
iniziative autonome della coalizione a guida Usa, non coordinate con
quelle dell'Isaf". Appare infatti stupefacente che un ministro della
Difesa non sia al corrente che in Afganistan da mesi anche la missione
Isaf-Nato, forze italiane comprese, è sotto comando statunitense
come se fosse un'estensione della missione Enduring Freedom.
La risposta a Karzai e a Parisi è giunta entro 24 ore: un
missile sparato da un aereo e colpi di mortaio hanno fatto nuove
vittime civili, stavolta pakistane, appena oltre il confine con
l'Afganistan (tra gli obiettivi colpiti una casa, con almeno 10 morti e
14 feriti), seguiti dal rituale comunicato da parte di un portavoce
della forza Isaf, tale John Thomas: "Ci rammarichiamo per la perdita di
vite innocenti".
Se le inchieste dei militari ne accerteranno lo status di "danni
collaterali", gli Stati Uniti offriranno 2.000 dollari ad ogni famiglia
colpita (in Iraq, non si sa perché, l'indennizzo previsto
è di 2.500 dollari) quale pedaggio per ulteriori crimini contro
l'umanità.
Torna quindi alla mente una lezione di etica impartita da Parisi solo
pochi mesi fa quando rivendicò, nel nome del rifiuto della
guerra, "l'uso della forza legittima contro la violenza ingiusta", da
ritenersi però simmetricamente valida anche per le conseguenti
scelte dei non combattenti .
Ultim'ora.
Il 25 giugno "Dawn" giornale pakistano di Islamabad riferisce che un
uomo di 70 anni, Pichwar Khan, residente in un villaggio del Waziristan
del sud, al confine tra Pakistan e Afganistan, si è suicidato
dopo aver visto i corpi di 9 suoi famigliari, tra cui quattro bambini e
tre donne, uccisi dai colpi di artiglieria e dai missili della Nato. Il
venerdì precedente un raid dell'Alleanza Atlantica aveva
provocato la morte di 33 civili.
U.F.