Umanità Nova, n.23 del 1 luglio 2007, anno 87

Incubo cattocomunista. Walter Veltroni: uomo vetrina per vecchie botteghe


Quello sulla prossima costituzione del Partito democratico è un dibattito di maniera che tradisce l'assoluta artificiosità di un progetto politico che appare debole ancor prima della sua realizzazione. Eppure, la candidatura di Walter Veltroni a leader del nuovo soggetto politico sembra aver riacceso un qualche interesse su un argomento che, fino a pochi giorni fa, si era arenato anche mediaticamente nelle dispute di bottega tra funzionari dei Ds e della Margherita.
Oggi, con la discesa in campo (sic!) dell'attuale sindaco di Roma, la classe dirigente del paese gioca la carta della visibilità presentando Veltroni, non senza un certo afflato messianico, come l'homo novus del centrosinistra capace di ridare linfa alla coalizione e una identità moderna e accattivante al futuro Partito democratico. Tant'è che lo stesso Veltroni, facendo finta di schermirsi con il solito irritante atteggiamento da bravo-ragazzo-con-la-testa-sulle-spalle, ha rivelato che i sondaggi darebbero il nuovo partito al 35% proprio in virtù della sua candidatura e, soprattutto, della scelta di ricorrere alle primarie per l'elezione del segretario e dell'assemblea costituente. Una ventata di novità che porta con sé il tanfo della solita vecchia, vecchissima politica. Perché ci vuole davvero un bel coraggio a spacciare Veltroni per un volto nuovo: dall'impegno politico negli anni '70 nella Fgci, della quale è stato segretario romano e membro della direzione nazionale, Veltroni ha scalato le posizioni più alte nel Pci-Pds-Ds (è stato anche direttore de l'Unità) passando per importanti cariche istituzionali del primo governo Prodi fino all'attuale sindacatura (già al secondo mandato) del Comune di Roma. Una carriera certamente brillante i cui elementi più innovativi possono senz'altro ricondursi all'impostazione tutta mediatica dell'agire politico: predilezione per i temi della cultura, dell'arte, dell'immagine, buoni sentimenti a go go e un culto abbastanza provinciale del kennedysmo e del liberal-ismo americano con una singolare macedonia pop a base di Bob Kennedy, Martin Luther King, Gandhi, Madre Teresa di Calcutta e John Lennon. Abbiamo ragione di credere che tutti questi personaggi si rivoltino nella tomba, chi per un motivo chi per un altro, ogni volta che Veltroni li evoca.
L'operazione che sta dietro al Partito democratico è un incubo a occhi aperti: le due culture politiche che hanno dominato per quasi un secolo la società italiana - quella cattolica e quella del PCI - si fondono in un soggetto che raccoglierà in sé il peggio del peggio degli epigoni del cattocomunismo di casa nostra. Al di là della faccia paciosa di Veltroni, il Partito democratico è figlio di una nomenklatura vecchia non tanto anagraficamente quanto nella cultura e nell'approccio alla gestione del potere. La presunta democraticità che dovrebbe derivare al nuovo partito dall'investitura "dal basso" del leader attraverso le primarie è invece la riproposizione trita e ritrita del meccanismo della delega, dell'incoronazione di un ceto politico che - a ben guardare - è quello di sempre. Dal 15 ottobre alla guida del Pd non ci saranno né volti nuovi né dilettanti allo sbaraglio, ma solo i volponi di sempre che avranno soltanto cambiato casacca. Inoltre, si ha la netta sensazione che i giochi siano ormai fatti e che le candidature "alternative" a quella di Veltroni servano solo a dare una parvenza di competitività e dialettica interne a un partito nel quale si ridefiniranno influenze e sottopoteri nella più classica tradizione del correntismo all'italiana. Proprio come nel Pci, proprio come nella Dc.
Il nuovo che avanza del Partito democratico è, in definitiva, l'ennesimo colpo di coda di una politica vecchia che, ancora una volta, ricicla se stessa pur di stare sempre a galla.

TAZ laboratorio di comunicazione libertaria



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