Io a Bologna sto con Cofferati
perché nel 1977 stavo con il sindaco Renato Zangheri contro Toni
Negri, Gilles Deleuze e Félix Guattari che volevano legalizzare
l'anarchia, perché all'Università di Roma nel marzo del
1977 stavo con Luciano Lama e contro le P38 che lo buttarono fuori
senza tanti complimenti.
(Giuliano Ferrara)
L'invadente Ferrara, figlio del senatore del Pci Maurizio Ferrara (per
molto tempo segretario particolare di Palmiro Togliatti), è
stato molte cose: da dirigente del Pci torinese - sino all'83 - a
sedicente agente della Cia, da europarlamentare craxiano del Psi a
consigliere berlusconiano su posizioni sempre più vicine alla
politica teocon di Bush... eppure, nonostante tale disinvolto quanto
opportunistico carosello politico, è sempre rimasto un nemico
giurato sia di ogni movimento antagonista che di qualsiasi ipotesi
rivoluzionaria.
Tale ossessione potrebbe essere considerata come riprova del suo
passaggio alla destra più anticomunista, ma in realtà
riflette piuttosto l'immutata ostilità togliattiana contro
l'estremismo di sinistra e l'avversione del Pci nei confronti dei
movimenti extraparlamentari degli anni Settanta, puntualmente
considerati come un'ambigua espressione di ribellismo che faceva il
gioco dei fascisti.
Un ulteriore buon esempio di coerenza togliattiana Ferrara lo fornisce
con un nuovo intervento, pubblicato sul settimanale Panorama del 14
giugno scorso, emblematicamente intitolato "Eccoli i nuovi mostri", con
ovvia allusione anche al '77.
I "nuovi mostri" sono quanti continuano ad opporsi al dominio del
capitale, costituendo - parole testuali - quell'impasto di
disobbedienza altermondialista, di resistenza alla globalizzazione, di
denuncia della crudeltà del precariato sociale. E non mancano
ulteriori ed eleganti riferimenti ai covi sociali e
all'autoemarginazione procurata nell'odio verso la mobilità, il
movimento, il riformismo naturale di un'economia capitalista.
Immancabili pure gli accenni ai miti soreliani della violenza di
piazza, all'illegalismo di massa, all'odio contro l'imperialismo
americano.
Ma il togliattiano annegato nel corpulento Ferrara è facile riconoscerlo.
C'è innanzi tutto il riferimento storico, da manuale, a Georges
Sorel, puntualmente mistificato dai dirigenti riformisti del Pci per
denigrare le tendenze a sinistra del partito (internazionalisti,
anarchici, autonomi...) attraverso un collaudato paradigma: il
sindacalista Sorel era per la lotta di classe organizzata fuori dalle
influenze dei partiti e per lo sciopero generale rivoluzionario, ma
poiché fu letto anche da Mussolini (oltre che da Malatesta,
Gramsci, Gobetti, Croce, Labriola, etc.), chi condivide tali posizioni
è un... fascista.
Ancora oggi, proprio grazie a questa deliberata e faziosa
interpretazione, si continua ad utilizzare quasi come luogo comune il
termine "violenza soreliana" come sinonimo di violenza gratuita e fine
a se stessa, quando invece Sorel rivendicava la violenza proletaria
osservando come "i termini forza e violenza vengono adoperati allo
stesso modo sia per le azioni delle autorità che per quelle dei
rivoltosi. È chiaro che i due casi danno luogo a conseguenze ben
diverse".
Ma il Ferrara uscito dalle scuole togliattiane (e berlingueriane) di
partito si può ritrovare anche per un'altra argomentazione,
ossia quella attorno a l'antipolitica delle P38 che era stata resa
egemone dal mito poetico nero del processo alla Democrazia Cristiana,
orchestrato da Pier Paolo Pasolini. Sul '77 sovversivo e
antiautoritario, persistente incubo dei vertici del Pci, appena due
anni fa Ferrara aveva scritto quanto riportato all'inizio di questo
articolo; ma stavolta giunge ad indicare come mandante intellettuale il
povero Pasolini, epurato dal Pci stesso e rivalutato a sinistra solo
dopo molti anni dal suo assassinio.
Aspettiamo soltanto di risentire le condanne bigotte contro Pasolini
per la sua omosessualità, a suo tempo pronunciate dal partito
comunista, così Ferrara potrebbe davvero risultare il "migliore"
allievo di Togliatti.
Anti