Sul numero 39 del 2006 di UN con il
titolo "Diserzione, passione, conflitto, sperimentazione" e sul numero
2 di quest'anno con il titolo "Il politico e il sociale" abbiamo
pubblicato alcuni testi dedicati al tema "Anarchici & politica".
Gli articoli sono del nostro collaboratore Salvo Vaccaro che ci aveva
proposto di iniziare un dibattito su questo tema, suddividendolo
intorno a varie aree tematiche. Sul numero 3 è comparso il
contributo di Walter Siri "Più società meno politica". La
discussione è proseguita sul numero 5 con un pezzo di Massimo
Varengo "Anarchismo ed autorganizzazione". Sul numero 9 vi abbiamo
proposto "Gabbie identitarie e seduzioni libertarie" di Salvo Vaccaro.
Sul numero 16 è comparso "Dei tempi e delle storie" di Simone
Bisacca. Sullo scorso numero, il 21, vi abbiamo proposto il testo di
Domenico Liguori "Che fare? E come?" Sul numero 22 è comparso
il testo di Andrea Papi "La politica degli anarchici". Questa
settimana vi proponiamo "Anarchia nella società" di Riccardo
Bonelli. Ricordiamo a chi se li fosse persi che i precedenti interventi
al dibattito sono on line sul sito di UN
<http://www.ecn.org/uenne/>
Le questioni sollevate dagli interventi che mi hanno preceduto sono
molte e per necessità dovrò selezionarne solo alcune su
cui soffermarmi.
Sceglierei così il problema della libertà così
come è stato posto da Salvo Vaccaro nel suo ultimo articolo:
"Forse bisognerebbe eludere il problema della nostra
identità… per rivolgere la nostra attenzione su quanto
attiene specificamente alla nostra specificità di anarchici,
ossia l'amore smisurato per la libertà. Lungi dal sembrare una
connotazione debole rispetto all'identità anarchica, il
libertarismo di cui siamo animati… diventa e potrebbe diventare
il tratto connotativo per eccellenza del nostro essere anarchici in
azione,"
Ciò che per Salvo dovrebbe essere un punto di partenza basilare
del nostro pensiero per poi ripensare tutto l'impianto teorico e
soprattutto la pratica politica del nostro movimento, a me sembra un
passo indietro. Il movimento anarchico fin dai suoi esordi ha superato
la concezione della libertà scissa dal contesto sociale. Per il
nostro movimento la libertà si è sempre coniugata con la
solidarietà o la giustizia sociale, tanto per intenderci.
Cioè affermavamo positivamente la natura sociale della nostra
specie e quindi l'impossibilità della piena affermazione della
libertà individuale se separata da quella degli altri e
collettiva. La mia libertà quindi non finisce dove inizia quella
di un altro, ma al contrario esiste se esiste quella dell'altro. Questo
fin dai tempi di Bakunin. In termini concreti e storici, la borghesia
aveva affermato un concetto astratto, perché solo politico e
giuridico, della libertà, poiché nella realtà
questa stessa libertà veniva contraddetta da un sistema basato
sullo sfruttamento e sull'oppressione dell'uomo sull'uomo. Il movimento
anarchico sorge invece sulla spinta dei primi movimenti del
proletariato moderno e sente la forte necessità di negare questa
realtà di sfruttamento e oppressione per affermare un'idea di
libertà piena. È per questo che il movimento anarchico
nasce socialista e lo è ancora oggi nella sua essenza. E per
socialista intendo che è un movimento che punta alla distruzione
della proprietà privata dei mezzi di produzione, almeno dei
grandi mezzi, per cancellare definitivamente dalla storia umana la
piaga della servitù salariale. Questo l'impianto di fondo, poi
ci possiamo definire chi comunisti, chi collettivisti, chi sindacalisti
etc..., ma questo è un connotato di fondo del nostro movimento a
cui io non rinuncerei.
Quindi libertari e socialisti, cioè anarchici.
Per noi, quindi, il nuovo dovrebbe basarsi sul principio della libera
volontà individuale e non sulla coercizione e sul potere di
alcuni sui molti, quindi dell'oppressione, ed anche sul principio del
reciproco sostegno, della cooperazione, della autogestione e non quello
della concorrenza, della legge del più forte e quindi dello
sfruttamento.
Questi due principi devono vivere nella nostra pratica quotidiana, nei
nostri tentativi di sviluppare autorganizzazione cosciente, solidale e
libertaria nelle situazioni di lotta o come forma stabile di
organizzazione sociale. Ma questi due principi devono essere anche
oggetto di propaganda nel rapporto che costruiamo con i compagni
di lotta ed anche nella nostra attività rivolta alle grandi
moltitudini.
Questi sono i principi quindi da portare avanti e far vivere proprio in
quelle situazioni dove noi vediamo una spinta spontanea e genuina delle
classi subalterne e della società civile all'autorganizzazione e
all'autogoverno del proprio territorio. In Val di Susa come a Vicenza,
questo sta accedendo ed è una spinta per noi importante a cui
rifarci. Senza voler esagerare o santificare nessuna esperienza,
abbiamo bisogno però sì di mettere in evidenza queste
tensioni spontanee alla partecipazione e all'autorganizzazione che
stanno nascendo nella nostra penisola, per poterle sviluppare, per
rafforzare le loro spinte autogestionarie e antipolitiche (nel senso
che vanno contro il potere politico e dei partiti), e perché
molti compagni di lotta, più o meno giovani, possano riscoprire
nella pratica e nella riflessione con noi l'anarchismo. Questa non
è sicuramente una risposta esauriente ai quesiti posti dal
dibattito "anarchismo e politica", vista l'ampiezza dei temi trattati,
ma penso che in questo modo possiamo sicuramente sviluppare e costruire
il nostro movimento e allo stesso tempo vivere con soddisfazione il
nostro impegno, in un tempo in cui l'intero movimento rivoluzionario
(anche di ispirazione marxista) sembra abbia perso le sue speranza
nella rivoluzione sociale, quindi nelle aspirazioni socialiste,
rintanandosi unicamente in una visione anti-capitalista,
anti-imperialista, anti-etc.
Riccardo Bonelli