Umanità Nova, n.23 del 1 luglio 2007, anno 87

Anarchici & Politica-9
Anarchia nella società


Sul numero 39 del 2006 di UN con il titolo "Diserzione, passione, conflitto, sperimentazione" e sul numero 2 di quest'anno con il titolo "Il politico e il sociale" abbiamo pubblicato alcuni testi dedicati al tema "Anarchici & politica". Gli articoli sono del nostro collaboratore Salvo Vaccaro che ci aveva proposto di iniziare un dibattito su questo tema, suddividendolo intorno a varie aree tematiche. Sul numero 3 è comparso il contributo di Walter Siri "Più società meno politica". La discussione è proseguita sul numero 5 con un pezzo di Massimo Varengo "Anarchismo ed autorganizzazione". Sul numero 9 vi abbiamo proposto "Gabbie identitarie e seduzioni libertarie" di Salvo Vaccaro. Sul numero 16 è comparso "Dei tempi e delle storie" di Simone Bisacca. Sullo scorso numero, il 21, vi abbiamo proposto il testo di Domenico Liguori "Che fare? E come?" Sul numero 22 è comparso il  testo di Andrea Papi "La politica degli anarchici". Questa settimana vi proponiamo "Anarchia nella società" di Riccardo Bonelli. Ricordiamo a chi se li fosse persi che i precedenti interventi al dibattito sono on line sul sito di UN <http://www.ecn.org/uenne/>


Le questioni sollevate dagli interventi che mi hanno preceduto sono molte e per necessità dovrò selezionarne solo alcune su cui soffermarmi.
Sceglierei così il problema della libertà così come è stato posto da Salvo Vaccaro nel suo ultimo articolo:
"Forse bisognerebbe eludere il problema della nostra identità… per rivolgere la nostra attenzione su quanto attiene specificamente alla nostra specificità di anarchici, ossia l'amore smisurato per la libertà. Lungi dal sembrare una connotazione debole rispetto all'identità anarchica, il libertarismo di cui siamo animati… diventa e potrebbe diventare il tratto connotativo per eccellenza del nostro essere anarchici in azione,"
Ciò che per Salvo dovrebbe essere un punto di partenza basilare del nostro pensiero per poi ripensare tutto l'impianto teorico e soprattutto la pratica politica del nostro movimento, a me sembra un passo indietro. Il movimento anarchico fin dai suoi esordi ha superato la concezione della libertà scissa dal contesto sociale. Per il nostro movimento la libertà si è sempre coniugata con la solidarietà o la giustizia sociale, tanto per intenderci. Cioè affermavamo positivamente la natura sociale della nostra specie e quindi l'impossibilità della piena affermazione della libertà individuale se separata da quella degli altri e collettiva. La mia libertà quindi non finisce dove inizia quella di un altro, ma al contrario esiste se esiste quella dell'altro. Questo fin dai tempi di Bakunin. In termini concreti e storici, la borghesia aveva affermato un concetto astratto, perché solo politico e giuridico, della libertà, poiché nella realtà questa stessa libertà veniva contraddetta da un sistema basato sullo sfruttamento e sull'oppressione dell'uomo sull'uomo. Il movimento anarchico sorge invece sulla spinta dei primi movimenti del proletariato moderno e sente la forte necessità di negare questa realtà di sfruttamento e oppressione per affermare un'idea di libertà piena. È per questo che il movimento anarchico nasce socialista e lo è ancora oggi nella sua essenza. E per socialista intendo che è un movimento che punta alla distruzione della proprietà privata dei mezzi di produzione, almeno dei grandi mezzi, per cancellare definitivamente dalla storia umana la piaga della servitù salariale. Questo l'impianto di fondo, poi ci possiamo definire chi comunisti, chi collettivisti, chi sindacalisti etc..., ma questo è un connotato di fondo del nostro movimento a cui io non rinuncerei.
Quindi libertari e socialisti, cioè anarchici.
Per noi, quindi, il nuovo dovrebbe basarsi sul principio della libera volontà individuale e non sulla coercizione e sul potere di alcuni sui molti, quindi dell'oppressione, ed anche sul principio del reciproco sostegno, della cooperazione, della autogestione e non quello della concorrenza, della legge del più forte e quindi dello sfruttamento.
Questi due principi devono vivere nella nostra pratica quotidiana, nei nostri tentativi di sviluppare autorganizzazione cosciente, solidale e libertaria nelle situazioni di lotta o come forma stabile di organizzazione sociale. Ma questi due principi devono essere anche oggetto di propaganda  nel rapporto che costruiamo con i compagni di lotta ed anche nella nostra attività rivolta alle grandi moltitudini.
Questi sono i principi quindi da portare avanti e far vivere proprio in quelle situazioni dove noi vediamo una spinta spontanea e genuina delle classi subalterne e della società civile all'autorganizzazione e all'autogoverno del proprio territorio. In Val di Susa come a Vicenza, questo sta accedendo ed è una spinta per noi importante a cui rifarci. Senza voler esagerare o santificare nessuna esperienza, abbiamo bisogno però sì di mettere in evidenza queste tensioni spontanee alla partecipazione e all'autorganizzazione che stanno nascendo nella nostra penisola, per poterle sviluppare, per rafforzare le loro spinte autogestionarie e antipolitiche (nel senso che vanno contro il potere politico e dei partiti), e perché molti compagni di lotta, più o meno giovani, possano riscoprire nella pratica e nella riflessione con noi l'anarchismo. Questa non è sicuramente una risposta esauriente ai quesiti posti dal dibattito "anarchismo e politica", vista l'ampiezza dei temi trattati, ma penso che in questo modo possiamo sicuramente sviluppare e costruire il nostro movimento e allo stesso tempo vivere con soddisfazione il nostro impegno, in un tempo in cui l'intero movimento rivoluzionario (anche di ispirazione marxista) sembra abbia perso le sue speranza nella rivoluzione sociale, quindi nelle aspirazioni socialiste, rintanandosi unicamente in una visione anti-capitalista, anti-imperialista, anti-etc.

Riccardo Bonelli



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