Il 28 giugno il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge
delega a firma Ferrero-Amato per la modifica del Testo unico
sull'immigrazione. La legge delega, già passata il 24 aprile,
è stata approvata dalla Conferenza unificata stato-regioni il 14
giugno scorso.
Prima di tornare a commentare i punti salienti di questa non riforma,
è necessario precisare il meccanismo istituzionale che determina
la produzione delle cosiddette leggi delega: il governo propone al
parlamento di approvare una legge delega ovvero una legge che sulla
base di principi generali darà delega al governo affinché
provveda – entro un anno – a formulare un testo di legge
vero e proprio. Solo fra un anno, quindi, si potranno esprimere giudizi
definitivi su un testo definitivo.
Ancora una volta vale la pena ricordare che tanto clamore mediatico
è sospetto quanto la fretta con cui il disegno di legge è
stato approvato, in un momento in cui gli equilibri interni del governo
Prodi sono appesi a un filo e l'indeterminatezza generale (legata anche
all'imminente nascita del Partito democratico) richiede una buona dose
di propaganda per comunicare all'esterno che il governo funziona e gode
di ottima salute.
I tatticismi politici vengono giocati, dunque, sulla pelle degli
immigrati e la proposta di riforma della legge Bossi-Fini è un
oculato esercizio di intelligenza politica: dare l'impressione di
cambiare tutto è il modo migliore per celare il fatto che non si
cambia niente nella sostanza.
Come già detto dalle pagine di questo giornale, i miglioramenti
che sarebbero previsti dalla Amato-Ferrero non costituiscono svolte
epocali nell'approccio politico alla gestione del fenomeno migratorio.
Si tratterebbe, al contrario, di atti dovuti - assolutamente parziali -
che andavano concretizzati da subito alla luce dell'etica e del buon
senso. La durata del decreto flussi verrebbe aumentata fino a tre anni
e la durata dei permessi di soggiorno verrebbe anch'essa allungata: i
permessi legati a lavori a tempo determinato, che oggi hanno una durata
pari a quella del relativo contratto di lavoro, dovrebbero essere
rilasciati per uno o due anni a seconda se il contratto sia di durata
inferiore o superiore ai sei mesi.
Quelli rilasciati, invece, per contratti a tempo indeterminato o per
lavoro autonomo avranno una durata di tre anni (con la normativa
attuale gli anni sono due). Il rinnovo del permesso sarà
rilasciato per un periodo pari al doppio di quello previsto per il
primo rilascio. La riforma estenderebbe poi a un anno il tempo in cui
l'immigrato che perde il posto di lavoro resta iscritto ai centri per
l'impiego.
Da questi primi elementi si evince l'orientamento di fondo che anima
questa proposta di legge: l'immigrato continua e continuerà a
essere considerato forza-lavoro e la sua libertà di spostarsi o
avere accesso nel nostro paese è sottoposta alla sua funzione
produttiva. Alla luce di ciò, la tanto sbandierata abolizione
del contratto di soggiorno (che nella Bossi-Fini subordina
l'ottenimento del permesso di soggiorno alla stipula di un contratto di
lavoro) è una vera e propria truffa con la quale si dichiara
formalmente la fine di questo istituto salvo poi lasciarne intatta la
ratio giuridica.
Dopo di che, le discutibili buone notizie per gli immigrati cedono il
passo a una sfilza di pessimi provvedimenti. Viene ribadita la
necessità di un apparato repressivo efficace e credibile. Un
punto cruciale riguarda gli accordi di riammissione con gli stati di
provenienza degli immigrati e il governo continuerà a lavorare
per aumentare il numero dei paesi coinvolti. L'Italia ha già
chiesto che sia l'Europa a stabilire il principio per cui aiuti e
immigrazione legale per ogni singolo paese siano legati all'esistenza
di un accordo di riammissione. Un patto scellerato con il quale il
nostro paese si impegna a sostenere paesi di emigrazione (come quel
fulgido esempio di democrazia che è la Libia, ad esempio) in
cambio di un impegno costante di questi paesi nel reprimere i flussi
migratori.
Tornando al disegno di legge delega, la creazione di un canale
privilegiato per l'ingresso dei lavoratori altamente qualificati
è, come già detto in altre occasioni, un'idea vergognosa
che si fonda su una concezione classista ed elitaria: tra gli immigrati
si individuano quelli "buoni" ed è a loro che si aprono meno
difficilmente le porte d'ingresso in Italia. Inutile specificare che la
stragrande maggioranza degli immigrati che giungono nel nostro paese
sono invece manovali, agricoltori, muratori, badanti, ovvero personale
scarsamente qualificato: continuare a tenere tutti questi soggetti
sotto il tallone della precarietà e della clandestinità
significa perpetuare la loro schiavitù a beneficio dei padroni
che assumono in nero e non si curano minimamente di tutelare i loro
diritti. Lo strumento dello sponsor (già previsto dalla
famigerata Turco-Napolitano) si innesta sullo stesso filone di
sfruttamento delle capacità economiche dell'immigrato: via
libera, dunque, a chi può dimostrare (da sé o tramite
soggetti esterni, pubblici o privati) di avere un reddito sufficiente
al suo sostentamento per cercare un lavoro in Italia. Anche in questo
caso si fa finta di non sapere che la maggior parte dei migranti che
giungono in Italia sono quasi del tutto incapaci di fornire garanzie di
questo tipo poiché – come tutti gli immigrati –
devono ancora costruire di sana pianta il loro futuro.
Sulla questione della chiusura dei centri di permanenza temporanea si
è già detto abbastanza: la Amato-Ferrero non li
chiuderebbe. Ne promette fumosamente il miglioramento, il superamento o
chissà cos'altro. Ma se si considera che con la nuova normativa
la clandestinità continuerà a essere una minaccia
concreta per la maggioranza dei migranti, l'internamento degli
indesiderabili resta una forma privilegiata di repressione e controllo
propedeutica all'espulsione. La novità sta invece
nell'incredibile programma di rimpatri volontari, una procedura con la
quale convincere gli immigrati a tornare nei loro paesi in cambio di
una somma che andrebbe attinta da un fondo nazionale. Non riusciamo
davvero a spiegarci come e perché un migrante dovrebbe accettare
di buon grado l'espulsione tornando volontariamente nel posto dal quale
è scappato.
I sostenitori del disegno di legge hanno accolto favorevolmente un
altro elemento particolarmente indicativo dell'opportunismo politico
della maggioranza di centrosinistra: la Amato-Ferrero attribuirà
l'elettorato attivo e passivo per le elezioni amministrative agli
stranieri titolari del permesso di soggiorno di lungo periodo.
Ciò significa che gli stranieri con carta di soggiorno, che in
base alla nuova normativa si dovrebbe ottenere dopo cinque anni di
residenza regolare in Italia, potranno votare o candidarsi alle
elezioni comunali. In questo modo il governo tenta la quadratura del
cerchio: creare una classe dirigente immigrata che serva da vivaio per
il consenso elettorale della sinistra di governo. Lo scenario delineato
da questo disegno di legge non si discosta dall'attuale realtà
delle cose ed è importante sottolineare l'approccio mistificante
e propagandistico con cui il governo Prodi cerca di cavalcare il tema
dell'immigrazione con l'intento di assecondare le politiche europee da
un lato e gli interessi del capitalismo italiano dall'altro. Nel mezzo
ci sono, come sempre, gli immigrati ai quali per primi spetta il
compito di sbugiardare le false promesse agitate dal governo per
rivendicare un ruolo da protagonisti nelle lotte per
l'autorganizzazione e la libertà di movimento al di là di
ogni frontiera.
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