È molto apprezzato per il suo eccellente stile nel vestire, particolarmente per i suoi cappelli e fez.
(Alla voce Hamid Karzai; da Wikipedia, l'enciclopedia in rete)
La Conferenza internazionale "The Rule of Law in Afganistan", svoltasi
a Roma ai primi di luglio, è apparsa lontana dalla realtà
afgana ben oltre le distanze geografiche esistenti tra Roma e Kabul.
Infatti, mentre, nella capitale italiana si discuteva e si stanziavano
360 milioni di dollari (di cui ben 200 stanziati dall'Unione Europea)
per la "giustizia", in Afganistan ogni giorno continuavano a morire
centinaia di civili sotto le bombe Usa e Nato, suscitando nel ministro
degli esteri D'Alema indubitabili "motivi di preoccupazione e
turbamento".
Altrettanto distanti le dichiarazioni di D'Alema sulla necessità
di "consolidare il consenso dei cittadini afgani intorno alla
democrazia". "Questo consenso - sempre secondo il ministro italiano
degli esteri - lo si conquista migliorando le condizioni di vita", ad
esempio, garantendo "un sistema giudiziario efficace" ed auspicando "un
mix efficace tra l'azione militare e un'azione politica di più
vasto respiro in grado di recuperare consenso e fiducia tra i
cittadini".
Neanche una settimana dopo, nel nord della provincia di Farah, ossia
nell'area di competenza del contingente militare italiano di Herat,
un'incursione area della Nato ha raso al suolo tredici case sterminando
almeno 108 persone.
A dire il vero, l'elegante presidente afgano Karzai ha sollevato prima,
durante e dopo la conferenza la questione delle stragi compiute dalle
forze d'occupazione che stanno provocando una crescente sollevazione
popolare contro il suo, già debole e screditato, governo; ma
come in passato sono apparse parole al vento. Raggelante la risposta
dell'ambasciatore statunitense all'Onu: "La guerra non è una
scienza esatta".
Interessante soffermarsi su chi ha pronunciato una simile cinica battuta.
Zalmay Khalilzad è afgano come le vittime dei bombardamenti sui
villaggi. Nato a Mazar-e Sharif nel 1951, Khalilzad discende dalla
vecchia élite afgana; suo padre era un collaboratore del re
Zahir Shah. Laureatosi all'università di Chicago, centro
intellettuale della destra a stelle e strisce, quando l'Urss invase
l'Afganistan nel '79, divenne cittadino statunitense, svolgendo un
ruolo di collegamento fra gli apparati militari Usa ed i guerriglieri
islamici. Consigliere speciale del Dipartimento di Stato sotto Reagan e
successivamente sottosegretario alla difesa con Bush senior, durante la
guerra contro l'Iraq, passò alla Rand Corporation, una riserva
militare d'elite degli Stati Uniti. In quanto di origine afgana ed
ex-collaboratore della compagnia petrolifera Unocal negli anni Novanta,
il presidente Bush jr. l'ho nominò come suo inviato speciale in
Afganistan il 31 dicembre 2001, nove giorni dopo che il governo ad
interim di Hamid Karzai, anch'esso ex-collaboratore della Unocal, si
stabilisse ufficialmente a Kabul.
Tali designazioni evidenziavano molto chiaramente gli interessi
economici esistenti dietro l'aggressione militare degli Stati Uniti con
l'operazione Enduring Freedom. Come consigliere della Unocal, Khalilzad
era stato autore di un'analisi di rischio per il gasdotto proposto
dalla ex repubblica sovietica del Turkmenistan attraverso l'Afghanistan
ed il Pakistan fino all'Oceano indiano. Aveva quindi partecipato alle
trattative fra la Unocal ed i funzionari del regime talebano nel 1997
per la costruzione di una conduttura attraverso l'Afghanistan
occidentale. All'epoca Khalilzad premeva per una politica più
tollerante da parte di Washington verso gli studenti coranici al potere
a Kabul, sostenendo in un articolo sul Washington Post che "i talebani
non praticano uno stile anti-U.S. come il fondamentalismo esercitato
dall'Iran".
Teoricamente, un simile personaggio sarebbe dovuto cadere in disgrazia
con l'inizio della guerra infinita al terrorismo e l'attacco al regime
talebano ritenuto colluso con i terroristi di Al Queda e nemico dei
diritti umani, invece il suo perdurante protagonismo politico fa
ritenere fondata l'ipotesi che gli Stati Uniti, non potendo vincere
militarmente le resistenze armate né stabilizzare con la forza
l'Afganistan, stiano in realtà cercando il modo di giungere ad
un'intesa con i talebani, peraltro già rappresentati nel governo
di Karzai, al fine di chiudere un conflitto ormai in caduta libera ed
eliminare il rischio per gli Stati Uniti di rimanere ancora inchiodati
in questa sorta di Vietnam, in cui l'Iran, la Russia e la Cina hanno
tutto l'interesse di appoggiare ed armare le diverse fazioni claniche
con le rispettive milizie combattenti.
Sarebbe solo un ritorno al passato e, se fosse così, si
capirebbe perché ai vertici del Pentagono non interessa
minimamente se i massacri tra la popolazione civile fomentano
l'ostilità contro il governo Karzai, le cui proteste sono
sostenute soltanto dall'Unione Europea, e rafforzando di conseguenza
proprio gli odiati talebani.
Non ci sono neppure giustificazioni di carattere militare se lo stesso
Richard Perle, ex sottosegretario alla difesa, ha ammesso che "I
bombardamenti risolvono i singoli scontri ma poi il nemico riappare".
La storia insegna invece che il peggior nemico può sempre
divenire il migliore alleato, specialmente in Afganistan dove da sempre
gli invasori possono comprarsi la pace ma non vincere la guerra.
U.F.