Centinaia di migranti hanno attraversato oggi il centro di Bologna
al grido "Basta pagare per restare!", per protestare contro il sistema
di rinnovo dei permessi di soggiorno alle Poste e contro la legge
Bossi-Fini. I migranti hanno sfilato in catene, per mostrare la
situazione cui la legge Bossi-Fini vuole costringerli, reggendo uno
striscione che denunciava: "Poste: Governo ladro!". Raggiunta la sede
centrale delle Poste, i manifestanti hanno strappato centinaia di
fac-simile del modulo da compilare per il rinnovo per dire: "Basta
chiedere il permesso!". Il corteo ha poi percorso via Rizzoli, mentre
decine di donne e uomini hanno preso parola per denunciare la rapina
delle Poste, il ricatto del contratto di soggiorno per lavoro, la
minaccia dei Cpt, il furto dei contributi dei migranti. Arrivati in
Prefettura, una delegazione ha incontrato i rappresentanti del Governo
per consegnare loro una lettera indirizzata ai ministri Amato e
Ferrero. I migranti hanno portato ancora in piazza la loro rabbia,
rilanciando la necessità di una mobilitazione a livello
nazionale che sappia affermare con forzale loro rivendicazioni!
Nella lettera ad Amato e Ferrero i migranti scrivono: "Noi migranti di
Bologna e provincia siamo obbligati a scendere in piazza per la terza
volta in un anno perché non possiamo accettare le condizioni in
cui dobbiamo vivere e lavorare. Sappiamo che dovreste già
conoscere la situazione di migliaia di lavoratrici e lavoratori
migranti sottomessi in Italia al giogo della legge Bossi Fini. Avevate
promesso di cancellarla entro i primi cento giorni del Vostro governo e
invece siamo ancora qui, obbligati a subire, obbligati a chiedere. Il
ricatto del contratto di soggiorno ci impone condizioni salariali
inaccettabili e ci espone a ogni forma di insicurezza, visto che per
noi la minaccia di licenziamento significa anche il rischio della
detenzione in un centro di permanenza temporanea e dell'espulsione. Noi
siamo nella paradossale situazione di essere ricattati da una legge
che, sotto la bandiera della lotta alla clandestinità, non fa
altro che produrla, autorizzando il nostro sfruttamento. La forma della
nostra precarietà è la clandestinità. Nonostante
tutto questo noi non possiamo tacere, non possiamo smettere di
rivendicare i nostri diritti, non possiamo essere clandestini
politicamente prima ancora che legalmente, non possiamo rinunciare a
ogni progetto di vita.
Noi non possiamo accettare il sistema di rinnovo del permesso di
soggiorno alle Poste. Lei stesso, signor Ministro Amato, lo ha definito
una rapina. Noi aggiungiamo che, poiché questo sistema è
stato introdotto per decreto, potrebbe già essere abrogato
attraverso un Suo decreto. Questo sistema cancella ogni forma di
responsabilità politica: le competenze in merito alla
concessione del permesso di soggiorno sono ancora demandate alle
Questure, le quali si dichiarano sistematicamente "innocenti" per i
ritardi nella consegna dei permessi stessi; il Vostro Governo e le
Prefetture si dichiarano estranei a ciò che evidentemente
considerano un mero disguido amministrativo; tutto il peso di questa
situazione viene così scaricato su un'impresa privata, le Poste
italiane s.p.a. Presi nel mezzo di questo balletto irresponsabile, noi
continuiamo a pagare 72 euro per ogni rinnovo e, come Voi sapete,
questa cifra deve essere moltiplicata per ogni membro della famiglia a
ogni rinnovo del permesso di soggiorno.
Noi non possiamo pagare per aspettare permessi che non arrivano e che
hanno termini sempre più brevi. Noi non possiamo pagare per
avere in mano solo una ricevuta che, nonostante le direttive
ministeriali, non consente di trovare lavoro né di muoversi.
Noi non possiamo accettare il furto legalizzato dei nostri contributi.
La legge Bossi-Fini impedisce di ritirare i contributi versati, sia a
chi viene espulso dopo anni di lavoro in Italia, sia a chi decide di
tornare nei paesi d'origine o di andare altrove. La Vostra proposta di
legge su questo punto tace.
Noi invece non possiamo tacere un momento di più.
Noi vogliamo la fine immediata delle procedure di rinnovo alle Poste e il decentramento delle competenze ai comuni!
Noi vogliamo l'abrogazione della legge Bossi-Fini, la rottura del legame tra soggiorno e lavoro, la chiusura dei CPT!
Noi vogliamo poter ritirare i nostri contributi se decidiamo o siamo obbligati a lasciare questo paese!
Coordinamento Migranti Bologna e Provincia
Sbarre segate, lenzuoli annodati e un varco nella rete. Con la
più classica delle fughe, una decina di immigrati reclusi nel
Centro di permanenza temporanea "Serraino Vulpitta" hanno riconquistato
la libertà. A pochi giorni dall'approvazione da parte del
Consiglio dei ministri del disegno di legge delega Amato-Ferrero
sull'immigrazione, il CPT di Trapani torna a essere protagonista di una
fuga di massa, a dimostrazione del fatto che il "Serraino Vulpitta"
resta, oggi come ieri, un luogo di insostenibile reclusione dal quale
le persone tentano di scappare in tutti i modi.
Ancora una volta, gli immigrati detenuti a Trapani danno una lezione
morale alla classe politica cittadina e nazionale riportando
l'attenzione sulla realtà delle cose nonostante i reiterati
tentativi mistificatori messi in atto dal governo Prodi. La recente
visita del sottosegretario Lucidi che è tornata a Trapani per
ribadire la bontà e la funzionalità delle strutture
detentive per immigrati della nostra città, si configura come
l'ennesimo atto di un copione istituzionale farcito di ipocrisia e
cattiva coscienza. Nonostante le rassicurazioni delle autorità
locali, a Trapani è ancora attivo un campo di internamento dove
le persone vengono private della loro libertà per il solo fatto
di essere immigrate; un campo di internamento in cui nel 1999 morirono
sei persone che cercavano di riprendersi la libertà; un campo di
internamento che va chiuso immediatamente come ogni altra struttura di
detenzione per immigrati, in Italia e nel mondo.
Coordinamento per la Pace – Trapani
A Torino in questi mesi tra le varie realtà che si oppongono
alla devastazione del territorio ed al saccheggio delle risorse
pubbliche a fini privati si è creato un coordinamento stabile,
perché, al di là dei quartieri e paesi investiti
direttamente, opere dannose, distruttive ed inutili come il Tav, la
tangenziale est, l'inceneritore, la stazione al parco Sempione ci
riguardano tutti. L'abbiamo chiamata SALDATURA – rete contro le
nocività di Torino e dintorni.
L'ultima iniziativa di "Saldatura" è stata una festa e assemblea
No Tav ai giardini Cavallotti, nel quartiere di Lucento Vallette. Per
tutto il pomeriggio i giardini di corso Toscana si sono trasformati in
una sorta di presidio No Tav, il primo di una serie di presidi
itineranti che dovrebbero segnare l'azione No Tav a Torino.
Un'assemblea, una cena autogestita, una mostra, vari banchetti
informativi, e lo spettacolo teatrale de "L'Interezza non è il
mio forte" sono stati gli ingredienti di una giornata che ha visto la
partecipazione di diverse centinaia di persone.
L'assemblea introdotta da Claudio Cancelli e Emilio Soave ha suscitato
vivo interesse nei numerosi partecipanti, che hanno posto domande sulla
truffa del Tav, sugli interessi che vedono il governo e l'opposizione
di turno uniti nella lotta per imporre un'opera non voluta da tanti.
Significativa la partecipazione di giovani e anziani del quartiere che
hanno collaborato all'iniziativa, partecipando al dibattito, firmando
la lettera all'UE contro il finanziamento della Torino Lione, dando una
mano a grigliare le salsicce.
Di seguito alcuni passaggi di uno dei volantini distribuiti in
giornata. "Il 13 giugno il governo ha dichiarato di aver raggiunto
l'accordo per la realizzazione di una nuova linea ferroviaria ad Alta
Velocità tra Torino e Lione.
In tal modo ha sancito che Prodi, non diversamente da Berlusconi,
è ben deciso a imporre a noi tutti un'opera inutile e dannosa
che costerà montagne di soldi pubblici sottratti alla spesa
sociale: scuole, ospedali, treni puliti e sicuri per chi lavora e
studia.
In quanto alle popolazioni interessate, nessuno ha pensato bene di
consultarle. A quei rompiballe della Valsusa, che due anni fa insorsero
conto il Tav, pensano che bastino un paio di modifiche di tracciato e
la benedizione di sindaci di area governativa, che hanno avuto
più a cuore il destino del governo Prodi che quello della
popolazioni interessate.
Qui a Torino il problema non l'abbiamo mai avuto, visto che il nostro
beneamato sindaco, va a braccetto con la lobby del cemento e del
tondino e dopo le cattedrali olimpiche nel deserto urbano, non vede
l'ora di mettere a soqquadro mezza città per fare il Tav.
Secondo il commissario straordinario per la Torino Lione, Mario Virano,
ben 250.000 torinesi si troveranno a fare i conti con i cantieri del
Tav. 1 su 4 di noi.
Cagnardi, l'architetto che ha preparato il progetto per Torino ha
chiamato "birillo" una casa ad otto piani che si troverà sul
percorso del Tav nella nostra città. Che fine fanno i birilli lo
sanno anche i bambini. Peccato che in questo, come nei tanti altri
"birilli" che il Tav incontrerà sulla sua strada, ci abitino
uomini, donne e bambini, gente che magari ha fatto fatica a mettere
insieme i soldi per una casa che verrà espropriata a basso
costo. E parliamo dei "fortunati", perché gli altri, quelli cui
la casa non la tireranno giù, il Tav se lo vedranno (e
sentiranno) sfrecciare sotto il naso. (…)
Se non ci fosse da piangere verrebbe da ridere di fronte al "wafer" che
vogliono fare in Corso Marche. Il "wafer" è un roba a tre
strati: sotto il Tav, in mezzo l'autostrada, sopra un bel viale
alberato. Gli alberi nel progetto sono disegnati dentro un vaso
perché non ci sarebbe abbastanza terra per le loro radici nel
piano alto del wafer. (…)
Ma… ne vale la pena - direbbe il nostro sindaco ultras del Tav.
Un ultras tanto sicuro di se che ha dichiarato esplicitamente che a
Torino "i rischi di impatto sono più forti che in Valsusa".
Chiamparino è convinto che dopo le inutili cattedrali olimpiche
condite di luci del varietà i torinesi siano ormai rassegnati a
tutto.
La retorica di chi vuole l'opera ad ogni costo è piena di due
parole ripetute come una pubblicità ossessiva perché
entrino nelle teste di ciascuno di noi.
Le parole sono progresso e collegamento con l'Europa: l'immagine
è quella della piccola Italia schiacciata dietro la catena
alpina, mentre fuori corrono veloci treni e autostrade: camion e vagoni
pieni di biscotti, caramelle e copertoni made in Italy che vanno in
Francia mentre dalla Francia arrivano biscotti, caramelle e copertoni
made in France e in entrambe le direzioni viaggiano le merci prodotte
con il sudore e il sangue dei lavoratori dell'Asia e dei mille sud di
un mondo dove la globalizzazione della miseria va di pari passo con la
globalizzazione delle merci.
La domanda che facciamo a tutti è semplice ma precisa: a noi, alla nostra vita serve tutto questo?
I dati, confermati anche dai tecnici governativi, dicono NO. Non serve
un'altra linea di treni tra Torino e Lione, perché una linea che
collega Torino alla Francia c'è già, una nuova Torino
Lione non serve perché ogni giorno ci passano 78 treni e, ne
potrebbero passare anche 210 prima che la linea sia satura.
In altre parole Torino è già collegata con Lione da una
efficiente linea ferroviaria (oltre che da due statali e
un'autostrada). Questa linea, oltre a portare in Francia, trasporta a
Torino studenti e lavoratori. Chi ogni giorno prende il treno dai tanti
paesi della Val Susa vorrebbe carrozze pulite, treni in orario,
gabinetti nelle stazioni, più sicurezza ma di queste
"piccolezze" poco importa a chi ci governa, a chi ci governa oggi e a
chi ci governava ieri. A chi il Tav ha cercato di imporlo a forza di
botte (Berlusconi) e chi invece lo vuole imporre a suon di inganni e
carte bollate (Prodi)."
Euf.