Umanità Nova, n.26 del 2 settembre 2007, anno 87

Lo spettro dell'antipolitica



La politica è l'arte di impedire alla gente di impicciarsi di ciò che la riguarda.
(P. Valery)

Le parole politica, polizia e apolide hanno la stessa radice greca: polis, ossia l'insieme delle relazioni umane, politiche e sociali, quale era inteso ad Atene nel V secolo a.C.
Richiamandosi a queste origini storiche, quello di polizia risulta quindi avere una stretta parentela col concetto di governo e di potere politico, per cui una certa avversione al termine "politica" ha più di una ragione d'essere da parte di quanti si oppongono al potere costituito.
D'altro canto, negli ultimi tempi, da destra e ancor più da sinistra (ma comunque all'interno del contesto parlamentare), si parla dei pericoli connessi al diffondersi della "antipolitica" nella società italiana, con palese riferimento ai movimenti, ai conflitti, alle lotte sociali che stanno creando non pochi problemi alle "politiche" economiche e governative su numerose questioni: dal Tav alla base Usa a Vicenza, dall'inquinamento elettromagnetico alle agitazioni dei lavoratori pendolari.
Tutt'al più, riferendosi soltanto agli impopolari privilegi goduti dalla "casta", nel Palazzo viene riconosciuto che "la politica stessa finisce per alimentare l'antipolitica" (recente affermazione di Walter Veltroni), nel tentativo di ridarle credibilità.
È evidente che questo uso della parola "antipolitica" è assolutamente ambiguo e tendenzioso, in quanto viene assunto quasi come sinonimo di qualunquismo e pulsione antisociale, mentre è del tutto evidente come queste mobilitazioni popolari, organizzate in base ai principi della partecipazione collettiva, dell'impegno personale e della democrazia diretta, hanno invece molto a che vedere con l'idea originaria di polis, ancor prima che con quella collettivista del soviet.
Esiste quindi un significato, predominante, del concetto di "politica" che è definito, determinato ed utilizzato da chi esercita il potere; secondo tale visione tutto quello che vive, si agita, confligge, si organizza fuori dall'ambito della dialettica istituzionale (parlamento, partiti, leader, delega elettorale, rappresentanza, etc.) è considerato come espressione estranea alla Politica e compatibile con la democrazia solo se si limita a un circoscritto e rispettoso dissenso assegnato alla cosiddetta " società civile".
In altre parole, chi mette - anche solo potenzialmente - in discussione il potere vigente è da questo posto fuori dalla polis in quanto antipolitico; così come apolide è colui che, per ragioni diverse, non viene riconosciuto da alcuno stato come cittadino.
Detto ciò, la critica anarchica non può che collocarsi ed agire all'interno di questa contraddizione, tendendo a sovvertire fondamenta, ordine e confini attuali della polis.

Anti





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